Gio. Nov 21st, 2024

Napoli mi stupisce ogni volta che vi ritorno per ricongiungermi alla mia famiglia, e non solo per la bellezza indiscussa della città, ma anche e soprattutto perché luogo di cultura a 360 gradi.

Questa volta la mia curiosità e la mia voglia di bellezza mi portano al PAN, il palazzo delle Arti di Napoli in via dei Mille, dove è stata allestita la mostra “ Joan Mirò. Il linguaggio dei segni”.

Le 80 opere originali, tra quadri, collages, arazzi, disegni e sculture, sono di proprietà dello Stato portoghese e fanno parte della collezione del Museo Serralves di Porto.

E’ la prima volta che a Napoli viene allestita una mostra dedicata al grande pittore catalano e per me è un’ occasione unica. Adoro questo artista!

Nelle sue opere c’è tutto l’ amore per la sua terra, la Catalogna, e per il Mediterraneo, coi suoi colori, la sua energia.

.“Un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni”, così veniva descritto Joan Mirò da Jacques Prevert, uno dei più grandi poeti francesi del Novecento.

Ed è proprio di sogni, o per meglio dire di visioni oniriche, di suggestioni, che si parla quando ci si riferisce alle opere di questo grande artista nato a Barcellona il 1893 e morto a Palma di Maiorca nel 1983. Dalle date che racchiudono il suo percorso di vita, si evince che il periodo storico in cui visse fu uno dei più drammatici in quanto ci furono due guerre mondiali, la nascita del nazi-fascismo, la guerra di Spagna. Ma fu anche il più fecondo dal punto di vista artistico. Il Fauvismo a Barcellona, il Dadaismo degli anni parigini, quando si stabilì di Montparnasse nel 1920, e infine il Surrealismo e l’Astrattismo, dopo l’incontro con Kandinsky, lo portarono a elaborare uno stile personale ed originalissimo.

Nei sei decenni di attività creativa, dal 1924 al 1981, sviluppò un linguaggio formale che trasformò l’arte del XX secolo.

Mirò fu il più surrealista tra i surrealisti, come lo definì André Breton, fondatore del movimento, artista profondamente radicale e orientato alla sperimentazione estrema, che si spinse fino alla negazione dell’arte tradizionale, per la quale provava un profondo disprezzo e che dichiarava di voler uccidere e assassinare.

Ed è tutto questo che io ricerco nella mia visita alla mostra. Voglio vedere le linee, i punti, le stelle.

Voglio assorbire più che posso le sue visioni colorate. Le sue costellazioni. La danza nella sua estrema semplificazione. Ma anche la sua anima mai doma.

Nella prima sala un grande pannello ritrae Mirò nel suo studio. Mi sta aspettando.

Davanti ai miei occhi la famosa opera del 1924, Ballerina: una linea sostituisce il corpo della ballerina, un semicerchio in alto la testa. In questo modo Miró avviò il processo di riduzione e semplificazione della figura.

Continuando il mio percorso vengo catturata e stregata dal suo mondo visionario.

Ed ecco una delle Sue Costellazioni. Joan Miró ha dedicato alle Costellazioni una serie di 23 tempere, da sempre affascinato dai colori cangianti del cielo.

Il 21 gennaio del 1940, nel suo isolamento a Varengeville sur Mer, dove aveva preso in affitto una casa per sfuggire agli orrori del regime franchista, afferrò colori e pennelli e diede avvio appunto al ciclo delle Costellazioni.

Lo stesso artista infatti così si espresse:

“Lo spettacolo del cielo mi sconvolge. Rimango sconvolto quando vedo, in un cielo immenso, un quarto di luna o il sole. Del resto, esistono nei miei quadri delle forme piccole in grandi spazi vuoti. Gli spazi vuoti, gli orizzonti vuoti, le pianure vuote, tutto ciò che è spoglio mi ha sempre fatto molta impressione”. 

E ancora:

“… sentivo un profondo desiderio di evasione e mi rinchiudevo deliberatamente in me stesso, la notte, la musica e le stelle cominciavano ad avere una parte sempre più importante nei miei quadri”.

 

Guardo ammirata l’opera: le forme morbide danno l’idea di essere degli occhi, delle ciglia.

Sono immagini fantasiose che non hanno niente a che fare con la realtà. L’intero dipinto è pieno di linee, segni. Sugli incroci delle forme e delle linee c’è il colore, in tinte chiare opposte al nero. Sembra quasi che Mirò cerchi una realtà dove il canto delle stelle gli dia la serenità e la speranza di una nuova vita. Ma io cerco nelle sue opere anche la sua anima ribelle e controcorrente.

Infatti, malgrado il suo carattere schivo e metodico, l’artista fu di natura ribelle dal punto di vista politico: il suo impegno si rivolse soprattutto contro la dittatura di Franco in Spagna. Fu anche uno dei primi artisti a criticare aspramente il sistema commerciale dell’arte.

E, a differenza di Picasso che a fine carriera disegnava su tovaglioli di carta firmandoli e rendendoli così commerciabili dai suoi collezionisti e estimatori, egli, nell’intento di “ammazzare la pittura”, come modulo di comunicazione borghese, incominciò a bruciare i propri quadri e a sottoporli ad altre sottili torture.

Ed infatti nell’ultima sala sono in esposizione opere che hanno chiari i segni distruttivi delle fiamme.

Un filmato nell’ultima saletta lo riprende mentre dipinge con grandi pennelli le sue tele che poi calpesta e infine dà alle fiamme.

Resto ammirata davanti alla forza, al coraggio di una creazione a volte autodistruttiva, terribile e magnifica, di questo incredibile, visionario Mirò!

 

Anna Bruna Gigliotti

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