Mi cito dal numero scorso:
“Fascisti!, borghesi!, ancora pochi mesi!”. Così si gridava negli anni ’70. (Come suol dirsi: Io c’ero.) Con veemenza e virulenza, con corruccio e cipiglio.
Si prevedeva, minacciava, auspicava la scomparsa dei borghesi entro pochi mesi, attraverso una rivoluzione proletaria che ci avrebbe regalato la mirabolanti libertà della Cina Popolare. (Faccio ammenda: non solo c’ero, ma queste stupidaggini le ho sostenute anch’io, sentendomi del resto spalleggiato da Sartre e da Godard … potevano sbagliarsi degli intellettuali così “sul pezzo”? E come è andata poi?
La tesi finale del pezzo era che la borghesia non si fosse estinta (e vorrei vedere!, estinguersi dentro il capitalismo maturo ?!?), ma si sia trasformata, migrando in gran parte dal mondo dell’imprenditoria e delle professioni, spesso oramai “proletarizzato” (già prima del Covid), a quello della Politica, dei Media e del Digitale; e i figli che contestavano i padri non hanno fatto ovviamente la rivoluzione proletaria, né instaurato uno stato socialista sul modello cinese (e meno male!), ma si siano limitati a sostituirli.
E’ mio parere che questa trasformazione sia un segno di vitalità, e che altre trasformazioni similari avverranno. Dire da dove provenga questa “vitalità” è complesso, e richiederebbe un volume. Mi limiterò a raccontare un aneddoto “esemplare”, tratto dai miei personali ricordi.
Penso di avere una buona visione del tema, anche perché provenendo da una famiglia picolo-piccolo-piccolo borghese, ma studiando in un quartiere borghesissimo di Roma (dove le professioni si mescolavano alla RAI, e a un Liceo “molto in vista” per i suoi movimenti politici) i borghesi ho sempre potuto vederli e guardarli bene. “Dall’esterno”.
* * *
Sì, io i borghesi li osservavo bene, e senza nessun particolare risentimento “di classe”: stiamo parlando dell’età in cui si è ancora tutti amici, si hanno gli stessi ideali, si suona insieme. L’aneddoto riguarda infatti la musica.
La notizia piovve sui miei 17 anni (1976): l’amico di un amico aveva realizzato il sogno di noi tutti: adibire una stanza a sala registrazione e prove.
Sciamammo in un pomeriggio verso casa sua.
In effetti, oltre a non essere ossessionato dai borghesi, neanche li conoscevo bene: non mi ero neanche mai soffermato sull’idea che qualcuno potesse abitare in una casa con 10 stanze (ai Parioli) … ciò spiegava benissimo l’esistenza di una sala registrazione e prove in casa sua, e non in casa nostra!
Ciò detto, il nostro neo-amico era simpatico, ed anche un buon percussionista.
Il pomeriggio scorse amenamente. Rammento solo qualche difficoltà nel trovare il bagno, che si affacciava dopo lunghi e incerti passi nell’interminabile corridoio.
Arrivata sera, chiacchiere varie su musica, aspirazioni, ideali: il percussionista, nostro neo-amico voleva andare in India: ce lo raccontò, e cercava adesioni per il progetto.
In due, chiudemmo immediatamente le saracinesche dell’attenzione, anche per autodifesa e protezione: l’unica possibilità che avevamo di andare in India risiedeva nel rapinare qualcuno (!); altri due o tre parvero più possibilisti, e chiedevano delucidazioni sui costi e sulle modalità. La risposta del percussionista fu: “E che ci vuole? Si va per un mese a Piazza Navona, e si fa dell’accattonaggio!”.
E già, che ci vuole?
Dovevamo rinnegare in un pomeriggio quel decoro che, anche non volendo, le nostre esistenze piccolo-borghesi ci avevano cucito addosso, ed andare a chiedere soldi alla gente, sollecitando compassione a qualche padre e madre magari non abbiente, ma comunque (forse) generoso, come i nostri stessi genitori.
E questo poi perché? Per andare in India? Per consentire all’allegro percussionista di andarci, senza fare neanche lo sforzo emotivo di chiedere soldi al ricco genitore (un campione della stampa “progressista”, scoprimmo poi)?
E già, che ci vuole?
Per chi si è nutrito già dalla culla di comfort ed opportunità, la soluzione era evidentemente a portata di mano: l’accattonaggio (sic!). Ed è questa disponibilità a trovare soluzioni che rende la Borghesia inaffondabile, ne spiega e ne motiva le trasformazioni, anche radicali.
Per trovare le soluzioni, i Borghesi hanno una marcia in più.
Gianfranco Domizi
(Nella foto, Piero Mazzarella e Renato Pozzetto, in una scena di “Un povero ricco”, regia di Pasquale Festa Campanile, 1983)