Se si pensa a quali animali abbiano storicamente aiutato di più l’uomo nell’ambito dei lavori pesanti la mente va subito a un possente cavallo da tiro, oppure a una coppia di buoi che tirano l’aratro. Al nostro fianco esiste però, da almeno cinquemila anni, una presenza decisamente più discreta: l’asino. Originario di Africa e Asia, si dice che il suo allevamento si espanse quando i mercanti ebrei capirono appieno la sua grande resistenza nel trasporto delle merci. L’addomesticamento dell’asino è talmente legato al suo storico utilizzo come animale da trasporto che il suo sinonimo in italiano è “somaro”, dal latino saumarius, ovvero “da soma”.
Di indole molto più docile e mansueta rispetto al suo carismatico parente, il cavallo, l’asino era anche decisamente più rustico e meno costoso da mantenere, e quindi alla portata dei contadini più poveri. Le sue origini desertiche, inoltre, lo rendono estremamente adattabile in termini di alimentazione e assunzione di acqua. Oltre al trasporto di merci e materiali, reso possibile grazie all’uso del caratteristico “basto” (una rozza e larga sella di legno imbottita), l’asino era molto utilizzato come animale da tiro in agricoltura ed anche per il trasporto di persone. La sua capacità di muoversi agilmente su terreni difficili lo ha da sempre reso l’animale da soma per eccellenza nelle zone di montagna, trovandosi a suo agio anche su strade strette e impervie.
La meccanizzazione dell’agricoltura sopravvenuta nel Novecento ha determinato, come per molti altri animali, una progressiva diminuzione dell’utilizzo dell’asino come animale da lavoro e, quindi, del suo allevamento. In Italia, in maniera simile al resto d’Europa, la popolazione asinina tocca un picco drammaticamente negativo dopo la Seconda Guerra Mondiale, una volta venuta meno la necessità di impiegare asini per la produzione di muli da destinare all’esercito: si passa dai 640.000 capi censiti nel 1941 ai 30.000 dichiarati dall’ISTAT nel 1998. Proprio a partire dagli anni Novanta, tuttavia, le potenzialità dell’asino vengono riscoperte ed il suo allevamento va incontro ad una debole ripresa per destinarlo a nuovi scopi come la compagnia, l’onoterapia e il cosiddetto “trekking someggiato”.
Quest’ultima disciplina, in particolare, coniuga la filosofia moderna della “mobilità dolce” al più tradizionale dei mezzi di trasporto in ambiente naturale. Nel trekking someggiato l’animale viene utilizzato come saumarius per il trasporto di bagagli e viveri, ed eventualmente cavalcato da bambini per brevi tragitti. L’asino, oltre ad essere mansueto, agile e resistente, è un animale estremamente sociale e cooperativo che, durante il percorso, diventa parte integrante del gruppo di escursionisti. È inoltre un animale riflessivo, caratteristica che gli è valsa la fama di testardo: di fronte a una situazione nuova, e quindi potenzialmente pericolosa (come un corso d’acqua che attraversa il sentiero), valuterà attentamente il da farsi e procederà solo se adeguatamente motivato a farlo. Queste sue caratteristiche rendono indispensabile l’instaurarsi di un rapporto di fiducia e collaborazione tra l’asino e il suo conduttore, che dovrà essere sicuro di sé ma allo stesso tempo comprensivo e disposto a dedicare all’animale la stessa pazienza che lui dedica a noi durante il lavoro.
In Italia l’interesse per il trekking someggiato si è sviluppato a partire dalla fine degli anni Novanta ed è cresciuto sempre di più, parallelamente al declino del turismo di massa ed all’aumentata sensibilità verso i temi dell’ecologia e dell’ecosostenibilità. Ad oggi il nostro Paese conta diverse realtà attive in questo ambito; una particolarmente virtuosa è quella dell’Ostello dei Balocchi, a Casalino di Ligonchio, comune di Ventasso (RE). La struttura, situata nel cuore del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano ed affiliata a Legambiente, è gestita da un gruppo di giovani operatori che da sempre si prefigge come mission quella di raccogliere gli stimoli del nostro passato e proiettarli in un’ottica moderna di turismo lento. Perché, dunque, l’asino? Perché l’asino è da sempre stato indissolubilmente legato alla cultura e all’economia del nostro appennino, e perché “l’asino rallenta il passo e rafforza il pensiero”. Grazie ai campi estivi organizzati dall’Ostello dei Balocchi centinaia di ragazzi di tutta Italia provano ogni anno un’esperienza fuori dal tempo e dalle dinamiche della vita moderna, riscoprendo il nostro legame con la natura e trovando nell’asino un inaspettato compagno di avventure, disposto ad accompagnarli con pazienza e attenzione nella scoperta degli eccezionali ambienti che ci circondano.
Francesca Orsoni