E’ appena uscito il mio terzo libro di poesie, e si chiama NOVANTA.
Ve ne diamo conto su lintelligente, non solo per quel minimo di narcisismo personale che fatalmente accompagna ognuno di noi, ma perché è comunque un libro decisamente inconsueto: si tratta infatti di 90 poesie ironiche, sarcastiche, critiche, “politiche”, che coprono la crisi economico-sociale 2013-2019.
E questa “politicità” spiega ulteriormente la presenza all’interno della rubrica Pòlis, entro cui sto costruendo un “alfabeto della crisi” …
… siamo appunto alla lettera N.
In realtà, le poesie sono 100, perché ne ho aggiunte 10, in un’apposita sezione intitolata “Diario della Crisi“, entro cui vengono riscostruiti in rima fatterelli di risibile importanza apparente, ma in realtà, secondo me, “emblematici” dei tempi.
Ad esempio, quello del “grillino” che gridò alla Presidente della Camera, Laura Boldrini, “Cornuta!”, e poi si difese, asserendo d’aver detto “Collusa!”. (Ma fu poi sbugiardato dalla registrazione: si trattava effettivamente di “Cornuta!”.)
Insomma, varia umanità, descritta aggiuntivamente con le foto di Marzia Schenetti, che cura anche i disegni, il progetto grafico e l’intera parte visuale.
L’opera è costituita da 4 volumetti di poche pagine e grande formato (stile fumetti).
Nel quarto compaiono quattro post-fazioni di amici, che, in quanto tali, illuminano NOVANTA della loro personale conoscenza dell’autore, rivelando grande affetto e grande pazienza nel sopportarne da decenni bizzarrie ed idiosincrasie. Tuttavia, trattandosi per l’appunto di amici, il loro sguardo è inevitabilmente “supportivo” nei miei confronti, e nei confronti dell’operazione.
Per tale motivo, ho chiesto ai colleghi de lintelligente un parere obiettivo, e Nadia Farina e Roberto Baldini, anche loro scrittori, si sono gentilmente offerti. Di seguito, le osservazioni di Nadia, mentre quelle per quelle di Roberto dovete cliccare sul link a fine articolo, che rimanda al suo blog.
Gianfranco Domizi
* * *
Leggere “Novanta” di Gianfranco Domizi è stato come guardare Indiana Jones alla ricerca dell’arca perduta in cui si viene catapultati nell’antro abitato da viscidi serpenti, calabroni, ragni, formiche giganti, metafore del vivere pericolosamente alla ricerca di straordinarie avventure.
Continui a guardare le immagini che si susseguono incalzanti, che cercano di scuotere lo spettatore con la suspence, il ribrezzo, l’ansia di un’ineluttabile paura.
Vuoi sapere dove porterà tutto questo avventurarsi nel pericolo e pensi al titolo. Ti rassicura, vorrà pur dire qualcosa di buono. L’arca, la salvezza, forse, non è perduta del tutto.
Leggere “Novanta” me lo ha ricordato. In questo libro non ci sono insetti che ti camminano sul corpo, si insinuano tra i capelli, ma parole in un pozzo. Ed io mi sto calando nel pozzo, alla fine, cosa troverò?
Il disprezzo per ciò che poteva essere e non è stato. Per il corpo che ha perso ogni sacralità. L’amaro disincanto per una fede abiurata da un medico ubriacone e traditore che doveva curare questa società malata e che invece continua a bere e a tradire senza essere radiato. La ripetizione della Storia e delle storie degli uomini, che annullano ogni desiderio di reazione
La brevità della vita che non concede sconti, non mette i saldi e non restituisce la merce avariata. L’illusione che crea tanto affanno per nulla. La disillusione di un movimento che si è perso in una vana lotta. Il feroce sarcasmo, l’intelligente ironia:
Voltare si dovrà, come nel guanto,
la scienza, l’arte, logiche e valori.
E tante parole ancora: parole forti che non amo, eppure amo il pensiero da cui nascono, il gergo crudo che nulla lascia all’immaginazione eppure amo l’inizio del suo perchè, ed ancora amo la rivoluzione, che se è vero che lascia sul campo morti e feriti, è anche vero che regala evoluzione alle menti.
Ed amo il coraggio che spinge in avanti dimentico di ciò che ha intorno. E mentre sprofondo nel pozzo delle parole mi cattura l’ imprevisto che si fa normalità, la sfida che è solo una: “quella possibile”.
Forse, la conquista della vita. E quando sto per toccare il fondo, vedo un cofanetto in cui non metteresti mai le mani, da cui però fuoriescono perle luminose: bianche, nere, barocche, pescate nel mare dei Sargassi, dove le alghe crescono rigogliose, dove il mistero si infittisce, dove tutto all’improvviso può scomparire nel nulla.
La saggezza:
Ma al dunque devastato dalle rughe,
non bado più quel poco che mi piglio
La speranza:
Se cadono le stelle,
è solo perché è Agosto,
ritornerà la vita mia al suo corso.
L’essenza delle cose :
profondità ma senza depressione,
la vita la conosci per riassunto.
La vita quella vera:
La vita non è vita quand’è serva
di servi di partito e consigliori.
La sincerità:
Io godo nell’andare contromano,
guidare d’antichissimo romano
L’ordine nel caos della banalità:
Distendo con perizia il mio giornale
la sciatteria mi dà sempre fastidio,
l’inutile notizia è la libido
di questa consuetudine morale.
La consapevolezza:
La notte che incomincia vola via,
sull’ali chiuse d’uno sporco tram.
…
Poi ingoiano fatiche della sera,
mangiandosi scontento e scortesia.
La certezza:
Di certo non sarò vissuto invano,
ponendomi profonde le domande.
Gianfranco Domizi non vuole lasciare eredità di illusioni, non vuole piacere: Non tollerate le contraddizioni?, di uno come me, fatene senza …
… trasformo l’ovvietà nell’imbarazzo, l’insulto in qualche insulso panegirico.
Non è più tempo d’eroi è il titolo di una sua poesia. E allora perchè a me è venuto in mente Indiana Jones?
Nadia Farina
Biblioteca
Che fine ha fatto Stefano D’Ambruoso,
che fine ha fatto l’urlo di Tardelli?,
le seppie o lo spezzato coi piselli?,
che fine l’avanzare di Joe Frazier? …
… lo scrivere “più case meno chiese”,
il misurarlo in bagno coi righelli,
sentirsi un poco Poveri ma belli,
l’ignaro neologismo “petaloso”? *
Un uomo chiude in sé una biblioteca,
che fa da compagnia ed è un gran viatico.
Ma al culmine del vivere mediatico,
ognuno tutto sa e non sa una sega.