Quando (Dio) creò te distesa a letto
sapeva cosa stava facendo
era ubriaco e su di giri
e creò le montagne e il mare e il fuoco
allo stesso tempo
Ha fatto qualche errore
ma quando creò te distesa a letto
fece tutto il Suo Sacro Universo.
Queste su citate sono le ultime due strofe della poesia di Charles Bukowski,
“Quando Dio creò l’Amore”, e non credo necessiti scrivere oltre per comprendere quanto di grande e poetico sia racchiuso in questi versi dedicati alla donna.
Beh, stiamo parlando di Bukowski, il più famoso poeta underground in lingua inglese.
Nato in Germania il 16 agosto del 1920, visse negli Stati Uniti. Qui divenne massimo esponente della corrente letteraria denominata “Realismo sporco”, che prese vita intorno agli anni ’70.
La sua fu un’esistenza davvero fuori dagli schemi convenzionali. Fu lo scrittore che più di ogni altro derise l’umanità. Folle, lucido e dissacratorio:
“ Tutti dobbiamo morire, tutti quanti, che circo!
Non fosse che per questo dovremmo amarci tutti quanti e invece no,
siamo schiacciati dalle banalità, siamo divorati dal nulla…”
Di certo il Bukowski meriterebbe una trattazione più approfondita, ma non è questo il momento per farlo.
Oggi, in questo articolo si vuole parlare del sacro femminino anche nell’Arte pittorica, oltre che nella Poesia, e vorrei riportare un aneddoto personale a proposito.
Qualche tempo fa ero a casa di amici cari, argentini di Buenos Aires.
Lui, Ruben Sosa, fumettista, scultore e pittore, lei Flora, sua moglie e curatrice delle sue opere anche tuttora dopo la scomparsa del compagno di una vita.
Bene, ero in compagnia di Florita, come da sempre la chiamo, per fare due chiacchiere davanti ad una tazza di mate, quando il mio sguardo si è posato su di un quadro, tra i tanti esposti sulla parete dello studio. Lo riconobbi subito: “L’origine du monde” di Courbet. O meglio la sua copia rivisitata. Uno studio dell’opera originale. Ne rimasi folgorata per la potenza erotica.
Mi riproposi naturalmente di vederne l’originale oggi esposto al museo d’Orsay dal 1995 e proveniente dalla raccolta di opere dello psicanalista Jacques Lacan.
Questo magnifico dipinto rappresenta la raffigurazione realistica dell’organo genitale femminile.
Fu commissionato al Courbet nel 1866 dall’eccentrico, nonché amante del lusso, Khalil-Bey, diplomatico turco-egiziano, e destinato a restare nascosto in una stanza per essere mostrato a pochi eletti. Un’opera famosissima e molto popolare, ma a quei tempi vista da pochi.
Destinata ad attrazione e repulsione in ugual misura, a seconda dello sguardo di chi potesse vederla o solo immaginarla.
Eh sì, perché da sempre, e sottolineo sempre, l’Arte è censurata quando si ritiene che possa offendere il comune senso del pudore.
Non dimentichiamo di quante meravigliose opere classiche si siano coperte “ le vergogne” con foglie o ammennicoli vari. Il dito inquisitore nei secoli viene puntato contro tanti capolavori.
Per citarne uno: La maja desnuda di Francisco de Goya, dipinto a olio su tela, realizzato intorno al 1800 e oggi conservato insieme alla sua versione vestita, che fungeva da paravento, La maya vestida, al Musea del Prado di Madrid. Un tempo i dipinti dichiarati osceni venivano censurati e addirittura nel XVIII secolo in Spagna i pittori erano puniti dall’Inquisizione e i nudi presenti anche nelle collezioni reali venivano mandati al rogo. Comunque sia, la proibizione di eseguire opere offensive alla morale, non impedì per fortuna che venissero prodotte ugualmente anche se racchiuse in collezioni strettamente private.
