Dom. Nov 24th, 2024

Potete trovare, all’interno della Rubrica La Rivoluzione della Specie un articolo di Gianfranco Domizi dedicato all’eredità morale di Enrico Berlinguer. Possiamo considerarlo “gemello” a questo mio, dedicato all’eredità politica …

… che prende spunto (ovviamente andando “oltre”) dalla polemica scaturita per il tentativo di Salvini di accreditare una qualche continuità fra la Lega e i valori su cui Berlinguer basò la sua azione politica.

 

“I valori di una certa sinistra che fu quella di Berlinguer, i valori del lavoro, degli artigiani, sono stati raccolti dalla Lega. Se il Pd chiude Botteghe oscure e la Lega riapre io sono contento, è un bel segnale”.

La dichiarazione di Salvini ha sollevato un vespaio di polemiche.

La ragione è chiarissima: Berlinguer è stato ridotto, da anni, oramai decenni, a un santino. Lo si usa come icona sacra, si benedice qualche luogo o evento in suo nome, il solo invocarlo trasforma un rito pagano in cerimonia sacra.

Fateci caso: di lui si citano sempre l’intervista sulla questione morale o le immagini di repertorio dell’ultimo comizio a Padova. Momenti che sollecitano (o solleticano) le corde emotive. Ricordato come si ricorda un parente che ha preso i voti.

Per questo oggi insorgono indignati coloro che si ritengono eredi legittimi di Berlinguer (il PD o i suoi cespugli a sinistra).

E tuttavia questa polemica merita forse un approfondimento. C’è un aspetto che riguarda la composizione, in termini anagrafici, della popolazione italiana. Il nostro è un Paese anziano, e una grossa fetta dei Italiani è stata adolescente o giovane negli anni Settanta. L’orgoglio berlingueriano è dunque anche, in piccola o in gran parte, un moto di nostalgia per la propria giovinezza. A maggior ragione perché ci si identifica nella cosiddetta Meglio gioventù.

Ma è anche il rimpianto per una stagione politica antica, ma non remota. Scomparsi i grandi partiti di massa, sono naturalmente scomparsi dai radar anche i leader che quelle organizzazioni popolari producevano naturalmente (e in gran numero).

Il confronto con il presente è impietoso. E impedisce di riflettere su quali siano (e soprattutto: se vi siano) formule teoriche, ricette pratiche della segreteria Berlinguer che oggi possano essere di qualche utilità nella vita politica.

Le due principali formulazioni teorico-pratiche o strategico-tattiche di Berlinguer, il compromesso storico e l’eurocomunismo, sono ancora utili? Parlano al nostro presente, alla nostra attualità politica? Mi pare che difficilmente si possa rispondere in modo affermativo a questo interrogativo.

Berlinguer è tutto dentro una era politica con coordinate totalmente differenti dalla nostra. Riprendere oggi quei temi, rivendicandone il valore, avrebbe come unico effetto, piuttosto grottesco, la riapertura dello scontro, ad esempio, con i sopravvissuti dell’altro grande partito della sinistra di allora, il PSI.

Sopravvissuti contro sopravvissuti, nostalgici contro nostalgici.

In termini di efficacia politica qualcosa di simile all’aneddoto (torna spesso sui social) della rissa tra professori ubriachi riguardo la corretta interpretazione di Kant.

E qui siamo ancora semplicemente all’elencazione, non scenderemo nel merito. Perché, e qui la questione si fa scottante, molti degli eventi seguiti alla prematura scomparsa di Berlinguer si possono attribuire proprio a quelle scelte, a quelle formulazioni (a meno di esagerare la responsabilità degli eredi diretti, che pure non sono esenti da colpe).

Apparentemente siamo molto lontani dal punto di partenza della nostra analisi, ovvero le dichiarazioni di Salvini.

Quanto si è sostenuto sinora ci conduce invece esattamente alla contesa eredità di Berlinguer.

Salvini sa bene che, specie sotto la sua gestione e con le nuove percentuali di consenso, la Lega fa presa sugli strati popolari. Non è una grande rivelazione che alle ultime elezioni politiche Lega e M5S abbiano raccolto quasi tutto il voto operaio e larga parte dei voti degli impiegati privati a basso reddito. Così come nelle elezioni locali le periferie delle città medie e grandi e ancora di più i paesi premiano il suo partito.

Sovrapporre l’attuale configurazione del consenso con una presunta eredità di Berlinguer (o del PCI) è una distorsione. Come però è una distorsione il tentativo, da parte del PD o dei suoi alleati, di mantenere per sé quello stesso lascito.

Perché è cambiata, totalmente, la società italiana. La sua demografia, i suoi riferimenti ideali e internazionali, l’organizzazione del lavoro, la scuola, e si potrebbe continuare all’infinito.

Ma anche perché, per discutere di Berlinguer, dovremmo ricordare le caratteristiche della organizzazione che l’ha visto leader. Dovremmo ricordare del PCI che ebbe un radicamento sociale, un numero di iscritti, inusuale per un partito comunista d’Occidente.

Il radicamento di massa del PCI fu paragonabile solo a quello dei partiti socialdemocratici (primo fra tutti la SPD tedesca). Ma con una cornice teorica e ideologica completamente diversa rispetto ai partiti socialisti riformisti. Su questo strano, anomalo binomio poggia anche la forza e la debolezza della segreteria di Berlinguer.

La morte prematura del leader lascia a metà i conti da fare con tutta una serie di elementi.

Berlinguer ha appena intravisto gli anni Ottanta, il ribaltamento dei rapporti di forza tra capitale e lavoro, la fine dell’Unione Sovietica e dell’illusione del socialismo scientifico, la fine della politica come dimensione totalizzante, il riflusso nel privato, la piena e realizzata società dei consumi. Proprio questa prematura scomparsa concorre a farne un mito, un idolo, una icona, un santino. Non ha avuto il tempo (e questa, nella disgrazia, è la sua fortuna) di vedere la propria organizzazione scontrarsi e schiantarsi contro una società in pieno cambiamento.

La sua parabola ha poco o niente da dire rispetto al presente. E proprio per questo risveglia affetti, evidentemente dall’una e dall’altra parte.

Ci si aggrappa, tristemente e con nostalgia, a un passato che nemmeno si vuole analizzare. È solo reminiscenza, ricordo struggente. La nostalgia come passione triste. Ma la lacrima che bagna il volto di un nostalgico non è mai comunque un buon argomento.

 

 

Alessandro Porcelluzzi

 

         L’eredità non detta

 

Ho avuto la penultima parola *,
che l’ultima si sa che non ci spetta,
v’abbraccio con lo sguardo e un altro tiro
vorrei d’una fraterna sigaretta.

 

Se c’è un’eredità non è mai detta,
oppure sta nel fumo che s’invola,
e come la memoria senza fretta
disegna un poco in cielo le sue spire.

 

Pensate il vostro tempo per capire:
un foglio bianco pronto ed una biro …

 

*          Ultimo comizio: Padova, 7 Giugno 1984

          

(Opera di Gianfranco Domizi)

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