Gio. Nov 21st, 2024

Da qualche tempo assistiamo ad un’incessante utilizzo di spot pubblicitari in cui appaiono bambine in atteggiamenti, più o meno volutamente, maliziosi e sexy.

Ha fatto scalpore, di recente, la pubblicità della mostra di Venezia 2020, dal titolo “festival è donna” che presentava, in un ambiente gremito di piccioni, l’immagine di una bambina in mutande, con il sedere “ingenuamente” in evidenza. Ma anche lo spot dell’Audi, che mostra un’auto con appoggiata una bambina che si appresta a mangiare una banana, immagine provocatoria e sessualmente suggestiva, rafforzata da uno slogan che recita «Lascia che il tuo cuore batta più forte. Sotto ogni aspetto». Questi fenomeni non sono che la punta di un iceberg: i manifesti della mostra delle auto di Whuan, in Cina, abbondano di bambine svestite e sexy; Netflix trasmette una produzione francese, “Cuties”, che vede come protagoniste bambine di 11 anni che aspirano ad entrare nel mondo del twerk, un ballo caratterizzato da velocissimi sculettamenti; un’azienda francese produce baby lingerie piuttosto sexy, pubblicizzata da bambine in pose ammiccanti, truccate come piccole Lolite.

Ad un primo esame potrebbe sembrare che si tratti soltanto di alcuni, tra gli svariati prodotti televisivi, che veicolano immagini femminili improntate all’avvenenza sessuale. Ma ad un’analisi più attenta, non è difficile rintracciare, all’interno di queste campagne pubblicitarie, un’evidente incitazione alla pedofilia, attraverso l’esposizione ad immagini non molto diverse da quelle reperibili su siti di porno pedofilia.

Si tratta, nella maggior parte dei casi, di minorenni che si propongono con una disinvoltura, a dir poco, inquietante. Ma soprattutto, colpisce la scarsa etica degli adulti che usano, in maniera così spregiudicata, il corpo di queste bambine: quegli adulti che di queste campagne pubblicitarie sono gli ideatori, e quelli che di questi bambini sono i genitori, e consentono, spesso incitano, a questa sorta di prostituzione.

Prendiamo, ad esempio, le baby reginette di bellezza che, accompagnate da mamma e papà, inseguono casting televisivi, con tanto di book fotografico in cui appaiono truccate e vestite come adulte in miniatura. Sono diversi i genitori, in cerca di notorietà e guadagni, attratti da un baby concorso di bellezza: un viaggio sotto i riflettori che a volte parte proprio da una loro idea, altre volte accondiscende al desiderio di una figlia fortemente attratta dal mondo della moda e della bellezza. Oppure, più o meno consapevolmente, un genitore può cercare, attraverso il figlio, la realizzazione di un sogno personale o la possibilità di un riscatto e una rivincita sociale.

Nel mondo dell’economia, la cultura del profitto ad ogni costo non si ferma di fronte a nulla, le allusioni trasgressive diventano veicolo di potere, e a dispetto di qualunque etica morale, pur di promuovere un prodotto, esso viene imposto, giocando torbidamente sull’evocazione di attrazioni perverse.

I bambini crescono ormai molto velocemente, nel senso che realizzano precocemente un adattamento agli usi e costumi degli adulti. Per elaborare e costruire la propria immagine personale e sociale, dispongono di due fonti da cui attingere: l’esperienza diretta del contesto di vita reale, orientato ad obiettivi di tipo educativo, e l’esperienza indiretta mediale, che offre conoscenze filtrate e organizzate da logiche con finalità di tipo commerciale. La continua ricerca di informazioni, per arricchire il proprio bagaglio di conoscenze, li rende particolarmente interessati ed attratti dalla pubblicità, a volte più che da qualsiasi altro programma, che viene seguita così attentamente da riuscire a ricordare uno strabiliante numero di spot, e con dovizia di particolari.

I media non si limitano, attraverso gli stereotipi, a confermare e valorizzare le tendenze culturali e i ruoli sociali e di genere, già presenti nella società, ma possono agire come generatori di nuovi orientamenti culturali, stimolando nuovi comportamenti. E la pubblicità è diventata una delle fonti privilegiate cui attinge l’immaginario collettivo, in grado di proporre rappresentazioni sociali che forniscono ai bambini modelli di condizionamento che orienteranno il loro comportamento futuro.

Diversi sono i rischi psicologici cui i bambini possono essere esposti.

L’attenzione ossessiva per la propria immagine è un elemento che può condurre allo sviluppo di disturbi alimentari o patologie psichiche come la dismorfofobia.

La precoce e talvolta eccessiva sessualizzazione, cui sono sottoposti, può diventare fonte di ansia e generare senso di inadeguatezza: un’adultizzazione precoce, con l’assunzione di comportamenti maliziosi e seduttivi non sostenuti da un adeguato sviluppo psicofisico, può compromettere un’equilibrata evoluzione della personalità.

Molto probabile che, in adolescenza, questi bambini mostreranno una scarsa capacità a dare valore e tutela al proprio corpo, avendo appreso, in qualche misura, che usarlo è giusto e lecito. Potranno dunque diventare facili prede sessuali, subendone tutte le eventuali conseguenze. In realtà avranno appreso un meccanismo molto simile al concetto di prostituzione, che induce a svendere il corpo e la sessualità per catturare l’attenzione di un adulto distratto, e poiché i bambini hanno un bisogno smisurato di affetto e attenzione, la scoperta che il canale del sesso possa essere una maniera efficace per ottenerli potrà caratterizzare, in questo senso, i loro comportamenti presenti e futuri.

Mediante l’utilizzo di questo tipo di pubblicità e intrattenimento, che muove pericolosamente all’ipersessualizzazione e adultizzazione precoce dei bambini, il costume, di cui i media si stanno facendo promotori, assomiglia molto ad una sorta di sdoganamento della pedofilia.

Il rischio più grosso che stiamo correndo noi adulti, è di poter arrivare a non scorgere più nulla di strano in certi fenomeni, al punto da non farci nemmeno più caso. Questo perché, quando lo stesso atteggiamento o stile di vita, viene proposto ripetutamente, divenendo consueto e comune, è destinato a rientrare nel concetto di normalità.

Nunzia Manzo

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