Nove brani, nove capitoli d’una stessa “Resistenza”. Un percorso fatto di sguardi rivolti al passato, ma con un’analisi lucida e spietata del presente e del futuro
Un disco intenso e diretto, sia dal punto di vista testuale che musicale, che segna una nuova partenza per il cantautore romano/piemontese. Si tratta di “Il mestiere di vivere” (Helikonia) di Ernesto Bassignano, un artista che è un vero e proprio monumento della canzone d’autore e di impegno civile in Italia.
Questo nuovo lavoro discografico è un percorso fatto sì di sguardi rivolti al passato, ma con un’analisi lucida e spesso spietata del presente e del futuro. Nove tracce in tutto per raccontare e raccontarsi.
“Il mestiere di vivere”, nono album dell’ormai lunga carriera di “Bax”, è un’opera ispirata che ha visto al lavoro, nella direzione artistica e nella produzione, una squadra di giovani musicisti capitanata da Stefano Ciuffi e Edoardo Petretti.
Come già fu vent’anni fa con l’album “La luna e i falò” e quaranta con “Moby Dick”, Bassignano si cimenta ancora una volta col suo grande corregionale Cesare Pavese. Lo fa per territorialità, concettualità e ammirazione, ma ancor di più perché ne riconosce l’inquietudine.
La difficoltà di confrontarsi, alla sua non più tenera età, con le improvvise novità politiche e culturali, gli impazzimenti di un mondo preda della tecnologia e della freddezza nei rapporti, molto più che con la storia, la cultura e la solidarietà umana, spingono l’autore a guardare anche oltre, ad un futuro che appare molto difficile. Però, a differenza del suo grande corregionale Cesare, “perduto nella pioggia” delle sue Langhe, Ernesto lotta, resiste e tenta, se non di vincere, almeno di restare a galla.
Questo album rappresenta un sontuoso passo avanti espressivo e musicale nella sua carriera: alla chitarra, al piano e al violoncello si aggiungono, senza forzare e in maniera delicata e pastello, i colori del contrabbasso, della batteria e dei fiati, per dare alle composizioni un vestito tanto ricco quanto agile e diretto. Si va dai brani intimisti e riflessivi a quelli divertiti e ironici, ci si fa trasportare all’epoca del Derby di Milano e poi dai giochi da “Giullare verticale” di un istrionico David Riondino; e alla fine arriva un omaggio molto intenso che richiama gli epici anni del Cantacronache con “Un paese vuol dire”, che rivisita con un altro andamento il brano omonimo, una perla di Mario Pogliotti.
“Il mestiere di vivere”, nel suo complesso, appare un lungo e intenso recital, un vero e proprio concept-album coerente ed esaustivo, per dissertare e dibattere in modo poetico e attuale sull’odierno nostro male di vivere. E sopravvivere.
“IL MESTIERE DI VIVERE” traccia dopo traccia (guida all’ascolto)
1– AMIAMOCI DI PIÙ
Il primo di nove capitoli d’una stessa resistenza. Quella di un anziano poeta civile che tenta di opporsi a tempi inquinati, cinici, veloci, fasulli , furbetti, disimpegnati. L’autore sogna di poter essere ancora protagonista della rivolta dei cuori semplici, di quei sessantottardi illusi, un po’ artisti e un po’ politici, che volevano cambiare il mondo e oggi, battuti ma mai domi, cercano nuovi slogan, nuove parole d’ordine, nuovi appelli non a volare ma a restare coi piedi a terra e la mente reattiva e aperta all’amore. (VIDEO: https://youtu.be/3vptoBo5O7U)
2- COMMESSO VIAGGIATORE
Parla di un sognatore, anonimo poeta, perso in un’anonima città. Un pittore della domenica che resiste al caos e allo smog dipingendo piante tropicali e grandi avventure, con la fantasia di chi riesce a fare di quattro gerani sul poggiolo una giungla inestricabile e di uno squarcio di cielo fra i tetti una via lattea luminosissima.
