Cari, affezionati lettori de “lintelligente.it” vorrei condividere con voi un mio ricordo natalizio di, ahimè, qualche decennio fa. Un modo per ringraziarvi e augurare a tutti un Natale sereno, pieno di cose da ricordare e da progettare. Ciò che è stato e ciò che verrà rendono ricco e intrigante il nostro presente. Auguri di cuore.
Era di nuovo Natale.
Sedute a gambe incrociate per terra nello studio del babbo, scartavamo palline azzurre, rosse, gialle, tempestate di schegge di luce. Ricordo ancora il rumore delle carte di giornale e il suo odore, mentre compivamo quel rito. Come foglie volavano via quegli involucri grigi, pieni del passato di chissà quanti anni. Mia madre li raccoglieva da terra e li riponeva di nuovo nello scatolone degli addobbi. Niente andava sprecato allora.
Nella stanza troneggiava un albero gigantesco, la cui punta toccava quasi il soffitto. Noi lo guardavamo ammirate.
Le palline ora erano disposte sul pavimento in spirali luminose di colori diversi. Galassie di vetro, pronte ad essere sconvolte per ricoprire di splendore quel nuovo universo verde fino all’empireo.
Mio padre cominciava a riempire l’albero dal basso, chiamandoci per nome, e noi pronte gli passavamo le palline, alternandole nella dimensione e nel colore.
Man mano che scalava quella montagna verde, usando a metà della salita, uno scaletto un po’ instabile, noi eravamo sempre più emozionate. Poi arrivava la vestale, nostra madre.
Portava un piatto di babbi natale e di angioletti di cioccolato, avvolti in carte stagnole lucide.
Erano destinati ai quartieri alti, lontani dalle nostre mani golose, naturalmente. Sarebbero rimasti lì per tutto il tempo delle feste, fino al sei gennaio. Solo allora, nel suo drammatico epilogo, l’albero ci avrebbe regalato quelle leccornie, come ultima consolazione.
Niente di più improbabile, in verità. Mia sorella Antonella, cogli occhi sgranati d’astuzia, inventava ogni anno strategie più raffinate per poter razziare quel tempio sacro e portarsi il bottino da scartare sotto le lenzuola e papparselo di notte insieme a me, sua complice rassegnata all’oltraggio.
Alla fine di tutto ecco il puntale.
Ah quel puntale dalla forma inverosimile!
Rosso e oro.
Carico di stelline brillanti.
Mio padre, serio, lo raccoglieva dalle mani di mamma e lo infilava in cima all’abete. Nell’ ultima regione del mondo. Una terra del fuoco che si sarebbe presto accesa di luce riflessa.
Ecco fatto!
Ora sì che era davvero il nostro Natale!
Anna Bruna Gigliotti