Limitatamente all’intrattenimento televisivo, il periodo del COVID-19 è stato addirittura eccellente, attraverso la rivincita delle “repliche” e dei “classici” sulla “fregnaccia” quotidiana “d’attualità”.
Complici i 20 anni dalla morte di Gassman, i 100 dalla nascita di Sordi, lo sfolgorante esordio di CINE34 (un nuovo canale Mediaset integralmente dedicato al cinema italiano, di tutti i generi), il gioco è fatto: finalmente c’è qualcosa di serio e/o importante e/o intelligente e/o divertente da guardare.
Nell’ambito della torrenziale proposta di CINE34, vorrei soffermarmi su “Il Profeta”, di Dino Risi (1968 … e dovrà pur dire qualcosa), in cui Gassman interpreta il ruolo di un normale impiegato borghese sedotto dalla “rinuncia ascetica”: si rifugia sul Monte Soratte, vicino Viterbo, alimentando involontariamente il mito dell’eremita, che vive in compagnia di una capra.
Ma a un certo punto si ritrova assediato: la TV esige il personaggio, e la Giustizia reclama tasse ed altro; inoltre, ridisceso in città (Roma), viene “tentato” dai costumi hippy (e chi non si sarebbe fatto tentare dalla minigonnatissima Ann Margret?) e dalle “mollezze” del benessere.
Beh, come vada a finire lo potete immaginare, in un tripudio di invenzioni che, peraltro, non piacquero granché alla critica; ed anche il regista non amò parlare in seguito di questo film, considerandolo evidentemente “minore”.
Ma dove non arriva la “rappresentatività estetica” (il film “bello”, oppure no), arriva quella “sociologica”: tutto il percorso di autoisolamento, tentazione e cedimento finale è fatto all’insegna di un’allegria cialtronesca e contagiosa, che ben esprime il sentire e i costumi dell’epoca.
Il caso, o più prosaicamente, la programmazione televisiva, ha voluto che subito dopo cominciasse l’altrettanto satireggiante, eppure cupissimo, “In nome del popolo italiano”, con Gassman e Tognazzi, sempre per la regia di Dino Risi (quello del Sorpasso, dei Mostri e di Sessomatto, per intenderci).
Sono passati solo 3 anni dal ’68 e dal film precedente.
La società ci appare drasticamente incupita: il “gran cialtrone” (Gassman) è incallito, astuto e spergiuro, nel suo scontro con l’ “incorruttibile” (Tognazzi), il Magistrato che al termine della vicenda lo farà condannare, pur essendo in possesso di prove che lo avrebbero sicuramente scagionato. Perché pensa che l’imputato rappresenti un’Italia detestabile ed orribile.
Gassman non è colpevole, ma lo diventa per la sua indegnità morale, specchio di quella del Paese. E stiamo parlando d’omicidio, non robetta.
Evidente il riferimento al “caso Montesi” (di circa 20 anni prima), ma anche, involontariamente, al “bunga bunga” (di circa 40 anni dopo) … tant’è: attraverso i film di Risi, Monicelli e in generale della “commedia all’italiana” si propone autorevolmente il sospetto che gli Italiani siano stati, siano e saranno sempre uguali, sempre gli stessi.
Questo lo scambio di accuse fra i due grandi attori, sintesi del film e scena clou, spesso riproposta in TV, anche come spezzone a sé stante: https://www.youtube.com/watch?v=MY-wfdtfD20 .
Come è possibile che la disinvolta cialtroneria del 1968 (“Il Profeta”) si sia trasformata, in soli 3 anni, in un cupo scontro ideologico?
Non starò a riprendere in dettaglio osservazioni già sparse in altri miei articoli apparsi su lintelligente, entro cui il ’68 non viene visto come l’inizio di un’epoca, ma, semmai, come punto terminale dell’Italia che era stata “in costruzione”, prima “doveristicamente” (Anni Cinquanta), poi in modo sempre più caotico e improvvisato (Anni Sessanta): ricordiamo in proposito “Il Boom” (1963. regia di Vittorio De Sica, soggetto e sceneggiatura di Zavattini), in cui Alberto Sordi cerca di risolvere le sue difficoltà economiche vendendosi un occhio a un possidente orbo!
