“Iovis autem in imbrem aureum conversus cum Danae concubuit, ex quo compressu natus est Perseus. Quam pater ob stuprum inclusam in arca cum Perseo in mare deiecit”
( Ma Giove, trasformato in pioggia d’oro, giacque con Danae, dal cui amplesso nacque Perseo. E a causa dello stupro il padre la gettò in mare chiusa in una cassa con Perseo)
Così si esprime Ovidio ne “Le Metamorfosi” a proposito della violenza subita da Danae, figlia del re Acrisio e di Aganippe, da parte di Zeus. Il padre di tutti gli dei per raggiungere il suo scopo si era trasformato in una pioggia d’oro. Dall’unione era nato Perseo.
Il mito narra che Acrisio fosse spaventato dalla predizione dell’oracolo di Delfi secondo cui sarebbe stato ucciso dal proprio nipote. Per tale ragione teneva la figlia Danae prigioniera in una torre.
Ma a nulla valse la prigionia forzata della ragazza: nessun luogo era impenetrabile alla passionalità spesso brutale del dio.
In verità Zeus non era al suo primo “stupro sacro”, ricordiamo quando per unirsi a Leda si era trasformato in cigno, o quando, assunte le sembianze di un toro, aveva posseduto Europa.
Riguardo a Danae, giunto a lei sotto forma di pioggia dorata, fu più romantico, se così si può definire il sommo Zeus, la cui spietatezza era pari alla sua passione, per cui incontrollabile e direi imprevedibile.
Danae rappresenta nel mito una figura tragica. Una giovane donna vittima due volte. La prima del padre che la segregò nella torre per isolarla e renderla invisibile allo sguardo degli uomini, la seconda di Zeus, indifferente e spietato, pronto solo a soddisfare la propria pulsione a cui nessuno poteva opporsi.
Le conseguenze per la ragazza furono ancora più drammatiche dell’atto scellerato del dio: partorì Perseo e fu abbandonata alla suo destino di morte con suo figlio. Il padre infatti rinchiuse figlia e nipote in una cassa che fece gettare nel mare.
Il Fato però per una volta ebbe pietà e Danae, trasportata nell’isola di Serifo, fu salvata da Ditti, fratello del re Polidette.
La narrazione sul suo destino, prenderà strade diverse a seconda degli scrittori che ne ripresero il mito. Chi la volle sposa di Polidette e chi, come Virgilio, la mise ancora in viaggio fino al Lazio dove fondò Ardea.
Certo che la storia di questa giovane non è passata inosservata nel tempo. Forse perché ha incarnato il dramma di una donna, che proprio perché donna, porta su di sé un destino amaro a cui non può sottrarsi.
Nella mitologia lo stupro era piuttosto frequente e non solo ad opera degli dei.
Di rapimenti con nessi e connessi ne è piena la storia delle origini delle comunità arcaiche, e spesso giustificati dalla vendetta verso nemici vinti, oppure dalla necessità di ripopolare territori e garantire una stirpe futura.
Una riflessione nasce oggi su questo tema così difficile e doloroso.
Oggi come allora si assiste nelle nostre democratiche società “civili” ai vari abusi di uomini di potere che esercitano la propria onnipotenza attraverso atti ignobili nei riguardi delle donne e non solo. Anche ai danni di ragazzi fragili. Di bambini e bambine indifesi.
Le denunce in questi ultimi anni si sono susseguite contro personalità della politica, del cinema, della Chiesa. Tutti luoghi dove gli uomini possono esercitare il loro ruolo di leader e abusarne.
Ma non è tutto. Spesso gli abusi e le violenze vengono consumati anche da uomini comuni, come noi, quelli che incrociamo tutti i giorni, e il più delle volte nelle proprie famiglie o nei luoghi di lavoro.
Dal 1999 è stata proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite una Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne che viene celebrata ogni 25 novembre in ricordo delle sorelle Mirabal, oppositrici dominicane del dittatore Trujillo. Le tre sorelle furono rapite, torturate ed uccise. Il fatto risale al 1960, ma resta di grande attualità.
Lo scopo è quello di non chiudere gli occhi, di non girare la testa, ma di attraversare la vergogna e la paura. Troppa violenza ci viene dal passato, anche prossimo, e la storia ce la racconta in ogni sua declinazione. Oggi la sua cancellazione resta ancora una pagina da scrivere.
La nostra Danae, forse inconsapevole del suo destino, forse rassegnata a subirlo, ha attraversato i secoli, intatta nel suo splendore di ragazza prima, di madre poi. Di vittima sempre.
La pittura ne ha reso bellezza e purezza immortali.
Come non citare la Danae di Rembrandt (1636), o quella di Correggio ( 1531), di Orazio Gentileschi ( 1621) , di Tiziano( 1545), di Artemisia ( 1612), di Gustav Klimt (1907).
La Danae di Klimt risplende di abbandono dolce e malinconico, sotto una pioggia d’oro che ce la restituisce in tutta la sua potenza simbolica. E la rende divina ed eterna.
Vorrei terminare questo mio articolo con la voce di un uomo, di un artista, uno dei più grandi drammaturghi di tutti i tempi, William Shakespeare, che così si espresse nei riguardi delle donne:
“Per tutte le violenze consumate su di lei,
per tutte le umiliazioni che ha subito,
per il suo corpo che avete sfruttato,
per la sua intelligenza che avete calpestato,
per l’ignoranza in cui l’avete lasciata,
per la libertà che le avete negato,
per la bocca che le avete tappato,
per le sue ali che avete tarpato,
per tutto questo:
in piedi, signori, davanti ad una Donna!”
Anna Bruna Gigliotti