Ven. Nov 22nd, 2024

Stamattina mi sono svegliata con mal di testa e schiena a pezzi, manco avessi fatto chissà che ginnastica notturna! Tra poco transiterò lungo il corridoio come un bradipo alla ricerca di un appiglio. Essendo una femmina bradipo, e non un maschio che per tutta la vita vive su un unico albero, mi tocca muovermi di albero in albero o per meglio dire di stanza in stanza.

Il mio isolamento protratto mi avvicina sempre di più a questo simpatico quanto solitario mammifero. Ho letto da qualche parte che la caratteristica del bradipo è che, vivendo in ambiente tropicale umido, ha una pelliccia cosparsa di minuscole alghe. Sbircio tra i capelli per trovarne almeno una!

All’interno della pelliccia, mirabile dictu, ospita coleotteri e farfalle notturne. E questa è cosa certa anche per me!

La mia farfalla diurna e notturna è Bea, mia nipote, che come me “bradipa” in questo mondo ormai confinato e sconfinato.

Lei dorme e la lascio fare. Tra non molto saranno le 10 e lei urlerà fame. Non urla in verità, anzi sorride grata ché sa già che troverà un vassoio colmo dell’impossibile.

Verso le 11, che lei è davvero un bradipo quando mangia, le reciterò a copione e di seguito la stessa tiritera: dai, svelta,(che poi che glielo dico a fa’ che non è nel suo DNA), lavati, vestiti ( mi guarda a volte basita per questa mia richiesta davvero insensata. Fosse per lei, e a ragione, resterebbe per sempre così: bellissima, spettinata e col pigiama), devi studiare!

Studiare non è un atto che si compie da soli e in concentrazione, eh no, studiare è un’ operazione comunitaria. Cioè che si fa insieme in questa nostra piccola comune e, horribile dictu, toto die! Bene, per ora tutto tace! Ho ancora una mezzoretta di aria, quella fuori dalla finestra che pare luminosa in prospettiva occulta.

Do una sbirciatina al mio cellulare: muto. Resto delusa. Da un po’ di giorni una voce prima discreta, poi sempre più presente fino a sfiorarmi con un’ ilarità contagiosa fatta di ironia, intelligenza e velato piacere di piacere, ha riempito occhi, testa, cuore e le mie interminabili giornate. Grata sorrido per questo inatteso regalo che mi fa sentire ancora viva nonostante tutto.

Mi avvio lungo il corridoio lentamente e a piedi scalzi, necessariamente, altrimenti potrei inciamparmi nelle pantofole.

La mattina mi sento un po’, come dire, ubriaca.

Essere ubriachi non è sempre dipendente da una bella bottiglia di rosso o, in momenti di festeggiamenti, anche in diade privata, da un franciacorta rigorosamente freddo e con bollicine.

Eh no, essere un bradipo etilico è una condizione esistenziale transitoria o permanente. Questa mia la valuterò a fine clausura indotta.

Come ogni mattina, afferro un libro di poesie posto sulla mensola alla fine del corridoio. Ho sempre una voglia urgente di bellezza alla mattina, per cui non sfoglio, non cerco, lascio che sia il fato o il caso a decidere per me. Resto sempre mio malgrado, in questo mondo razionale, in uno spartiacque tra il reale e l’irreale, meglio surreale, il serio e il faceto, il concreto e l’astratto, il possibile e la sconfinata terra dell’impossibilità che per effetto delle bollicine resta per un po’ l’unica vera certezza volatile.

Ed ecco il mio amato Herman Hesse! Chi non conosce H. Hesse! Un idolo per la mia generazione!

Nato il 2 luglio 1877 a Cawl, in Germania, morì a Montagnola, in Svizzera, il 9 agosto del 1962.

E’ stato uno scrittorepoetaaforistafilosofo e pittore tedesco naturalizzato svizzero, insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1946. Seppe raccontare l’oriente agli occidentali come nessun altro.

E’ conosciuto dai più per il suo romanzo di formazione, Siddhartha, che lui stesso definì come un “poema indiano” nel quale si fondono filosofia e spiritualità indiane con il linguaggio e la filosofia occidentale. Hesse fu un pacifista convinto, riconobbe in tempi non sospetti i pericoli delle ideologie nazionalistiche che terminarono nel nazismo, così come in seguito fu contrario all’americanizzazione dell’Europa e al totalitarismo dell’Unione Sovietica.

«Non basta disprezzare la guerra, la tecnica, la febbre del denaro, il nazionalismo. Bisogna sostituire agli idoli del nostro tempo un credo. È quel che ho sempre fatto:

nel Lupo della steppa sono Mozart, gli immortali e il teatro magico; nel Demian e in Siddhartha gli stessi valori, solo con nomi diversi.» ( H.Hesse 1928)

 

E fu proprio negli anni negli anni ’60, negli Stati Uniti, e dopo la sua morte, che divenne un autore di grido tra i giovani pacifisti e hippie, che rifiutavano la guerra del Vietnam e la materialità della società occidentale, ma anche il comunismo sovietico.

Come non amarlo!

Apro il libro e leggo:

“Canto d’amore

 

Vorrei essere un fiore

E tu venissi, piano,

a cogliermi, a spiccarmi

e mi tenessi in mano.

 

Mi piacerebbe anche essere vin rosso

e dolce alla tua gola

e scender tutto dentro a te e sanare

me pure, non te sola

 

Una dolce sensazione di ebbrezza mi pervade. Era quello che cercavo in questo mio bisogno di perdermi dentro i versi e nei suoi fumi etilici inebrianti.

Ed ancora un’altra poesia, offerta a me, cosi per caso, di cui riporto due versi:

 

Senza di te

Di notte sta a guardarmi il mio guanciale

Come marmo deserto in cimitero;

non mai mi sembrò vero

che fosse così amaro essere solo,

senza la chioma tua su cui posare.

[…]

Bevo cordoglio in ogni mio piacere,

veleno in ogni vino;

potevo mai sapere

che fosse così amaro essere solo,

solo, e senza di te.

 

Ecco, il mio cuore bradipo ora è pago! Posso riporre il mio libro e cominciare la giornata, la stessa da ormai parecchi giorni di clausura. Apro la finestra e ascolto il suono delle sirene su un altro interminabile dolore, ma con cuore grato.

Voglio terminare questo mio articolo con un aforisma di H. Hesse che mi pare adatto al mio sentire di oggi. Domani…chissà:

 

“L’amore non esiste per renderci felici, ma per dimostrarci quanto sia forte la nostra capacità di sopportare il dolore.”

 

 

Anna Bruna Gigliotti

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