Noi viviamo in una società in cui la distinzione fra “Destra” e “Sinistra” si è mangiata a lungo tutte le altre. Ma se proviamo invece a fare un ragionamento “pasoliniano” (ed è quello che mi appresto a fare, beninteso coi miei concetti e coi miei termini), troviamo inevitabilmente qualcosa di diverso; possiamo riconoscere, cioè, all’interno dell’ “evoluzione” (termine di per sé neutro: tutte le cose “evolvono”) tratti che sembrano portare al “Progresso” e tratti che portano invece verso la “Modernizzazione”.
Quella appena menzionata può essere un’ulteriore e stimolante distinzione: i due concetti, infatti, per quanto confusi anche da sedicenti oratori politici, non sono equivalenti, e a volte si presentano come addirittura opposti!
Ci possono essere “modernizzazioni” che non portano al progresso (a un maggiore benessere collettivo, per esempio), e ci può essere un “progresso” basato più sulla tradizione, che sulla “modernizzazione”.
Ci possono essere infine fortunati periodi storici in cui l’evoluzione è improntata sia dalla “modernizzazione” che dal “progresso”.
A mio parere, a partire dal ’68 è cominciata una grande opera di “modernizzazione”, che include le battaglie per il Divorzio e per l’Aborto, ma anche la “berlusconizzazione” della Politica e dei Media.
Sembra strano, eppure sono fenomeni che vanno verso la stessa direzione: archiviare la cultura “doveristica” degli anni ’50, tipica del cattolicesimo, ma anche del comunismo italiano, a favore di un “liberi tutti” (più tv, più spirito di vendita, più nudi, più opportunità basate non sulla crescita graduale, ma sulla capacità di “svoltare”, più apprendimenti non mutuati dalla Scuola). “Modernizzazioni che non automaticamente hanno generato “progresso”.
Torniamo al Gassman-Profeta del 1968. Dicevamo che si era ritirato sul Soratte, e viene riportato a Roma dagli eventi (VEDI FOTO).
Nulla abbiamo detto, però, su come sia maturata la decisione: un’improvvisa difficoltà economica, o esistenziale?, un apprendistato culturale attraverso testi orientali?, un richiamo alla vita agricola e pastorale degli antenati?.
In una Roma caotica, e pressoché invivibile (per quanto, ribadisco, provvista comunque di “antidoti”: Ann Margret vive in una paradossale comune di giovinastri, insediatasi dentro uno sfascia carrozze), Gassman e la moglie si ritrovano un giorno in auto, assediata da un traffico rumorosissimo, e soprattutto: completamente fermo. Il protagonista dice alla moglie che va a prendere le sigarette. E va. Sul Soratte!
25 anni dopo (1993), anche Michael Douglas abbandonerà la sua automobile nel traffico urbano, iniziando un percorso di violenza e disperazione: in “Un giorno di ordinaria follia”, regia di Joel Schumaker. In un quarto di secolo, e un po’ d’oceano (e di capitalismo) in mezzo, si passa dalla capra alle armi da fuoco. E’ la Modernizzazione, bellezza!
Ma se fosse più semplicemente “tutta colpa del traffico”?
8 e ½ (Federico Fellini, 1963):
https://www.youtube.com/watch?v=oJsp0PPv6Tg .
Week end (Jean-Luc Godard, 1967):
https://www.youtube.com/watch?v=8ScGLdfqdYo .
(La carrellata più lunga della storia del cinema. Da WIKIPEDIA: La macchina da presa, installata su rotaie nel campo di fianco alla strada, si muove alla stessa velocità della cabriolet nera degli attori, che supera con estrema lentezza la coda dell’ingorgo. In totale il piano sequenza dura oltre 9 minuti primi per 300 metri di lunghezza.)
L’Ingorgo (Luigi Comencini, 1978):
https://www.youtube.com/watch?v=h8ASZ0yc9Bo .
E se “il traffico” fosse diventato luogo privilegiato della consapevolezza individuale e sociale?
Gianfranco Domizi