In quest’articolo ci dedichiamo soprattutto alla recensione del DI(ZION)ARIO EROTICO di Massimo Fini, edito nel 2000 da Marsilio, che citiamo abbondantemente nell’edizione 2014.
Sono peraltro presenti varie divagazioni del vostro cronista, soprattutto in chiusura d’articolo.
Ho inteso dare allo scritto una struttura bizzarra in “quattro effe”: FINI (Massimo, per l’appunto, ottimo scrittore e polemista, non l’oramai dimenticato Gianfranco, ex-leader della Destra italiana); FEMMINA;
F..A (sì, proprio quella “cosa” là);
FERRADINI (Marco: “Prendi una donna, trattala male …”) …
… alla fine di promuovere un bizzarro esperimento di lettura: il lettore potrà cominciare da questo articolo, e poi “migrare”, se lo vorrà, verso la Rubrica Pòlis, entro cui verranno presentate altre “sei effe”, per un totale di “dieci effe”!
(Ricordo che per il 2019 la Rubrica Pòlis ha la forma di un Dizionario, e sono già uscite le lettere A, B, C, D, E.)
* * *
1 – FINI
Massimo Fini è un anti-modernista, e porta avanti una sua linea di pensiero estremamente efficace, volta a dimostrare che le conquiste economiche, politiche e culturali ottenute attraverso l’Illuminismo e la Rivoluzione Francese siano state poi “pagate” attraverso nuovi malesseri sociali “compensativi”
E’ ovvio che i “suoi” temi attraversino prevalentemente economia, politica, cultura e società.
Non troppo ovvio, tuttavia, perché quando Fini scrive dei rapporti fra uomo e donna si fa addirittura irresistibile; la sua vis polemica tracima nel paradosso e nel politicamente scorretto, già a partire dal sottotitolo: “Manuale contro la donna a favore della femmina”.
Ma cosa avrà da dirci il brillante giornalista, polemista e scrittore, su un argomento che sicuramente non è “inesplorato”?
Nulla di trascendentale, apparentemente: ovvero che il piano della Cultura non può eliminare quello della Natura: dentro di noi continuano, nonostante tutto, ad albergare un uomo e una donna primitivi.
A partire da questa considerazione (che Fini non fa nei termini didascalici attraverso cui la riassumo), è tutto un fiorire di osservazioni fulminanti.
Essendo il libro arguto e paradossale (ma niente affatto “effettistico”, e quindi sommamente intelligente), per far emergere la Natura non si spara sulla Cultura: non si critica la legittimissima richiesta delle Donne di occupare posti parimenti importanti all’uomo nelle Imprese, nell’Arte, nella Scienza, nella Politica … ci mancherebbe!, ma si evidenzia come la Donna, in quanto FEMMINA, rimanga comunque psicologicamente e biologicamente “predisposta” a figliare, e quindi ricerchi ed apprezzi la sessualità molto più dell’uomo.
(Ciò nonostante le apparenze e gli “storici” pudori.)
2 – FEMMINA
Alla voce “Perversioni”:
“Le donne (…), pur di arrivare al dunque (ovvero al rapporto sessuale: NdR) sono disposte a tutto, ad arrampicarsi sul lampadario, a ballare nude sul tavolo, a camminare a quattro zampe, a mostrare come fanno pipì e persino, poiché sono delle vere scostumate, a far vedere il fondo delle loro mutandine, ma alla fine le devi fottere.
Perché, per quanto ciò possa sembrare incredibile e anche parecchio sconveniente, a loro piacere scopare. E’ il loro vizio. La loro funzione. La loro ragione di essere al mondo. Che ci volete fare? Si deve portare pazienza. Prima o poi bisogna accontentarle (129-130)”.
“L’uomo nel sesso non è diverso da tutti gli altri animali e in particolare dai mammiferi. Quando si accoppia, in lui parla l’istinto della specie a riprodursi e non perire. Il piacere che l’attività sessuale provoca è al servizio di questo istinto”.
Nell’erotismo la cosa è invertita: il piacere non è al servizio del sesso (e quindi della riproduzione) ma è il sesso al servizio del piacere, ne è uno strumento. Estremizzando si potrebbe dire che l’intero erotismo è una devianza sessuale” (171).
Insomma, all’uomo moderno e contemporaneo, post-illuminista e urbano, quello che piace veramente, secondo Fini, non è il sesso, ma l’erotismo, che consiste grossomodo proprio in ciò che è stato ironicamente sopra descritto! (129-130) …
… con una particolare attrazione e passione per “togliere o abbassare le mutandine a una donna (perché ciò) significa spogliarla del suo involucro culturale e sociale e ricondurla, materialmente e simbolicamente, alla sua condizione di femmina, degradarla da persona, con uno status, un orgoglio, una dignità, ad animale” (104).
