Gio. Nov 21st, 2024

“Nell’amore gli occhi, lo sguardo, conservano il loro ruolo primitivo di strumento di comunicazione privilegiato. Lo sguardo consente di vivere qualsiasi esperienza …
Si può affermare che attraverso lo sguardo noi riusciamo a capire meglio le parole”.

(Aldo Carotenuto -Eros e Pathos: margini dell’amore e della sofferenza- Bompiani Edizioni.)

 

Nel 2017, in occasione di un mio ritorno a casa, avevo visitato la mostra allestita al PAN (Palazzo delle Arti di Napoli) di Steve McCurry,Senza confini”.

Il McCurry, nato nel 1950 in un sobborgo di Filadelfia in Pennsylvania, è uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea, insignito di numerosi, prestigiosi premi.

Il suo occhio  ci ha insegnato a guardare il nostro tempo con uno sguardo diverso.

Le foto esposte mi parlavano di un mondo dolente dove i protagonisti non erano uomini potenti, ma un’umanità da sempre vittima e troppe volte dimenticata.

Un mondo, ahimè, ancor oggi di grande attualità, documentato dal fotografo fin dalla fine degli anni ’70, dove stanno di casa i conflitti e le sofferenze di popolazioni martoriate.

Rimasi affascinata, non solo dalle foto a colori più conosciute, ma anche da quelle inedite in bianco e nero, scattate tra il 1979 e il 1980 in Afghanistan dove il McCarry era entrato per la prima volta clandestinamente dal Pakistan, seguendo alcuni mujaheddin che combattevano contro l’invasione russa. Devo confessare che, sebbene conoscessi e ammirassi  l’Autore di quei meravigliosi scatti, ero lì soprattutto per vedere da vicino “quegli occhi” ormai famosi in tutto il mondo. Quelli della ragazza afghana di allora 12 anni, Sharbat Gula, incontrata da lui per caso nel campo profughi vicino a Pashawar nel 1984. La foto venne poi pubblicata dal National Geographic, diventando un’icona conosciuta in tutto il mondo.

Quello sguardo mi catturava, trascinandomi chissà dove … chissà dove. Nella sofferenza, ma anche nella bellezza annidata nel verde profondissimo di quegli occhi.

Del resto ogni sguardo, in cui talvolta ci addentriamo per scoprirne il mistero, ci destina oltre ogni limes.

Finita la mostra, mi ripromisi di conoscere Gula in modo più approfondito. E non solo come sguardo dall’indubbia potenza visiva, ma come donna.

Nella mia ricerca un po’ voyeur, un po’ sentimentale, un po’ dannatamente voluta dalla mia deformazione professionale di narratrice di storie, seppi che, sebbene famosissima fuori dai “suoi confini”,  lei  aveva continuato a condurre un’esistenza difficile e dolorosa.

Alla fine degli anni ’80 aveva sposato il fornaio Rahmat ed era tornata in Afghanistan nel 1992.

Anche il McCarry l’aveva cercata ancora e dopo 17 anni, nel 2002 con un team del National Geografic  l’aveva ritrovata.

“ La sua pelle è segnata, ora ci sono le rughe, ma lei è esattamente così straordinaria come lo era tanti anni fa”. Ebbe a dire il fotografo nel rivederla.

Quello sguardo continuava a parlargli, ma le parole dell’uomo restavano senza significato per lei.

La sua esistenza non aveva niente a che fare con la sua stessa fama. Per cui ascoltò indifferente ciò che le veniva detto a proposito di quella foto di anni prima, a cui lei avrebbe voluto sottrarsi per non permettere a nessuno di rubarle anima e dignità.

Forse aveva cancellato l’episodio. Forse semplicemente non lo ricordava più. Forse in fondo si vergognava di aver ceduto ad un attimo di vanità.

Tutto avrebbe potuto concludersi in quell’incontro, ma in verità ci sono legami che restano intricati  in foreste di ciglia, cristallini, pupille e fuoco e lì attendono una qualsiasi benedizione che assolva e liberi.

Intanto Gula e i suoi tre figli, dopo la morte del marito, nel 2012, era tornata in Pakistan.

La donna dagli occhi verdi, il cui nome significa ragazza fiore d’acqua dolce, ritornò ancora una volta agli onori della cronaca quando McCarry  venne a sapere che era stata arrestata in Pakistan per il possesso di documenti illegali.

Si attivò quindi per diffondere la notizia e chiederne la liberazione.

Con queste parole la salverà da un destino per lei già segnato. Forse predestinato:

“ Non hanno arrestato una fotografia, hanno arrestato una donna disperata. Spero che guardando ancora una volta i suoi occhi la gente capisca che una vittima non può essere un criminale, che qualunque cosa abbia potuto fare ha solo cercato di sopravvivere. Come centinaia di persone in fuga dalla morte, afghani, ma anche siriani, africani”.

Ci fu una grande mobilitazione.

Gula fu quindi liberata, ma espulsa e rimpatriata in Afghanistan.

Per una volta la storia di un’ infelice, nata pashtun, ha avuto un lieto fine.

Per una volta l’Arte che cattura l’Anima ha ottenuto la sua gloria!

Gula dal 2017 vive a Kabul in una casa che le ha assegnato il Governo e riceve uno stipendio che le permette di vivere.

Chissà se qualche volta pensa a quell’incontro fortuito e forse rimosso che, attraversando il confine, le ha salvato la vita.

 

Voglio terminare questo mio articolo riportando qualche frase di scrittori famosi, che  hanno sempre saputo guardare oltre:

 

Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo dell’essere umano.

( Paulo Coelho)

 

Si limitò a guardarmi. Quello sguardo mi disse tutto quello che c’era da dire.

( Charles Bukowski)

 

Si baciavano di sguardi quei due.

( Alessandro Baricco)

 

Lo sguardo alle volte può farsi carne, unire due persone più di un abbraccio.

( Dacia Maraini)

 

 

Anna Bruna Gigliotti

 

 

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