Se la si osserva con un minimo di distacco, la politica italiana si presenta come una replica, con anni di ritardo, di film che altri Paesi hanno già visto, superato, quasi dimenticato. Non è sempre stato così: anzi, al contrario, l’Italia è stata a lungo un laboratorio, un tassello anomalo e inedito, innovativo, del mosaico europeo e internazionale.
E invece oggi dominano l’agenda nostrana temi assurdamente datati. Persino le formule di semplificazione, nella comunicazione e nella propaganda, fanno sorridere per la loro vacuità stantia.
Le Sardine, ringalluzzite dalla vittoria del centrosinistra alle regionali emiliano-romagnole, stanno facendo il giro dei ministri (a che titolo siano invitati, quale rappresentatività abbiano, sono domande scomode e noiose da polemico hater, quindi evito).
In questo tour lanciano proposte come l’Erasmus tra Nord e Sud Italia o l’idea di portare l’Unione Europea (immagino un qualche rappresentante di una delle sue istituzioni) a Taranto a discutere di Green New Deal.
La percezione del Paese che hanno evidentemente è questa. Facciamo muovere qualcuno da qua a là, invitiamo qualcun altro a parlare, facciamo conoscere emiliani e pugliesi: tra una festa e un concerto, con gemellaggio e scambio tra gnocco fritto e orecchiette, tutto andrà per il meglio: United Colors of Benetton, appunto, applicato su scala interregionale.
Anche la neo vicepresidente della Regione Emilia Romagna, Elly Schlein, che la stampa progressista ha già di fatto trasformato nella leader della sinistra nazionale, non manca di offrire il proprio contributo essenziale sui temi che preoccupano i cittadini.
Ed ecco riferimenti al Friday for future, alla accoglienza, ai diritti civili. Su questo ultimo punto offre sé stessa come testimonianza.
Nella migliore tradizione leaderistica, il corpo del leader (in questo caso: della leader) diventa parte della azione politica, si fa programma, occupa la scena. E quindi la Schlein ci informa di avere amato molti uomini e molte donne e di essere ora fidanzata con una donna con cui è felice. Il suo essere bisessuale, la sua relazione con una donna, sono un plus, un lasciapassare per certi ambienti.
Tutto questo, visto con le lenti di un anglosassone, suona vecchissimo. Le politiche identitarie, con la coda legislativa delle affirmative actions, il politicamente corretto, l’esaltazione e l’ostentazione di differenze e orientamenti sessuali sono, vien da dire: per fortuna, venute a noia ai Paesi che li hanno inventati e applicati per qualche decennio.
È sufficiente appunto osservare i dibattiti di oggi in Usa o in UK per rilevare la distanza da questi temi. Proprio in queste ore Boris Johnson sostituisce il Cancelliere dello Scacchiere, il ministro dell’Economia, perché incompatibile con la politica economica di sostegno alla domanda interna che il premier britannico vuole avviare.
È un conservatore che taglia con la dottrina neoliberista e lo fa defenestrando un ministro. Al di là delle letture demenziali della stampa di casa nostra in Gran Bretagna si sono confrontati due partiti, i cui leader (Johnson e Corbyn) hanno entrambi rinnegato le tesi di teoria economica che sono stati dominanti per oltre due decenni. E a guardare le primarie americane potrebbe accadere lo stesso negli USA se davvero sarà alla fine Sanders stavolta a sfidare Trump.
Il neoliberismo è morto nelle sue terre natie. E le politiche delle differenze, le politiche delle identità, l’enfasi sempre e solo su diritti civili et similia scompaiono dall’orizzonte proprio perché erano la carota da regalare a certa opinione pubblica in cambio della passività al bastone delle politiche di distruzione del mercato del lavoro, delle garanzie sociali, del welfare universalistico.
Speriamo di non dover aspettare vent’anni per rivedere anche in Italia, a destra e a sinistra, al centro della agenda, dei dibattiti, dello scontro politico questi temi.
Ci fu un tempo, che oggi sembra remotissimo in cui una sola parola dominava la scena politica: lavoro.
Oggi invece tra Erasmus e flash mob sono tutti in ferie, in gita, in vacanza.
Alessandro Porcelluzzi
-Ci fu un tempo- Opera di Gianfranco Domizi
Ci fu un tempo, e anch’io me lo ricordo,
in cui il corpo elettorale era un corpo vivo,
disdegnava l’elemento conservatore e retrivo
nel miraggio di un grande cambiamento:
riforme?, rivoluzione?: palla al centro,
ma sempre con al centro la dignità e il lavoro,
e che i figli studiassero era il vero tesoro,
e ciò che succedeva era figlio del tempo.
Poi vennero il Divorzio e l’Aborto,
si modernizza il paese, pagandone i prezzi,
al femminismo non eravamo certo avvezzi,
ma al dunque c’ero anch’io, e non mi pento.
Oggi potrei dire: me li avete fatti a pezzi,
continuate a cantare, io sto fuori dal coro,
non sto a riproporre ciò che ai tempi capivo,
e se mi chiedono … faccio finta di niente.