Gio. Nov 21st, 2024

Proliferano e crescono come funghi dopo una giornata di pioggia, case editrici , concorsi letterari di poesia e prosa e, nel contempo, chiudono miseramente librerie ed edicole, un contrasto al quanto evidente. Tutti scrivono, pochi leggono. Sui social si pubblicano post in cui si avverte come preambolo, che il post stesso sarà un po’ lungo, comunque interessante, quasi a scusarsi della mancanza di brevità.

Questa società che ha fretta, sempre di corsa, tanto da non poter perdere tempo nel leggere un articolo che non si possa leggere in un minuto, e i sessanta secondi di cui è formato un minuto se si guarda l’orologio, sono già lunghissimi.

Tutto questo porta ad una riflessione: Scrivere perché? Leggere perché?

Chi scrive per sé, lascia scorrere sul foglio la sua mano che stringe la penna o che corre sulla tastiera. Parola dopo parola, i pensieri diventano segni che chiariscono dubbi, cercano conferme, fermano i ricordi e poi vengono chiusi in un cassetto da aprire in casi straordinari .

Chi scrive per gli altri lo fa per regalare emozioni e momenti, comunicare, raccontare, testimoniare, protestare, insegnare, e amare… Per affermare se stesso e le sue verità, che solitamente è una sola, la sua. Non può bastargli la comunicazione verbale, non bastano neanche il linguaggio del corpo e dello sguardo. Scrivere diventa una necessità imperante.

Chi scrive racconta ciò che sa e ciò che sente.

E chi legge, impara, comprende, svaga la mente e cancella i pensieri, viaggia in mondi fantastici e paralleli. Chi legge, attraverso i suoi occhi può trasformare la realtà visibile in realtà immaginaria. Può, se vuole, lasciarsi coinvolgere, ma può anche coprire le parole non sue e dimenticarle. Chi scrive non può farlo, non può abbandonare il foglio a cui è legato da filo indissolubile, deve continuare suo malgrado a far andare avanti la penna o la mano sulla tastiera.

Chi scrive perché gli altri leggano, dovrebbe sentire tutta la responsabilità delle sue parole che possono toccare il ventaglio che si apre ai sentimenti, mentre chi legge ha la fortuna immensa di non avere responsabilità alcuna.

E allora? Perché aumenta il numero degli scrittori e diminuisce quello dei lettori?

La domanda potrebbe avere mille risposte. Una potrebbe essere che i social hanno “sdoganato” il senso della responsabilità di cui sopra, ciascuno scrive ciò che sente, un’autoterapia condivisa, simile alle terapie di gruppo in cui ciascuno raccontando la propria storia si sente meno solo e il bisogno di raccontare è più forte di quello dell’essere ascoltato. Alla fine diventa un parlarsi addosso come in certe trasmissioni televisive, dove non è importante il come o il cosa si dice, ma il prevaricare l’altro con le proprie idee.

La soluzione? Forse, tornare ad ascoltare l’altro senza interromperlo, forse, tornare al noi e mettere un po’ da parte l’io; forse, tornare a vivere con più lentezza. Forse, comprendere che una pagina scritta da un altro apre la porta sull’universo, e regala mille avventure. Quando Giulio Verne scrisse Viaggio Al Centro Della Terra, forse, intendeva regalare una metafora. Noi tutti, compagni di viaggio nell’avventura della vita, dove c’è però lo scienziato, il leader, quello che avendo più esperienza, si assume le responsabilità del percorso da seguire e che è produttivo ascoltare al fine di meglio comprendere proprio il senso del viaggio.

In due parole: lo scrittore.

 

 

Nadia Farina

L’opera in foto è: Leggendo Neruda di Nadia Farina

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