Gio. Nov 21st, 2024

Arrivando, nel nostro Dizionario Politico quindicinale, alla lettera “S“, ho pensato di coinvolgere sul tema del SOVRANISMO Alessandro Porcelluzzi, che “ne sa” (di politica in generale, e di questo tema in particolare: una breve biografia è reperibile alla fine dell’articolo).

Il Direttore ha sostenuto l’idea con convinzione, e pertanto ospitiamo Alessandro con grande interesse e piacere nell’ambito della rubrica Pòlis, e su LINTELLIGENTE.

Buona lettura.                                                                                   

 

Gianfranco Domizi                                                                                                      Antimo Pappadia

 

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Rispondere alla domanda: “Che cos’è il sovranismo?” è complicato. Un modo per mettere alla prova le proprie capacità di chiarificazione concettuale.

Occorre fare uno sforzo di memoria per comprendere come, tra gli epiteti usati in modo dispregiativo per ostracizzare nel dibattito pubblico soggetti individuali e collettivi, “sovranista” abbia sostituito di recente un altro baubau dei nostri tempi: “populista”.

Per quella parte di opinione pubblica che si autodefinisce progressista, sovranisti sono tutti coloro avvertiti come non allineati ai valori del liberalismo cosmopolitico. Si tratta ovviamente di una semplificazione enorme e assurda. Che conduce, in certi casi, a esiti paradossali.

Perché è evidente che la categoria del sovranismo non abbia alcuna aderenza, alcuna presa rispetto a determinate realtà politiche: definire sovranista Trump o Bolsonaro è, ad esempio, insensato.

In USA o in Brasile la categoria della sovranità non è mai stata in discussione. È anzi piuttosto grottesco discutere di Stati Uniti poco sovrani. Anzi, a rigore la politica degli Stati Uniti è stata assai a lungo il simbolo dell’antipodo del sovranismo, cioè dell’imperialismo.

Possiamo dunque collocare più correttamente e in modo rigoroso la categoria del sovranismo nel dibattito europeo.

Riportando questo concetto all’interno del dibattito politico del nostro continente, esso assume una più chiara definizione. Sovranista è allora chi ritiene che, nel contesto dell’Unione europea, ci sia stata una perdita di sovranità.

A favore di cosa è presto detto: sotto accusa sono la struttura dell’Unione europea, la sua costruzione, le modalità di funzionamento, le politiche attuate, il modello economico sulla cui impalcatura essa poggia.

Il primo punto di critica e di attacco è dunque il funzionamento delle sue istituzioni. La UE è messa sotto accusa poiché il suo funzionamento penalizza e mortifica il ruolo delle istituzioni statali e la volontà popolare.

 

È indubbio che la UE sia una costruzione anomala.

Gli europeisti, in tutte le versioni (compresa quella degli altereuropeisti), hanno vita difficile nel difendere una struttura istituzionale in cui il monopolio della iniziativa legislativa è affidato a una istituzione senza legittimazione democratica, la Commissione.

Ancora: in cui la discussione dei prodotti legislativi avviene tra due organi (in un bicameralismo nuovamente anomalo) uno dei quali, il Consiglio, è formato dai governi, mentre l’altro, il Parlamento europeo, difficilmente può rispondere a esigenze di reale rappresentatività (il rapporto numerico tra eletti e rappresentati, le differenze linguistiche e di tradizione politica, l’eterogeneità dei contesti politici di riferimento, le volatili aggregazioni pseudo-partitiche fanno del Parlamento europeo un feticcio di parlamento).

Ma ancora di più pesa in questo dibattito un elemento di economia e/o di politica economica.

Il modello economico su cui è disegnata l’Unione europea, da cui derivano molte delle sue azioni, è prodotto di una visione del mondo entrata potentemente in crisi.

Negli argomenti dei sovranisti si ritrovano infatti critiche pesanti ai presunti benefici delle libertà di circolazione.

La grande area di libero scambio ha prima generato una sfilza di territori sconfitti, desertificati. E ha poi gradualmente corroso un intero modello di convivenza sociale: il welfare state, alla lunga, si è rivelato incompatibile con gli scenari immaginati (e propagandati) dalla UE, dagli euro-entusiasti, da economisti e politici che hanno retto il continente negli ultimi decenni.

Sovranismo significa, dunque, alla luce di queste critiche ricondurre la sovranità più in basso. Dalla rarefazione europea alla concretezza degli Stati nazionali.

Ciò che accomuna tutte le declinazioni del sovranismo è la percezione che una porzione rilevante della popolazione sia oggi, di fatto, esclusa dalla deliberazione.