3 – GLI OCCHI DI MIO FIGLIO
Si sente un po’ di commozione in questo brano “voce e chitarra”, rivolto al figlio di Ernesto e a tutti i suoi coetanei: un popolo intero di abbandonati da una società che li ha dotati di tecnologia ma non di cultura e amore per se stessi, per la storia del proprio Paese, per il coraggio di lottare come i propri padri e i propri nonni. Un popolo di ragazzi che guarda l’orizzonte con gli occhi vuoti, resiste non sa come e si siede sul baratro giocando a chi rischia di più con un’insicurezza camuffata da coraggio.
4 – IL MESTIERE DI VIVERE
La canzone che dà il titolo all’album è un bilancio, un ripasso di decenni con i conti che non tornano. Un trovarsi, guardandosi allo specchio, comunque sempre uguale. Giullare e militante, poeta triste e anche naturalmente clown, pronto a parare delusioni e frustrazioni con una risata e un po’ di amici complici, paragonando esperienze con un filo di nostalgia. Però senza strafare con l’“amarcord”, per non rischiare di fare il brontolone vecchio che si piange addosso ricordando un’epoca rivoluzionaria finita male.
5- IL GIULLARE VERTICALE
Un brano anomalo, un divertissement di Bax, musicato questa volta dai suoi complici Petretti e Ciuffi su stilemi a metà strada tra jazz e musica d’avanguardia. Chi lo recita è un illustre attore, regista e scrittore, fiorentino pungente e sarcastico, quell’artista a tutto tondo che è David Riondino, frequentatore assiduo d’ogni kermesse d’autore che si rispetti e vecchio sodale di Bassignano. Il risultato è davvero straordinario sia per le note ardite che per la verve.
6 – LA VITA L’E’ QUELA CHE L’È
La sesta resistenza è l’omaggio sentito, comico e un filo sguaiato agli scapigliati protagonisti di quel mitico “Derby club” meneghino. Il periodo del dopoguerra con Fo, Nebbia, Carpi e Strehler produsse Cochi e Renato, ma soprattutto il genio del dottor Enzo Jannacci, musicista sghembo e provocatorio cui dobbiamo tutti moltissimo. Un ricordo straziante del mondo cabarettistico italiano, altro illustre scomparso.
7 – QUELLA NOTTE CHE
Dedicata ai terremotati di Lazio, Umbria e Marche, è quasi una ninna-nanna fatta di speranza in una ricostruzione fisica umana e culturale per una terra piagata che ogni volta si ricompone, si rinnova, prova a curare ferite indicibili. La resistenza di gente straordinaria che non molla i propri campanili, le opere d’arte, le tradizioni antiche e rurali che sono patrimonio fondamentale d’una nazione.
8 – GLI ARTISTI
Un brano cupo, che tenta con difficoltà di rappresentare il mondo di quegli artisti un po’ “maledetti” la cui arte è quasi impossibile descrivere, comprendere, appunto rappresentare. Se non con una serie di immagini e di colori e impressioni: gli inafferrabili, chiusi nel proprio mondo e perennemente convinti di essere incompresi, rabbiosi, inavvicinabili.
9 – UN PAESE VUOL DIRE
Ed ecco la traccia finale: un altro commosso omaggio, attraverso le parole e i pensieri dell’autore de “La luna e i falò”. Qui non c’è solo l’amata terra piemontese, ma un Paese intero che resiste , resiste, canta ogni anno da decenni “bella “ciao”… e poi però crolla sotto i colpi spietati d’un secolarismo fatto di malastampa, malativù, di balle colossali, di verità nascoste e straziate, di inciuci infiniti che lo allontanano sempre di più dalle radici contadine, dalla forza della ricostruzione, da Domenico Modugno: un Paese che gridava “volare” e ci credeva. Un Paese che non conosce e non vuole ricordare la sua fiera e bella lunga storia, per consegnarsi mani e piedi alla sottocultura d’un progresso fatto di niente.
La redazione