Mi cito, dal numero scorso:
(…) la canzone svolge un eccezionale ruolo di “accompagnamento” nelle vicende pubbliche (è la colonna sonora di un’epoca) e private (innamoramenti e nostalgie, ma anche, più semplicemente, sostegno alla quotidianità, per esempio, in alcuni tipi di ginnastica, o negli spostamenti a piedi e in automobile). Potremmo dire che è “sociologicamente rappresentativa”. Ma si tratta di uno “specchio del Paese” parzialmente deformante, perché in buona parte condizionato dalle strategie dell’industria discografica.
E’ forse proprio per questa ambiguità che continuiamo a parlarne, ed io, nel mio piccolo, continuo a scriverne. Due numeri fa (15 Febbraio) avevo parlato dei principali requisiti formali (“fattura”, “commerciabilità”) e contenutistici (“retorica”), della tipica canzone sanremese:
https://www.lintelligente.it/2019/02/15/la-legge-di-murphy-e-sanremo/ .
In realtà, se la retorica a Sanremo “tracima”, svolge nondimeno un ruolo importante anche negli altri periodi dell’anno! E non a caso, Cochi e Renato, ne “La canzone intelligente”, scritta insieme ad Enzo Jannacci, evidenziavano già alcuni decenni fa l’importanza del tema “importante” (Cosa ci vuole si sa per far successo con la gente, si prende un filo logico importante); anche se poi tutto converge, come sempre e prevedibilmente, nella “solita vendita”, tentata dall’industria (La casa discografica adiacente veste il cantante come un deficiente, lo lancia sul mercato … sottostante!).
Sempre nel numero scorso asserivo comunque che, per ottenere l’effetto “intelligente” (in realtà “retorico”) ricercato, il “filo logico importante” debba essere sviluppato preferibilmente da un (una) artista riconosciuto/a come un’ “autorità”, per quanto riguarda i temi sociali: ad esempio Cristicchi, Ermal Meta e Fabrizio Moro, oppure, specificamente per quanto riguarda le questioni femminili, Mia Martini, o Fiorella Mannoia.
Per completare il tutto, occorre infine che alcune frasi “particolarmente importanti” si prestino a essere cantate nei concerti insieme al cantante-vate, o alla cantante-vate, e magari in sostituzione di esso/a (il ben noto fenomeno del microfono rivolto verso il pubblico, che canta … mentre l’artista si riposa!).
Per quanto riguarda la “canzone intelligente” sanremese, di cui Cristicchi, Moro e Meta sono diventati esponenti principali (oltretutto, nella consapevole convinzione di rappresentare qualcosa di reciprocamente similare … eccoli qui, tutti e tre insieme, nel brano che la sera dopo vincerà il Festival: https://www.dailymotion.com/video/x6ejjcp), confesso di guardarla con sospetto: vanno bene i Carabinieri in Sicilia di Giorgio Faletti (“Signor Tenente”, 1994), e benino Antonio, il “matto” di Cristicchi (“Ti regalerò una rosa”, 2007); ma se poi si continua a trattare sempre e comunque temi “importanti”, ovvero di “collaudato effetto” sulle masse, si degenera nell’accademia.
E’ come se dopo la dirompente “Merda d’artista” di Piero Manzoni (1961), si proseguisse con l’urina o il muco (“d’artista”!). La provocazione è “geniale” solamente una volta, la prima, dopodiché diventerebbe un filone da sfruttare: per quanto riguarda l’arte “colta”, non si fa, o si fa con pudore; la “musica pop” indulge invece all’ “astuzia” (“d’artista”?).
https://restaurars.altervista.org/la-merda-dartista-1961-di-piero-manzoni-la-verita-sul-contenuto/ ;
https://www.rollingstone.it/opinioni/opinioni-musica/lettera-semiseria-ai-deliri-di-simone-cristicchi/446397/#Part1 (un articolo ironico, ma comunque troppo generoso con la canzone di Cristicchi, che a me ricorda i cosiddetti “post depressivi” di Facebook).
