Gio. Nov 21st, 2024

“Donne mie care, voi potete, così come io, molte volte avere udito che a niuna persona fa ingiuria chi onestamente usa la sua ragione”.

Con queste parole Pampinea inizia a parlare alle sei giovani donne riunitesi insieme a lei nella chiesa di S. Maria Novella a Firenze, un martedì del 1348, mentre la città è devastata dalla peste. A loro si uniranno tre giovani. Inizia così a prendere forma il Decameron del grande Boccaccio, una delle opere più importanti della Letteratura del Trecento. Decameron significa letteralmente “di dieci giorni”. La cornice dell’opera infatti vede un gruppo di giovani ( sette ragazze e tre ragazzi) che decide di fuggire da Firenze per rifugiarsi in campagna per trascorrere dieci giorni in serenità, suonando, danzando e raccontandosi novelle.

Ognuno di loro a turno sarà regina o re e deciderà il tema a cui le novelle dovranno attenersi.

La prima regina è Pampinea, la più grande per età, e inizierà i “giochi”.

Adunque, – disse la reina – se questo vi piace, per questa prima giornata voglio che libero sia a ciascuno di quella materia ragionare che più gli sarà a grado. 

E rivolta a Panfilo, il quale alla sua destra sedea, piacevolmente gli disse che con una delle sue novelle all’altre desse principio; laonde Panfilo, udito il comandamento, prestamente, essendo da tutti ascoltato, cominciò così.

Seguiranno novelle su svariati temi quali: storie con un lieto fine, l’amore infelice, l’amore felice raggiunto dopo numerose peripezie, mariti beffati dalle loro mogli, mogli beffate dai mariti, storie d’amore vissute con cortesia e bontà di cuore. Insomma nella narrazione prende vita una girandola di personaggi a volte furbi, a volte creduloni, a volte dal cuore nobile e sincero. Gente comune, popolana, borghese o di piccola nobiltà, che parla una lingua comprensibile a tutti. Non manca quindi un vocabolario a volte anche colorito per descrivere situazioni grottesche e libertine.

Con quest’opera scritta tra il 1349 ( anno seguente alla terribile epidemia) e il 1353 , il Boccaccio vuole

dimostrare come sia possibile contrastare le disgrazie che possono colpirci e dedica alle donne questa opera. Le donne che, non avendo distrazioni come gli uomini, danno sfogo alla fantasia e hanno maggior tempo da dedicare alla lettura.

E chi non ricorda personaggi come Ser Ciappelletto, Chichibio cuoco, Federigo degli Alberighi, Andreuccio da Perugia, Il marito geloso, Lisabetta e la sua pianta di basilico in cui aveva nascosto la testa mozzata dell’amato.

Come tutti sapranno le giornate sono 10 e le novelle 100, ma non è del tutto esatto.

In verità le novelle sono 101 e forse non tutti ricorderanno di quale novella si tratti e del perché di questa aggiunta.

Ebbene le novelle del Boccaccio iniziano a circolare prima della stesura completa dell’opera. Infatti alla terza giornata eccole già in giro e…ahimè, sulla bocca di tutti!

Bisogna correre ai ripari e il nostro Autore nell’introduzione alla quarta giornata prende lui stesso la parola in difesa dei suoi scritti accusati di licenziosità.

Il Boccaccio quindi per dimostrare che non vi è nulla di immorale e di osceno nella materia trattata nel testo, narra una breve novella ( la centunesima della raccolta) dal titolo “ La novella delle papere” e che resterà priva di conclusione, per differenziarla dalle altre, ma che avrà lo scopo di far comprendere quanto di naturale vi sia nel sentimento amoroso e nella pulsione sessuale.

Il protagonista è un fiorentino che, rimasto vedovo, si ritira come eremita portando con sé l’unico figlio che vuole tenere lontano dalle tentazioni del mondo. Il giovane però convince il padre a portarlo in città e, giunto lì, comincia a notare la bellezza delle donne. Chiesto al padre quale sia il nome di tale bellezza, si sente rispondere che si tratta di “papere”.

 

[…]le quali come il giovane vide, così domandò il padre che cosa quelle fossero.
A cui il padre disse:
– Figliuol mio, bassa gli occhi in terra, non le guatare, ch’elle son mala cosa.
Disse allora il figliuolo:
– O come si chiamano?
Il padre, per non destare nel concupiscibile appetito del giovane alcuno inchinevole disiderio men che utile, non le volle nominare per lo proprio nome, cioè femine, ma disse:
– Elle si chiamano papere.

 

Al che il giovane chiede di poterne avere una.

 

Maravigliosa cosa a udire! Colui che mai più alcuna veduta non n’avea, non curatosi de’ palagi, non del bue, non del cavallo, non dell’asino, non de’ danari né d’altra cosa che veduta avesse, subitamente disse:
– Padre mio, io vi priego che voi facciate che io abbia una di quelle papere.
– Ohimè, figliuol mio, – disse il padre – taci: elle son mala cosa.

 

Il padre si pente d’averlo portato a Firenze in quanto la forza dell’eros è più grande di qualsiasi ragione.

 

A cui il giovane domandando disse:
– O son così fatte le male cose?
– Sì – disse il padre.
Ed egli allora disse:
– Io non so che voi vi dite, né perché queste siano mala cosa; quanto è a me, non m’è ancora paruta vedere alcuna così bella né così piacevole, come queste sono. Elle son più belle che gli agnoli dipinti che voi m’avete più volte mostrati. Deh! se vi cal di me, fate che noi ce ne meniamo una colà su di queste papere, e io le darò beccare.
Disse il padre:
– Io non voglio; tu non sai donde elle s’imbeccano -; e sentì incontanente più aver di forza la natura che il suo ingegno; e pentessi d’averlo menato a Firenze.

Non dobbiamo però meravigliarci né del comportamento di questo padre, né della censura del Trecento se lo stesso Decameron di Pasolini, film del 1971, tratto dall’omonima opera del Boccaccio, avrà la stessa sorte. Infatti il film incontra diversi problemi e viene sequestrato. Si apre anche un processo che alla fine, e per fortuna, vedrà tutti gli imputati assolti.

In Germania e in altri Paesi avrà invece grande successo, vincendo L’Orso d’ argento al Festival di Berlino.

La genialità del Pasolini si coniuga alla grande con quella del Boccaccio e anche la scelta della lingua con cui i personaggi si esprimono, quella napoletana, in fondo in fondo li avvicina ancora di più. Ambedue infatti operano una scelta precisa e controcorrente. Libera e libertina.

Pasolini afferma: “ Ho scelto Napoli contro tutta la stronza Italia neocapitalistica e televisiva:

niente Babele linguistica dunque, ma puro parlare napoletano”

 

A me piace pensare che anche il Boccaccio ne avrebbe sorriso, in barba a tutti i benpensanti, parrucconi e moralisti di ogni secolo…a venire.

 

 

Anna Bruna Gigliotti

 

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