Il primo passo verso la realizzazione di una relazione si concretizza nella scelta del partner. Ma quali sono le spinte che determinano le preferenze e i criteri di questa scelta? La scelta del partner, che avviene apparentemente in maniera libera e spontanea, oltre a basarsi su affinità psicologiche e sessuali, a rispondere ad esigenze di tipo sociale ed economico, subisce l’influenza di tutte quelle che sono state le esperienze di crescita ed i processi relazionali familiari, in cui l’individuo ha sviluppato la sua personalità.
I sistemi motivazionali, che agiscono nell’attuazione di un progetto di relazione amorosa, possono essere individuati in: sessualità, romanticismo, attaccamento. La ricerca di un amante è regolata dall’influsso di ormoni, come estrogeni e androgeni; influsso destinato ad avvicinare le persone ma ad avere, purtroppo, una durata piuttosto breve. All’impulso sessuale segue l’attrazione romantica o innamoramento. Questa fase è fortemente influenzata da una cospicua produzione di ormoni, come dopamina e noradrenalina, e una riduzione della serotonina; questi processi accrescono l’energia psichica diretta verso la persona amata, procurando emozioni intense e bisogno costante di vicinanza. Infine, ad agire, è il bisogno di attaccamento, sostenuto da ormoni quali ossitocina e vasopressina, che fornisce tutti quegli elementi destinati a sostenere continuità, stabilità e durata del rapporto. La natura si occupa, dunque, di predisporci fisiologicamente alla strutturazione del legame, che rappresenta un bisogno fondamentale dell’individuo, a partire dalla prima infanzia, per tutto il resto della vita. Esistono però anche alcuni meccanismi psicologici che inducono un individuo ad instaurare una relazione con un partner piuttosto che con un altro. Tra i partner si attiva un gioco di proiezioni e identificazioni, che genera un meccanismo di attenzione selettiva, rendendo particolarmente evidenti le caratteristiche rispondenti alle aspettative, e occultando parzialmente quegli elementi che potrebbero invece interferire o non coincidere con esse.
L’imprinting della prima relazione importante della nostra vita, è un ideale di amore incondizionato, con un soggetto in grado di darci un’affettività accogliente, accondiscendente e rassicurante: la prima esperienza di coppia della nostra vita è rappresentata dal legame madre figlio, una relazione non paritaria, in cui esiste una persona, la madre, che, per antonomasia, è colei che risponde a tutti i bisogni fondamentali, fisiologici e psicologici. Con la madre si instaura un legame di attaccamento-accudimento, idilliaco e soddisfacente, che viene interiorizzato, diventando una sorta di rappresentazione mentale: il prototipo del rapporto diadico. Questa rappresentazione mentale rimarrà come modello di riferimento relazionale, e, più o meno inconsciamente, agirà influenzando le scelte anche da adulti. Soprattutto i primi rapporti amorosi, indipendentemente dal sesso, sono indirizzati sempre su figure con connotazioni materne. Ma questo avviene anche ogni volta che paure, fatiche, malattie, creando una condizione di indebolimento, rendono bisognevoli di ricevere cura, vicinanza e sostegno, da parte di una persona cui poter affidare la nostra temporanea condizione di fragilità. L’intimità e la sensazione paradisiaca di un sentimento costante, ricevuto senza compiere alcuno sforzo, e la promessa di amore eterno, insita nel legame primario, rimangono impresse nella memoria affettiva. Ma quando ci si aspetta che il partner sostituisca l’amore meraviglioso della mamma, si rischia di incorrere in un rapporto di profonda dipendenza emotiva. Quando è la donna ad insediarsi nel ruolo di madre, l’uomo finisce con l’occupare, necessariamente, quello del figlio irresponsabile, a cui tutto è concesso e tutto è dovuto. Immedesimarsi nel ruolo di madre, in un rapporto, richiede alla donna un continuo dare senza chiedere mai nulla in cambio, e può diventare un ruolo decisamente scomodo. La donna che vive nel rapporto un ruolo materno, rischia di cadere nella trappola di dover essere sempre perfetta e pronta ad accogliere e sostenere, perdendo la possibilità di vivere la parte bisognevole di sé e candidandosi ad una profonda sofferenza che finirà con annientare lei e la relazione. Si tratta di un tipo di relazione che cela insidie, tra l’altro, anche sul piano della sessualità. L’aspirazione a sicurezze emotive di tipo familiare, soppianta velocemente il desiderio e l’attrazione sessuale. Allo scadere della magia dell’innamoramento, la donna può trovarsi a non avere più alcuna funzione erotica per il compagno, spinto a cercare altrove il ruolo complementare dell’amante. Ma anche per l’uomo, seppure apparentemente anelata, questo tipo di relazione rischia di diventare complicato. La madre, oltre ad essere dispensatrice di amore, cura e sicurezza, incarna un ruolo educativo ed autoritario, che la tramuta in madre punitiva. Una donna che rappresenterà il ruolo di madre, sarà dunque destinata ad essere percepita, prima o poi, come opprimente, dominatrice, tiranna. Il modello relazionale materno non influenza soltanto le scelte dell’uomo, anche una donna può andare alla ricerca un partner materno, accogliente, in grado di supportare e di fare da contenitore emotivo. Oggi sempre più donne hanno un ruolo di perno della famiglia; donne in carriera, che guadagnano molto di più dei loro compagni e rivestono un ruolo “maschile”, per cui, nell’ambito domestico, ricercano una figura accogliente simile a quella di una madre, un partner materno, con un lato femminile, che ama cucinare, accudire i figli e nutrire emotivamente. Naturalmente queste donne si troveranno poi, a veder ricadere sulle loro spalle, un ruolo sempre più attivo e di responsabilità.
Nella coppia non vi sono, comunque, ruoli che siano esclusivamente positivi o unicamente negativi. Ciascuno deve poter esprimere i propri archetipi, i propri modelli interni; l’importante è essere consapevoli delle proprie scelte, coscienti delle parti che si interpretano e di quelle che si proiettano all’esterno, trovare equilibrio e coerenza tra le parti inconsce e quelle coscienti, per evitare di incorrere nel rischio di sentirsi poi vittimizzati dal partner. Ognuno deve avere la capacità di conoscersi, e di riconoscere che esistono ruoli che possono essere vissuti più facilmente di altri, senza che questo debba significare andare incontro a situazioni faticose e maturare accuse verso gli altri. Per vivere bene non è sempre necessario chiedere a noi stessi o agli altri di essere diversi da come siamo. E’ sufficiente manifestare la nostra natura nella consapevolezza, nell’armonia, e nel rispetto.
Nunzia Manzo