I tempi cambiano e oggi possiamo ammirarle nei musei, o attraverso copie mirabili, come è accaduto a me, riguardo a quella di Rubén Sosa , alias Courbet, in bella mostra davanti al mio sguardo stupito.
Beh, direte, ormai la censura non colpisce le opere d’Arte, o almeno quelle il cui valore è ampiamente riconosciuto!
E qui scoppia la mia sonora risata.
A tal proposito due anni fa e precisamente il 15 marzo del 2018, scrissi un articolo per I’Intelligente, dal titolo “Un social paleolitico” in cui denunciavo l’oscuramento da parte del social fb dell’immagine della Venere di Willendorf, considerata la rappresentazione preistorica più conosciuta al mondo del “Sacro femminino”.
Certo la statuetta mostra grossi seni e una vagina ben riconoscibile. E dunque? l’Arte per i talebani benpensanti di qualsiasi epoca storica deve preoccuparsi di non offendere la morale comune.
Con la stessa cieca determinazione a cancellare, fb censura la Venere come L’origine du monde, come I nudi palermitani, rimuovendone le immagini.
Mentre sto scrivendo questo articolo, per una sorta di corrispondenza magica, mi arriva un sms della mia amica Manuela che mi scrive: “ Hai letto di quella turista vietnamita a cui pochi giorni fa, 8 settembre, è stato impedito l’ingresso al Museo d’Orsay perché non vestita in modo consono al luogo?
“ O si copre o non entra”, pare abbiano intimato i funzionari del museo, due maschi capitanati da una donna. Ahimè!
Indecente è stata considerata la sua scollatura e , udite, udite! proprio in quel luogo dove è esposto il capolavoro del Courbet.
Dopo varie proteste, vista l’irremovibilità ottusa dei tre, alla povera turista non è rimasto che coprirsi con una giacca. Resto basita e mi viene da pensare a tutte le Veneri di Willendorf del mondo, coi loro grossi seni scandalosi. Alla loro trionfante, censurata bellezza nuda.
Come desnuda, ma glorificata, è la donna della magnifica poesia di Pablo Neruda presente nei suoi “ Cento sonetti d’amore”, di cui riporto i primi due versi e la loro traduzione:
Desnuda eres tan simple como una de tus manos,
lisa, terrestre, mínima, redonda, transparente,
tienes líneas de luna, caminos de manzana,
desnuda eres delgada como el trigo desnudo.
Desnuda eres azul como la noche en Cuba,
tienes enredaderas y estrellas en el pelo,
desnuda eres enorme y amarilla
como el verano en una iglesia de oro.
Nuda sei semplice come una delle tue mani,
liscia, terrestre, minima, rotonda, trasparente,
hai linee di luna, strade di mela,
nuda sei sottile come il grano nudo.
Nuda sei azzurra come la notte a Cuba,
hai rampicanti e stelle nei tuoi capelli,
nuda sei enorme e gialla
come l’estate in una chiesa d’oro.
Per par condicio, e per appartenenza certa, voglio terminare questo mio articolo con la poesia di Gioconda Belli, poetessa, giornalista e scrittrice nicaraguense “ E Dio mi fece donna” che riporto per intero, orgogliosa della mia appartenenza al mondo sacro, decantato, ma a volte vilipeso, negato e oscurato della Donna e …benedico il mio sesso
E Dio mi fece donna,
con capelli lunghi,
occhi,
naso e bocca di donna.
Con curve
e pieghe
e dolci avvallamenti
e mi ha scavato dentro,
mi ha reso fabbrica di esseri umani.
Ha intessuto delicatamente i miei nervi
e bilanciato con cura
il numero dei miei ormoni.
Ha composto il mio sangue
e lo ha iniettato in me
perché irrigasse tutto il mio corpo;
nacquero così le idee,
i sogni,
l’istinto
Tutto quel che ha creato soavemente
a colpi di mantice
e di trapano d’amore,
le mille e una cosa che mi fanno donna
ogni giorno
per cui mi alzo orgogliosa
tutte le mattine
e benedico il mio sesso
Anna Bruna Gigliotti