Gio. Nov 21st, 2024

È nato il governo Draghi. Che segna la fine della mai ufficialmente nata Terza Repubblica. E di cui c’è assai poco da rimpiangere.

Vale certamente per il M5S, prima né di destra né di sinistra e nessuna alleanza, poi orgogliosamente populista e sovranista con la Lega, poi ancora progressista ed europeista col PD, ma sempre con lo stesso Presidente del Consiglio, poi o “Conte o muerte” fino a qualche giorno fa, oggi pronto (o prono?) al governo Draghi.

All’annuncio della nascita del governo, lascia Alessandro Di Battista. Ma la sua, come le altre defezioni annunciate o in arrivo, peseranno meno di tutte le precedenti. I cinque stelle dimezzati da Rousseau (stavolta la percentuale a favore del governo è sotto il 60%) non ottengono nemmeno il ministero che si sono inventati per dire di sì a Draghi. L’unico risultato degno di nota, per lui, è personale di Di Maio che conserva gli Esteri.

Le piroette del PD non sono state da meno. Solo che, diversamente dal M5S, il PD si muove compatto. Da AvanticonConte e mai con le destre a grazie a noi è arrivato Draghi e abbiamo trasformato Salvini in europeista. Una volta per cambiare linea si cambiava segretario con mozioni a un congresso. Adesso basta cancellare i tweet della settimana prima. Il PD, e pluribus unum, quando si tratta di decidere roba seria, decide per correnti. Guerini, Orlando e Franceschini blindano il partito. Sono tre pesi massimi, sanno stare al governo, frenano malumori verso destra e verso sinistra, e congelano per un po’ Zingaretti. Il quale, dopo la pessima performance delle ultime settimane, più tace e più dura.

Più travaglio (non con la maiuscola) dalle parti di LeU. Si erano impiccati anche loro a Conte. Nelle prime ore pessime dichiarazioni contro Draghi e Mattarella della pasionaria De Petris, archiviate poco dopo. Il tema è come conciliare la speranza di mantenere Speranza ministro con la coabitazione con Berlusconi e Salvini. Fratoianni prima ha buttato là una incompatibilità tra europeisti (pure lui) e sovranisti. Poi, a governo già insediato, ha annunciato un no alla fiducia da parte della sua componente, Sinistra italiana. Peccato che LeU (Articolo 1+Sinistra Italiana) abbia già incassato la riconferma di Roberto Speranza come ministro della Salute. Un gioco delle tre carte, insomma. Un bluff da principianti. Ma tant’è.

Renzi che è stato l’innesco di questo cambiamento di scenario ne esce ridimensionato come presenza al governo, un ministero solo, alla Bonetti, e probabilmente sarà oscurato da altri potenziali leader in quella area.

Ad esempio il grande vecchio Berlusconi. Se PD, M5S e LeU avessero avuto leader più furbi, avrebbero mollato Conte, allargato a Berlusconi con diverso premier, messo fuori gioco Renzi ed evitato il governo Draghi. Invece oggi giustamente Berlusconi sembra il più soddisfatto del governo. A ragione, perché Berlusconi manda al governo Carfagna e Brunetta, perché rappresentanti delle due aree interne al suo partito (per intenderci: liberal e ultraliberisti) ,e Gelmini come berlusconiana doc, come centro del partito. E soprattutto eguaglia, per numero, gli altri partiti che hanno percentuali più rilevanti. Oltre tutto si tratta di persone che hanno già confidenza con la macchina del governo.

La scelta della Lega, che non era affatto scontata, è sicuramente un goal a porta vuota rispetto ai paletti posti dalle forze della ex maggioranza. Ma soprattutto sembra un ritorno alla Lega (del) Nord e al suo vecchio insediamento sociale, segna il cambio di passo: Nord e imprese, che archiviano sovranismo nazionale e boutade. Giorgetti che svetta e due, un uomo e una donna, classici quadri del Nord. Se il governo dura, cambierà pure il segretario del partito (do you remember Bossi e Maroni?).

Giorgia Meloni si intesta l’unica opposizione (esclusi dissidenti vari) ma soprattutto punta a drenare ancora di più i consensi meridionali alla Lega verso Fratelli d’Italia. Un’operazione a rischio zero, in ogni caso.

Sui tecnici: la verità è che ognuno ci vede ciò che vuole. Perché c’è un mix, esattamente come nella componente politica. Alcuni hanno fama di liberisti assai aggressivi, altri vengono dall’entourage di Draghi stesso, alcuni sono papaveri della burocrazia, altri ancora sono moderatamente progressisti di scuola prodiana.

La sospensione della normale dialettica politica non si può imputare a Draghi e nemmeno a Mattarella. Non funzionano più (da tempo) le coalizioni anti-qualcosa. Non esistono più partiti degni di questo nome. Il consenso, ai simboli e ai singoli, è volatile. E progetti politici, al di là di vuote formule di circostanze, non se ne vedono. Quello di Draghi non è un governo di grande coalizione non solo perché Draghi è un esterno. Ma soprattutto perché le grandi coalizioni le puoi fare tra SPD e CDU, tra socialdemocratici e cristiano-democratici, tra socialisti e conservatori. In Italia al momento, un momento lungo trent’anni, manca la materia prima. Dichiaratamente, come nel caso del M5S, o di fatto, come tutto il resto dell’arco parlamentare, non abbiamo partiti, non abbiamo famiglie politiche. La sospensione era già nei fatti. Speriamo solo che si usi bene il tempo a disposizione.

 

Alessandro Porcelluzzi

 

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