Il sovranismo, possiamo aggiungere, individua nello Stato nazionale l’unico modello efficace per una pianificazione democratica.

Cosa vuol dire? Significa che, a rigore, l’uscita dallo Stato nazionale (la progressiva cessione di sovranità a favore della UE) ci conduce ad arretrare, non ad avanzare, nel processo di democrazia.

Diciamolo con maggiore chiarezza: non esiste alcuno stadio successivo allo Stato nazionale; se si abbandonano gli Stati, si ritorna inevitabilmente a una situazione da Impero.

È certo legittimo che qualcuno si batta per l’Impero invece che per lo Stato. Purché siano chiare le differenze tra i due modelli; purché siano chiare le conseguenze di essere periferia dell’Impero; purché si accetti, con assoluta coerenza, il potenziale esplosivo che cova nelle parti dell’Impero che finiscono nella spirale di sfruttamento, sottosviluppo, mancanza di autonomia.

Da questo quadro derivano conseguenze sul piano delle azioni politiche, dei temi su cui impegnare la lotta.

La difesa del patrimonio industriale nazionale, la gestione dei confini e quella, ad essi connessa, della immigrazione, il tentativo di rompere il tabu dei vincoli di bilancio (per attuare politiche espansive e/o per iniettare nuovo welfare), l’inversione, in termini di priorità, tra diritti civili e diritti sociali (ribaltando lo schema condiviso dalle componenti “dem” o “progressiste”, tutte impegnate invece su diritti individuali e battaglie sovrastrutturali), una ri-declinazione dei temi della identità nazionale e della comunità.

Sotto tutti questi fronti la chiave di volta è il tentativo di dare rappresentanza a quella fascia di popolazione che potremmo definire degli “sconfitti dalla globalizzazione”: coloro cioè che non hanno ricchezza, né reddito, né istruzione per far fronte alle trasformazioni e ristrutturazioni delle nostre economie.

Occorre inserire in coda una breve digressione.

Che la tradizionale direttrice destra/sinistra sia in crisi è elemento noto da tempo e dato oramai come assodato nel dibattito politico. La categoria di sovranismo sembra essere assolutamente in linea con questa crisi, nel senso che essa sembra tagliare entrambi i campi.

E tuttavia gli avversari dei sovranisti di sinistra tendono a sovrapporre destra e sovranismo. Lo schema è tuttavia fallace. Il sovranismo di destra non esaurisce affatto lo spettro della destra attuale: non è così in Italia (se Salvini e Meloni rivendicano questa etichetta, Berlusconi e i suoi prendono nettamente le distanze); non è così in Francia (dove Marine Le Pen, e ancora più sua nipote Marion, si spostano progressivamente su posizioni più moderate e hanno ancora da lottare con i Repubblicani fieramente non sovranisti); non è, ancor di più, così in Germania dove la porzione più significativa della destra è occupata da Merkel e dalla CDU, con una Afd in crescita ma non ancora egemone.

Dunque l’identificazione tra destra e sovranismo è assolutamente inefficace. Lo schema salta completamente nel momento in cui si consideri anche l’altra metà dello spettro tradizionale, la sinistra.

Ovunque in Europa, anche se in misura differente da Paese a Paese, e nel complesso in modo meno forte che a destra, anche a sinistra crescono movimenti sovranisti (dalla esperienza di Aufstehen in Germania, alla parabola di France Insoumise in Francia sino alle correnti nel Partito comunista portoghese e in Podemos in Spagna e, per quanto riguarda il nostro Paese, le realtà politico-associative del Fronte Sovranista Italiano, di Patria e Costituzione, di Nuova Direzione, di Senso Comune oltre alle posizioni del Partito Comunista di Rizzo). Possiamo dunque concludere che, come per la categoria presto abbandonata di populismo, anche per ciò che riguarda il sovranismo, destra e sinistra sono entrambe coinvolte, ma entrambe insufficienti.

 

Alessandro Porcelluzzi

 

 

Alessandro Porcelluzzi, pugliese, classe 1981, laureato in Filosofia presso l’Università La Sapienza di Roma, docente di ruolo di Filosofia e Storia. Dottore di ricerca in diritto delle relazioni di lavoro, ha inoltre studiato presso il Collegio europeo di Parma. Ha vissuto e lavorato, con diverse funzioni, per il MIUR, l’USR Puglia, il Master Eurogiovani/Europacube, IFOA Management, Proger Spa, oltre che in diverse città italiane, in Belgio, in Grecia e in Arabia Saudita.

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