Dom. Nov 24th, 2024

Il Coronovirus ci ha regalato un completo ribaltamento dell’ordine del discorso politico. O più precisamente: ha rimesso la testa al posto della testa e i piedi al posto dei piedi, mentre fino a qualche settimana fa la politica viaggiava con i piedi per aria trascinando la testa sul pavimento.

Ci siamo accorti, risvegliato da un incantesimo lungo quasi trent’anni, che l’enfasi sulle presunte autonomie locali ha prodotto quadri politici di livello infimo e grande confusione su ruoli e compiti tra i livelli istituzionali. In un batter di ciglia abbiamo archiviato, ed era ora, federalismo (ché mai si è visto uno Stato unitario divenire federale ex post), autonomia differenziata, super poteri ai governatori, per i più acuti forse anche l’elezione diretta dei Presidenti di Regione: l’emergenza ha dimostrato, assieme a molti scivoloni dei Presidenti di Regione, la necessità di avere uno Stato centrale forte, autorevole, che si assuma rischi e responsabilità nei momenti di tensione (e non solo).

La pugnalata della Lagarde, l’assoluta mancanza di solidarietà dei vertici dei Paesi europei (fino al sadico stop alle mascherine da Francia e Germania) sono i segni di cui l’opinione pubblica italiana aveva bisogno per prendere atto di una evidenza lapalissiana. L’Unione Europea è fondata su dogmi liberisti: non esiste un’altra Europa, perché senza quei dogmi crolla l’edificio.

Scavalcati in sovranismo persino dal Presidente della Repubblica Mattarella, gli ultimi europeisti residui provano a balbettare qualche incomprensibile da-da. Dadaismo, primitivismo, nostalgia di un universo politico già tramontato. Se è vero, come è vero, che persino i giornali del capitalismo italiano si sono già riposizionati. Qualunque cosa accada nei prossimi giorni, il Re è nudo e non si torna indietro.

L’Italia si ferma. Ma non tutta: gli operai continuano ad andare in fabbrica. Per loro decidono, ferie e permessi forzati, i datori di lavoro. Perché a quanto pare gli operai non si ammalano, il coronavirus “li schifa e li odia”.

Ma, si pensi che pretesa, tanti operai dalla Lombardia alla Puglia scioperano spontaneamente. I confederali tacciono (e mica solo tra gli operai: in dieci giorni di sospensione delle lezioni, quelli della scuola non sono riusciti a dare una indicazione che fosse una), ma gli operai si auto-organizzano per tutelare la propria salute. Perché il lavoro è importante. Ma per non morire di fame, prima devi non morire. A emergenza finita, dalle parti di Cgil, Cisl e Uil mi aspetterei brutti risvegli.

Ultimo, ma non per importanza: ci siamo ritrovati più vicini e fiduciosi nei confronti del pubblico.

E soprattutto convinti e consapevoli che i beni essenziali, vitali (la salute, ma anche l’istruzione) siano più sicuri in mani pubbliche e con finanziamenti adeguati. Medici, infermieri, OSS e tutto il personale della sanità sono oggi, per gli Italiani, operosi autori della speranza.

Ricordate le filippiche contro gli sprechi, a favore della spending review? Ricordate economisti, ministri, assessori regionali che si vantavano di aver chiuso reparti e ospedali, di aver ridotto i fondi e di aver messo i conti in ordine?

Io no. Preferisco non ricordarli e godere di questo momento in cui, dopo una lunga traversata, abbiamo smesso di predicare nel deserto. “Ma sia nella massima, sia nella minima felicità è sempre una cosa sola quella per cui la felicità diventa felicità: il poter dimenticare” (F. Nietzsche, Considerazione inattuale – Sull’utilità e il danno della storia per la vita, 1876).

 

 

Alessandro Porcelluzzi

 

 

 

 

E quindi, l’Italia s’è desta? Anche e soprattutto quelli che dovrebbero essere “schifati” dal Coronavirus? Gli si augura entrambe le cose: di essere fra i più pronti a destarsi, e di non dover pagare i prezzi che medici e infermieri sono stati costretti a pagare. E io personalmente lo auguro in poesia (quasi rap!).

Gianfranco Domizi

 

L’insetto

 

Hai presente le mosche assassinate dalla mano

di un umano, schiacciate sul comò o sul lavandino,

il moto delle zampe a implorare un destino,

più non vanno né lontano, né vicino.

Hai presente l’agonia d’una stupida morte,

contorti in pose estreme non c’è niente di normale,

però faresti male a dare retta all’ingannevole sorte
d’un insetto orizzontale …

 

Hai presente l’inutile voltare la testa,

a destra e sinistra, per cercar la finestra,

ma l’unica ala ch’è rimasta quasi illesa magari gli basta,

l’insetto è risorto ed è tornata l’insistenza della bestia.

Hai presente la gente quando troppo sopporta

i capricci d’una setta pervertita e disonesta,

la finanza corrotta tutto prende e rivende,

è l’impero del denaro sopra il cittadino ignaro.

 

Però quando a fatica rialziamo la testa, 

e guardando la finestra, socchiusa o aperta,
siamo come l’insetto che volando si desta, 

già lontano dalla mano e la paletta.  

 

La gente è un insetto che prepara l’azione,

non le serve un concetto ed è superflua un’opinione,

la gente è un moscone che sbatte sul vetro,

per poco s’arretra e ricomincia a volare.

La gente sta attenta, non la credere assente,

sembra un po’ tramortita, ma non per questo è finita,

la gente è una mosca che sopporta la merda,

ma se è aperta la porta, la sua ala è già pronta …

… e la volta è stavolta, l’insetto si desta,

adesso più non si volta ed ha fretta.

 

Non volano soltanto il falco e il gabbiano, 

non volteggiano soltanto l’aquila e l’airone, 

chiedo scusa a Giorgio Gaber, 

ma qui vi dichiaro che la libertà 

tarà nel volo d’un moscone.

 

“-L’insetto- Opera di Gianfranco Domizi”

 

 

 

 

 

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