“Ero meravigliato di essere vivo, ma stanco di aspettare soccorsi. Stanco soprattutto degli alberi che crescevano lungo il burrone, dovunque ci fosse posto per un seme che capitasse a finirvi i suoi giorni. Il caldo, quell’atmosfera morbida, che nemmeno la brezza del mattino riusciva a temperare, dava alle piante l’aspetto di animali impagliati.”
Settantatré anni fa, il 15 maggio 1947, usciva “Tempo di Uccidere”, di cui sopra l’incipit, primo e ultimo romanzo di Ennio Flaiano. Ambientato durante l’invasione italiana in Etiopia del 1935/36, vinse la prima edizione del Premio Strega.
Niente di eroico nel giovane ufficiale, protagonista del romanzo, che si trova a vivere una esperienza particolare: la campagna d’Abissinia del 1936. Un uomo comune, a tratti banale, a tratti violento. Condannato dalla sua stessa disumanità. Aleggia nel romanzo la sconfitta dell’uomo sul piano umano.
A volere fortemente la partecipazione dell’autore al primo Strega fu Leo Longanesi che gli fece cambiare il titolo da Il coccodrillo a Tempo di uccidere.
Erano momenti storici in cui il desiderio di rinascita e di riscatto si facevano urgenti.
Un “voltare pagina” senza dimenticare, anzi aprendo bene gli occhi su un recente passato non certo eroico. Una catarsi necessaria.
Così si è espressa Maria Bellocci, ideatrice del Premio a proposito della sua genesi:
“Cominciarono, nell’inverno e nella primavera 1944, a radunarsi amici, giornalisti, scrittori, artisti, letterati, gente di ogni partito unita nella partecipazione di un tema doloroso nel presente e incerto nel futuro. Poi, dopo il 4 giugno, finito l’incubo, gli amici continuarono a venire: è proprio un tentativo di ritrovarsi uniti per far fronte alla disperazione e alla dispersione”.
Giovedi 2 luglio 2020, pochi giorni fa, nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, a Roma, la Giuria degli Amici della Domenica ha proclamato Sandro Veronesi, con il romanzo Il Colibrì (La nave di Teseo), vincitore della LXXIV edizione, promossa come nel lontano 1947, dalla Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e da Liquore Strega
Eh sì, perché proprio dal liquore che il Premio ha preso il nome.
Molti anni sono trascorsi dalla prima volta, eppure lo Strega resta immutato nella sua valenza agli occhi degli scrittori che gareggiano a colpi di pagine scritte, di illuminati incipit, di colpi di scena ad effetto, di narrazioni coinvolgenti. Certo ci sarà chi resterà a bocca asciutta , ma questo fa parte del gioco per chi vuole misurarsi coi colleghi della penna. E lasciarci a volte le proprie penne.
In questa ultima edizione, dopo le tante selezioni, sono rimasti in gara sei concorrenti, elencati di seguito col punteggio ottenuto :
Sandro Veronesi, Il colibrì (La nave di Teseo) con 210 voti
Gianrico Carofiglio, La misura del tempo (Einaudi) con 199 voti
Valeria Parrella, Almarina (Einaudi) con 199 voti
Gian Arturo Ferrari, Ragazzo italiano (Feltrinelli) con 181 voti
Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza (Mondadori) con 168 voti
Jonathan Bazzi, Febbre (Fandango Libri) con 137 voti
Niente da obiettare, mi verrebbe da commentare, solo perché non conosco tutti i libri in gara, tranne quello del Carofiglio e della Parrella.
La misura del tempo del Carofiglio mi ha appassionato per la vicenda umana narrata. Una donna torna dal passato di Guido Guerrieri, sfiorita nella sua bellezza, ma carica di umanissima fragilità. La storia resta in equilibrio fra il racconto giudiziario e quello sentimentale, ma dolorosamente consapevole di qualcosa che ormai si è consumato nel trascorrere del tempo.
“ Almarina” della Parrella è un romanzo a me caro perché mi ha emozionata. Ambientato nel carcere minorile di Nisida, parla di lotta per espiare, dimenticare, ricominciare. Potrei definirlo politico e d’amore nello stesso tempo. Con una scrittura asciutta ma intima. L’incontro di due solitudini: quella di una giovane detenuta e della sua insegnante di matematica.
Ne riporto una frase per me molto significativa che riassume speranza e paura nel domani. Un ossimoro a volte devastante per chi opera in luoghi di detenzione:
“ Vederli andare via è la cosa più difficile, perché: dove andranno. Sono ancora così piccoli, e torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui”.
Limitata in verità la mia conoscenza delle opere degli autori selezionati, tuttavia il libro vincitore del Premio è già in mio possesso e presto ne saprò dare un giudizio personale.
Mi solletica non poco il titolo “ Il Colibrì”. Una copertina gialla con su l’immagine dell’uccellino in volo: un tratteggio che ne spezzetta quasi l’intero. Metafora visiva e visionaria di un’energia dolorosa votata egoisticamente all’inerzia.
Leggo nella seconda di copertina che il protagonista, Marco Carrera, vive una vita sospesa, cercando di non precipitare mai a causa di perdite strazianti e prove che la vita gli pone davanti. Il suo sforzo è quello di restare immobile. Di sopravvivere. Eppure qualcosa accadrà. Forse un battito d’ali di troppo o di meno…chissà.
Sfoglio le pagine. La dedica è bella davvero e riporta una frase di Samuel Beckett:
Non posso continuare.
Continuerò.
Un “Aspettando Godot” che suona come “ assurda promessa”.
Anna Bruna Gigliotti