Il titolo un po’ sibillino introduce a un breve ragionamento sulla Storia italiana, che culmina a sua volta in un augurio per le Feste … in sintonia, del resto, con le caratteristiche “speciali” di questo numero de Lintelligente.
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La Storia è una brutta bestia, ed io l’ho a lungo evitata, prediligendo le astrazioni della psicologia, della sociologia, della filosofia, della scienza.
C’è un lungo lavoro da fare sulle fonti, c’è molto da fare nel confrontare opinioni contrastanti, esiste a volte la possibilità e/o necessità di ascoltare racconti dalla voce dei protagonisti.
Da quando ho cominciato a riflettere seriamente e senza schemi precostituiti sul Novecento, mi è stato chiaro che i periodi osservati personalmente da bambino (il Sessantotto) e da adolescente (gli Anni Settanta, inclusi i referendum sul Divorzio e sull’Aborto) soggiacciono a una “narrazione” (come si dice oggi, io sono legato al più classico “ideologia”) funzionale in buona parte all’emergere di nuove classi dirigenti nelle Aziende, nella Politica, nella Comunicazione, nello Spettacolo e nell’Università.
Aver fatto il Sessantotto, insomma … fa curriculum!
L’importanza storica di quei fatti e quelle idee è innegabile, ma oggi ho l’impressione che abbiano inciso più sulla modernizzazione del Paese, che sullo sviluppo e sul progresso (tre termini che vengono a volte sciattamente considerati come intercambiabili, ma ovviamente non lo sono).
Analogamente per quanto riguarda la Resistenza.
Il periodo storico è ancora più importante, va da sè, ma molte “narrazioni” trascurano gli aspetti oscuri di alcune vicende, e sembrano inoltre sminuire il ruolo dei “disertori” dell’Esercito italiano, al fine di prestare alla Politica, in ruoli di rilievo, i Partigiani di provenienza cattolica, azionista, socialista e soprattutto comunista.
Fra Resistenza e ’68, in mezzo, un periodo di “ricostruzione” del Paese, che ha avuto per protagonista la gente comune, nel suo vivere ordinario, e nel suo inurbarsi, soprattutto all’interno del triangolo industriale (Torino, Genova, Milano), a Roma e a Napoli.
Immediatamente dopo la vittoria della Repubblica contro la Monarchia, nel referendum del 1946, per almeno 20 anni la preoccupazione della gente comune è stata infatti quella di raggiungere il benessere e assicurarlo ai propri figli, anche e soprattutto attraverso la scolarizzazione.
Ed è proprio nel 1946 che i miei genitori si sono incontrati a Roma, provenienti da piccoli paesi dell’Italia Centrale, con l’obiettivo di avere un lavoro, una casa, un mezzo di locomozione, gli elettrodomestici, la TV: obiettivi dignitosissimi e generalmente non-competitivi, giacché si competeva con il passato, non contro altre persone, anche quando si osservano le abitudini altrui, “per non rimanere indietro”.
Certo, le persone politicizzate vissero con particolare intensità le trasformazioni dell’Unione Sovietica, l’invasione dell’Ungheria, il progressivo consolidamento e sdoganamento del Movimento Sociale Italiano, erede di fatto del fascismo, e le conseguenti manifestazioni sotto il Governo Tambroni (1960).
Ma per tanti altri l’opinione politica era circoscritta al momento dell’urna.
Un quadretto di quegli anni, ancora presente in un’osteria romana, ammonisce: “Di politica non parlate, non bestemmiate e prima di uscire pagate”. Insomma, la chiacchiera politica era considerata un’attività “molesta” al pari della bestemmia!
E se qualcuno voleva sapere le tue opinioni, gli potevi rispondere, severamente: “Il voto è segreto!”.
Ecco, a questa generazione di padri e madri (o nonni e nonne, secondo l’età di chi legge) vorrei rivolgere il mio ringraziamento, per il pudore e per la tenacia con cui hanno inseguito sogni e obiettivi, tentando di lasciare dietro di sé una società benestante e scolarizzata, probabilmente mai sospettando l’eventualità di un successivo declino economico e culturale.
Ogni tanto mi viene da pensare che se i Politici attuali, invece di imbarcarsi in fumisterie ideologiche lontanissime dalla vita “normale”, ed invece di ascoltare consulenti e uomini di marketing, chiacchierassero con un vecchio geometra, ragioniere, agricoltore, operaio, infermiere, aprirebbero gli occhi …
… oltre a dar prova di rispetto per chi li mantiene nella loro vita sicuramente, come dire?, non assediata da stenti e patimenti.
Il mio augurio, per tutti noi, è che cominciamo, fin dall’anno prossimo, a riscoprire quel “banale” buon senso, che, senza troppi voli pindarici, avevo permesso per un paio di decenni agli italiani di sperimentare una società migliore.
Io nel 1966 avevo 7 anni.
Ero un bambino. Ma quella stagione di persone semplici e perbene l’ho conosciuta.
Tre anni dopo, a Woodstock, dei pennelloni coi capelli lunghi, avrebbero protestato in coro contro la pioggia (sic!), che stava ostacolando lo svolgimento dei concerti:
“No rain! … No rain! … No rain!” … :
https://www.youtube.com/watch?v=LFf6Mw0DgcY
Gianfranco Domizi