“Ciò che l’uomo sente di infinitamente superiore nella donna è la vitalità. Ed è questa vitalità che nel gioco erotico vuole in fondo punire, sconciandola e umiliandola” (141).
3 – F..A
Ne consegue che “l’uomo – a meno che non sia della categoria ‘purché respirino’ – non cerca la fica, spesso anzi gli organi sessuali femminili, se proposti a freddo, lo disgustano. L’uomo vuole una fica collegata a un certo viso, alla delicatezza di un lineamento, alla grazia di un gesto, a un timbro di voce, e, insomma, alla personalità di una particolare donna.
Ciò che sconvolge l’uomo, che lo eccita fino al parossismo, è andare a scoprire ciò che razionalmente, com’è ovvio, sa, ma che emotivamente rifiuta di credere: che anche quella donna, che per un qualche motivo l’ha attratto, fra le gambe ha la fica. Che cioè è un animale.
(…).
L’inesausto gioco dell’uomo è di sbucciare la donna per svelare la femmina, per scoprire l’inaudito: che davvero, sotto, c’è la fica. E poiché ce l’ha il gioco finisce sempre con una soddisfazione deludente: la soddisfazione è di averla ridimensionata a femmina, la delusione è che, se ce l’ha, è in fondo uguale a tutte le altre. Il motivo del piacere è lo stesso della delusione” (124-125).
4 – FERRADINI (Marco)
Secondo la paradossale, ma argutissima rappresentazione di Massimo Fini, è evidente che nel letto si giochi una sorta di teatro (generalmente a due, anche se a volte viene evocata una qualche forma di esibizionismo).
E’ il “gioco erotico”, tanto gradito al maschio, mentre la femmina rimarrebbe comunque psico-biologicamente predisposta alla sessualità.
L’erotismo, dicevamo, è tipicamente moderno e metropolitano; in ambienti arcaici e rurali una “sana” sessualità senza fronzoli può essere ancora presente e dominante.
Tutto il libro di Fini ricostruisce questa trasformazione post-illuminista, ed approda agli esiti contemporanei: ridicoli, tragi-comici, a volte addirittura “mortali” (145).
Laddove esista ancora un erotismo “funzionante” e “condiviso”, coinvolge quasi inevitabilmente le modalità sopra descritte: mentre il maschio ambisce al gioco erotico, “a loro piacere scopare. E’ il loro vizio. La loro funzione. La loro ragione di essere al mondo. Che ci volete fare? Si deve portare pazienza. Prima o poi bisogna accontentarle”.
Verrebbe quasi da pensare che venga paradossalmente rovesciato il “Teorema di Ferradini”.
Mentre egli canta: “Cerca di essere un tenero amante, ma fuori dal letto nessuna pietà”, io direi piuttosto, “alla-Fini”: “Cerca di essere un tenero compagno, però dentro al letto nessuna pietà”!
Non credo si debba stare a spiegare perché ogni uomo debba essere un “tenero compagno”.
E’ qui che si gioca l’emancipazione dei due sessi,
Viceversa, forse sarebbe stato meglio non andare a toccare il fragile, per quanto “pervertito”, equilibrio dei due sessi nel talamo, entro cui l’uomo, dopo aver soddisfatto le sue torbide fantasie sessuali, a un certo punto “le contentava”.
Oggi, privato del “suo” gioco, ridotto a fuco e anche meno (argomentazione largamente ricorrente nel libro di Fini), spesso evidentemente umiliato (basti guardare quelle pubblicità in cui non si sa se si parli di una merendina, oppure di una ragazzo; di un assorbente, o di un antidolorifico, oppure di un giovane uomo), il rischio è che fugga con scarso decoro, o quantomeno si allontani malinconicamente dalla possibilità della coppia.
Non è più vero, insomma, che il maschio, vittima delle proprie pulsioni, sia per tale motivo comunque disposto ad accompagnarsi a una donna, giacché, essendo stato oramai archiviato l’erotismo “rituale” (ciò che in fondo desiderava), il gioco lo soddisfa per poco, o non lo soddisfa più.
Non è più sufficiente per la ricerca di un incontro, e ancor meno per la formazione di una coppia stabile.
Se la violenza maschile è la malattia acuta dei nostri giorni, il “maschio in fuga”, o in allontanamento (che non si fa coinvolgere), è quella cronica.
(Questo lo dico io, non Fini, ma mi spingo a pensare che egli concorderebbe. In fondo, dal suo libro sono passati quasi 20 anni, e ci farebbe piacere un aggiornamento, o quanto meno una postilla! .)
Gianfranco Domizi