Per quanto riguarda Fiorella Mannoia, i vari “sequel” di “Quello che le donne non dicono” (1987: composta da Enrico Ruggeri e Luigi Schiavone, produttore Celso Valli … tutti uomini!) rivitalizzano costantemente il mito di un’artista monocorde ed astuta (se non lei, il suo entourage) …
… per esempio nel partecipare al “Concerto contro la violenza sulle Donne … https://www.105.net/news/music-biz/217682/amiche-in-arena-le-cantanti-italiane-contro-la-violenza-sulla-donne.html …immediatamente prima della non-irresistibile performance del Sanremo 2017. (Seconda, tuttavia, con la banale: “Che sia benedetta”; la retorica “aiuta”.)
Diverso è il caso di Mia Martini, la cui “celebrazione” avviene grazie alla reiterazione di due canzoni effettivamente notevoli, seppure anch’esse piuttosto retoriche (e comunque composte anch’esse da uomini): “Almeno tu nell’universo” (1989, ma composta nel 1972, e lasciata a lungo nel cassetto da Bruno Lauzi e Maurizio Fabrizio) e “Gli uomini non cambiano” (“non cambiano”, ma ad eccezione di “quelli innamorati come te”! … il povero maschio viene assolto in extremis, nell’ultimo verso: 1992).
Questa celebrazione ad uso e consumo delle masse finisce tuttavia per stereotipizzare una carriera che è stata costantemente di ottimo livello, grazie a una voce e una sensibilità non comuni, e che inoltre è stata “impegnata” (nonché “censurata”) fin dagli inizi:
https://www.youtube.com/watch?v=URm_e3Ka_bY ;
https://it.wikipedia.org/wiki/Padre_davvero…/Amore…_amore…_un_corno! ;
http://www.marcoliberti.it/2014/09/padre-davvero-nasce-mia-martini-ed-e-subito-censura.html ;
In tempi recenti, la storia di Mia Martini è approdata al cinema e in televisione, rivitalizzando l’amaro dibattito sull’assurda fama di iettatrice:
https://www.tvserial.it/io-sono-mia-fiction-mia-martini-quando-in-onda-trama-video/ .
Non ho mai partecipato ai concerti di Fiorella Mannoia. Ma sono sicuro che il microfono rivolto verso il pubblico venga usato spesso, per sottolineare empaticamente le frasi più importanti delle sue canzoni, ed in particolare quelle che hanno per argomento le vite, le storie e le difficoltà esistenziali delle donne.
Ho invece assistito, per motivi di lavoro, a diversi concerti di seguito di uno stesso tour di Vasco: le frasi “importanti” venivano sottolineate collettivamente con il gesto “di taglio” della mano alzata, agitato ritmicamente sul passaggio “giusto” della canzone (FOTO) … una modalità che avevo visto soltanto negli stadi, e che, come negli stadi, finisce per accomunare persone reciprocamente diversissime, a partire dall’età (ma l’amore per Vasco non ha età!).
Quel gesto vuole probabilmente esprimere una forte “assertività”, ai limiti dell’ “aggressività”, ed il senso lo possiamo tradurre (a stento) con: “E’ proprio così, e tutti noi stiamo dalla tua parte”.
Che le persone abbiano bisogno delle frasi “importanti” dei cantanti per esprimere se stesse è in qualche modo comprensibile nella fruizione privata (le canzoni forniscono “le parole per dirlo”, e quindi per riconoscere i propri sentimenti e stati d’animo), ma mi inquieta nei concerti, dove finisce per sostituire la condivisione culturale, politica, sociale. E comunque, quell’agitare la mano “di taglio”, come una mannaia (al limite del saluto romano), mi genera un disagio che, per paradosso (voluto e consapevole), qui vi descrivo proprio con le parole di un cantautore!, Daniele Silvestri: “La gente che grida parole violente non vede, non sente, non pensa per niente. Non mi devi giudicare male, anch’io ho tanta voglia di gridare. Ma è del tuo coro che ho paura, perché lo slogan è fascista di natura” (“Voglia di gridare”, 1994):
https://www.youtube.com/watch?v=xkkCje38UmA .
La canzone contrasta il luogo comune secondo cui sarebbero solamente i contenuti a essere stigmatizzabili, mentre modalità collettive “inquietanti” ben si annidano in contesti apparentemente “innocenti” come i concerti “pop”. Esistono insomma modi poco intelligenti per fruire di canzoni (presuntivamente) intelligenti.
Gianfranco Domizi