“When you sit with a nice girl for two hours you think it’s only a minute, but when you sit on a hot stove for a minute you think it’s two hours. That’ is relativity.”
“Sedete per due ore in compagnia di una bella ragazza e vi sembrerà sia passato un minuto. Ma sedetevi su una stufa rovente per un minuto e vi sembrerà che siano passate due ore. Questa è la relatività”.
In questi primi giorni post isolamento per covid 19, mi sono soffermata più volte a riflettere su questa frase di Albert Einstein scritta sul New York Times , appena due anni prima l’esecuzione del dipinto “La persistenza della memoria” di Salvador Dalì, di cui tratterò tra poco.
Un po’ per la mia inguaribile curiosità, e un po’ per cercare conferma, a chiunque incontrassi, tra gli amici ritrovati dopo quasi tre mesi, ponevo questa domanda:
“Come hai vissuto questo tuo tempo ristretto?”
Le risposte erano diverse. Chi mi diceva di averlo tutto sommato trascorso senza troppe difficoltà, dedicandosi di più alla lettura oppure alla scrittura o alla cucina, per cui non aveva avuto la sensazione di vivere un tempo infinito, chi invece mi raccontava che le giornate non passavano mai e guardava spesso l’orologio sperando che il tempo scorresse più in fretta. Chi lo ha vissuto da solo, chi insieme alla famiglia, chi con un animale domestico che diventava spesso un grande, muto e paziente compagno. E chi stringendo relazioni virtuali di mutuo soccorso.
Alla fine però tutti convenivano che, guardandosi indietro, quel periodo lo sentivano quasi come un tempo perduto. Un luogo quasi sospeso, onirico, sebbene reale, e doloroso per certi aspetti.
A me appare oggi come un anno a cui è stata tolta un’intera stagione. Strano e misterico che si tratti proprio della Primavera.
E allora? Abbiamo sognato? Vissuto? E per quanto tempo?
In cuor mio e con sincerità non saprei dare risposta alcuna.
Eppure sono trascorsi tre mesi. Le lancette dell’orologio sono girate per tutti nello stesso identico modo, con uguale cadenza temporale.
Quel tempo però per me non è quello di sempre. La stagione non ha lasciato profumi nella memoria, né pollini per una vita nuova, se non nei miei fastidiosi quanto lacrimevoli starnuti.
Come diceva Einstein, che di relatività se ne intendeva, un arco di due ore può rivelarsi fugace o interminabile a seconda della percezione del tempo avvertita dal singolo soggetto.
E allora mi piace ritornare all’argomento anticipato all’inizio di questo articolo: “Gli orologi molli”, ovvero “ La persistenza della memoria” di Salvador Dalì.
Niente di strano che l’influenza, sia di Einstein che di Freud , sia stata determinante nella scelta degli elementi che compongono il dipinto.
Il ricordo dei luoghi realmente vissuti, la percezione del tempo, l’elemento onirico, si mescolano sulla tela, intrecciandosi nei cromatismi accesi. Un paesaggio surreale intriso di mistero, bellezza, dolore, decadimento. Eros e Thanatos.
E’ stato lo stesso Dalì, pittore catalano appartenente alla corrente del Surrealismo e uno degli artisti più discussi del ‘900, a narrarci la gestazione dell’opera in La mia vita segreta:
«E il giorno in cui decisi di dipingere orologi, li dipinsi molli. Accadde una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa, il che mi succede alquanto raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni amici e invece, all’ultimo momento, io decisi di rimanere a casa. Gala, però, uscì ugualmente mentre io pensavo di andare subito a letto. A completamento della cena avevamo mangiato un camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico dell’ ipermollezza posto da quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier, com’è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una veduta di Port Lligat; gli scogli giacevano in una luce alborea, trasparente, malinconica e, in primo piano, si vedeva un ulivo dai rami tagliati e privi di foglie. Sapevo che l’atmosfera che mi era riuscito di creare in quel dipinto doveva servire come sfondo a un’idea, ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell’ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei più famosi, era terminato».
Beh, cosa aggiungere oltre se non qualche osservazione su alcuni elementi del quadro, col tentativo modesto, ma spero proficuo, di rendere giustizia ad una delle più famose opere di Dalì .
Gli orologi del dipinto sembrano sciogliersi come formaggio molle: uno appare flaccidamente appeso ai rami secchi di un albero d’ulivo, un secondo è afflosciato sul bordo di un basamento, un terzo è adagiato come drappo su una creatura amorfa dormiente. Un quarto orologio, adagiato sul basamento, è ricoperto di formiche divoratrici, mentre una mosca si posa sull’orologio a fianco, come a dire che il tempo vola. A proposito di formiche, Dalì pare ne fosse ossessionato , tant’è che in una sequenza di “Un chien andalou”, il film surrealista per eccellenza, partorito dagli inconsci di Salvador Dalí e Luis Buñuel, quest’ultimo al suo debutto alla regia, si vedono le formiche uscire da un foro nella mano di Pierre Batcheff, l’attore protagonista.
Immagine che lo stesso Dalì disse di aver sognato.
Tornando all’opera pittorica, Gala profetizzò subito il suo straordinario valore sostenendo:
” Nessuno che li abbia visti potrà mai dimenticarli”
Il dipinto dal titolo originario di “Orologi molli”, restò all’inizio invenduto ma presto, col nome di “ La Persistenza della Memoria”, nel 1932, fu acquistato dal gallerista Jullen Levy ed esposto in diverse mostre a New York. Il quadro divenne celebre quando fu presentato a una collettiva intitolata “Surrealisme”, alla Julien Levy Gallery di New York.
Ad un ricevimento dato in suo onore, Dalì si presentò con sua moglie Gala e una scatola di vetro sul petto, contenente un reggiseno.
Fu uno scandalo, ma la sua immagine di genio folle ne uscì vincente.
Lui stesso circa la “sua follia” affermò:
“ C’è una differenza tra me e un pazzo: io non sono un pazzo”
Anna Bruna Gigliotti