Ha fatto molto discutere l’intervista fatta al Professor Montagnier (co-scopritore del virus dell’AIDS e premio Nobel per la Medicina 2008), il quale ha asserito in un’emittente francese che il Covid-19 è un virus ingegnerizzato. L’insigne ricercatore ha serenamente affermato che, secondo lui, il nuovo SARS-CoV-2 sarebbe uscito accidentalmente da un laboratorio cinese a Wuhan dove, tra i vari esperimenti, si studia anche un vaccino per l’Aids. Alla domanda di un giornalista che gli ha chiesto se, in seguito aquesta impopolare affermazione, temesse il biasimo da parte del mondo scientifico, lui ha risposto che essendo egli un premio Nobel per la Medicina, nessuno può impedirgli di fare ricerche in direzioni diverse da quelle standard. Naturalmente molti illustri scienziati si sono adirati a tali affermazioni e pertanto, attraverso argomentazioni razionali, hanno ribadito la tesi ufficiale e cioè quella che il coronavirus abbia fatto il salto di specie passando da un pipistrello all’uomo, attraverso un non ben definito animale intermedio. Questo passaggio sarebbe avvenuto nel mercato di Wuhan per mezzo della macellazione di animali vivi effettuata senza alcuna norma igienico-sanitaria.
Il 20 marzo scorso, in seguito ai primi dubbi sulle origini del nuovo coronavirus emersi da fonti attendibili e divulgati da media tradizionali, ho scritto un pezzo in cui sostenevo che il dibattito scientifico fondato sul confronto rappresenta l’unico comburente autentico della ricerca scientifica e risulta necessario a garantire un’informazione etica a 365 gradi. Possiamo altresì considerarlo un presupposto indispensabile non solo a chiarire dubbi e perplessità, ma utile perfino ad impedire che soggetti particolarmente suggestionabili vengano sedotti da idee strampalate, deliranti e talvolta finanche pericolose.
https://www.lintelligente.it/2020/03/20/il-dubbio-come-diritto-di-una-societa-democratica/
Personalmente non sono in grado di comprendere se le origini del nuovo coronavirus siano da attribuire a un laboratorio di Wuhan o se abbia fatto il salto di specie in modo naturale all’interno del mercato della nota città cinese, non ho né gli strumenti, né i titoli e neppure le competenze per poterlo affermare; tuttavia ho buone ragioni per fornire qualche spunto di riflessione. Ignác Semmelweis, medico ungherese (1818-1865) al quale è stata intitolata (giustamente) l’Università di scienze Semmelweis, è noto al mondo per l’allora straordinaria intuizione (siamo a metà Ottocento) secondo cui il lavaggio delle mani da parte di chi interagiva con le partorienti, diminuiva notevolmente la mortalità delle neo mamme. Questa straordinaria osservazione avrebbe dovuto suscitare entusiasmo, interesse o almeno curiosità da parte del mondo scientifico e invece non solo il brillante medico attirò su di sé gelosia e risentimento, ma molti colleghi lo indicarono anche come una persona folle e ossessionata dalla mania di protagonismo.
La letteratura scientifica è ricca di questi aneddoti. Non è necessario andare a spulciare nei secoli lontani per avere degli esempi, è sufficiente dare uno sguardo a ciò che è accaduto in epoca relativamente recente con l’ H. Pylori. Nel 2005, il Karolinska Institut di Stoccolma ha assegnato a Barry James Marshall e a Robin Warren il premio Nobel per la Medicina con la seguente motivazione: “Per avere scoperto il batterio Helicobacter pylori e il suo ruolo nella gastrite e nell’ulcera peptica”. Scoperta che poi si è rivelata fondamentale nella prevenzione del tumore allo stomaco facendo sì che quell’intuizione scientifica fosse annoverata tra le più importanti scoperte del ‘900. Tuttavia pochi sanno che i due premi Nobel per la medicina (tra l’altro Barry Marshall all’epoca della scoperta era un ricercatore studente australiano e di lui si diceva che amasse più il self che i laboratori) furono criticati, derisi e umiliati a più riprese da tantissimi insigni rappresentanti della comunità scientifica. Dopo qualche anno arrivarono i primi dubbi, poi qualche dibattito accompagnato da iniziali conferme e solo dopo quasi un ventennio, nel 2004, giunse il meritatissimo Premio Nobel che mise tutti d’accordo. Insomma, se i ricercatori utilizzassero un po’ di più il condizionale al posto dell’imperativo, e cioè anteponessero il dubbio al dogma, a mio avviso, interpreterebbero meglio l’essenza del pensiero scientifico che, come ben sappiamo, ha la peculiarità di acquisire valore e credibilità non dalla verità indiscussa e ortopedizzata sul sapere noto, ma proprio attraverso quelle smentite che solo le nuove scoperte possono apportare.
Antimo Pappadia