Ven. Nov 22nd, 2024

Mi cito, dal numero scorso:

la produzione di un successo, nell’ambito della musica leggera (o “pop”, che dir si voglia), esige preliminarmente la conformazione ad una regola aurea: quella del buon equilibrio fra “fattura” (struttura della canzone, arrangiamento, interpretazione, eventuale carica innovativa) e “commerciabilità” (capacità di essere ricordata, “orecchiabilità”). (…). Se poi si ambisce non genericamente al successo, ma più specificamente al successo “sanremese”, sarà utile, ulteriormente, un buon grado di retorica nella musica (e in particolare nell’orchestrazione), oppure nel testo.

Questo era l’inizio dell’articolo, che, a chi interessasse, contiene anche una disamina dello “scandalo Mahmood”:

https://www.lintelligente.it/2019/02/15/la-legge-di-murphy-e-sanremo/ .

Il fatto che i concetti suesposti (“fattura”, “commerciabilità”, “retorica”) fossero accoppiati ai risultati di Sanremo, lasciano intendere (anzi, l’ho detto esplicitamente) che le inusitate polemiche del pubblico e del web potessero essere un’occasione per riflettere sul fenomeno “canzone”. Ma poi il tutto è stato fagocitato dalle ideologie “pro Mahmood” (in quanto alfiere di una società multiculturale), o “contro” (un giovane artista strumentalizzato per rinforzare le politiche “buoniste” di alcuni partiti, a scapito oltretutto della tradizionale canzone nostrana) … prese di posizione parimenti immotivate, (giacché stiamo parlando di un ragazzo che non è arrivato con un barcone, ma è nato quasi 30 anni fa a Milano da una normalissima “coppia mista”!), e si è persa, come spesso succede, l’occasione.

 

La colgo io, per quanto mi è possibile.

Il fatto che il mio articolo fosse stato pubblicato nella rubrica “La rivoluzione della specie” deriva dalla convinzione del giornale secondo cui parlare delle canzoni può essere comunque utile per comprendere la dinamica delle trasformazioni sociali.

In fondo, la canzone svolge un eccezionale ruolo di “accompagnamento” nelle vicende pubbliche (è la colonna sonora di un’epoca) e private (innamoramenti e nostalgie, ma anche, più semplicemente, sostegno alla quotidianità, per esempio, in alcuni tipi di ginnastica, o negli spostamenti a piedi e in automobile).

Potremmo dire che è “sociologicamente rappresentativa”. Ma si tratta di uno “specchio del Paese” parzialmente deformante, perché in buona parte condizionato dalle strategie dell’industria discografica.

A tale proposito, Cochi e Renato, a cui il titolo dell’articolo rende omaggio, già notavano, in tempi ormai lontani (1973), che l’ipotetica “intelligenza” delle canzoni (alcune, of course), deve comunque essere piegata a un obiettivo fondamentale:

la casa discografica adiacente veste il cantante come un deficiente, lo lancia sul mercato … sottostante.

http://www.galleriadellacanzone.it/canzoni/anni70/schede/canzoneintel/canzintell.htm .

(Ne “linkiamo” una versione in cui compare anche l’autore, il compianto Enzo Jannacci, “impegnatissimo” nel “balletto”, poi diventato famoso, oggi si direbbe “virale”, quanto la canzone: https://www.youtube.com/watch?v=jk2u0RVVQE4 ; nella FOTO che accompagna l’articolo, i tre artisti … qualche anno dopo! .)

 

Proprio quella canzone era pertanto una riflessione sulla dinamica delle trasformazioni sociali, supportata da una vena estetica surreale, poi scomparsa per anni, o quasi, nell’ambito della canzone “pop”, ma improvvisamente rivitalizzatasi proprio in due recenti brani “sanremesi”, entrambi premiati e molto ascoltati, rispettivamente del 2017 (Francesco Gabbani, vincitore) e del 2018 (Lo Stato Sociale, secondo posto):

https://www.wired.it/play/musica/2018/02/06/sanremo-gabbani-dati/ ;

https://www.youtube.com/watch?v=eUZdR0G20Qs .

E come si può vedere dai link successivi, la diversità di vedute fra diversi tipi di giuria non è nata ieri, ma non aveva comunque generato il recente eccesso di polemiche:

https://www.eurofestivalnews.com/2017/02/12/sanremo-2017-risultati-completi-giurie-televoto-molte-sorprese/ ;

https://www.eurofestivalnews.com/2018/02/11/sanremo-2018-i-risultati-completi-serata-per-serata-di-giurie-e-televoto/ .

 

In tutti e tre i casi (l’antesignana canzone di Cochi, Renato e Jannacci, e le due più recenti), è evidente che una cura particolare negli arrangiamenti, ed anche e soprattutto nella coreografia: l’improbabile balletto dei tre cabarettisti, la “scimmia nuda (che) balla” e la “vecchia che balla”). Ma normalmente la “canzone intelligente” possiede tutt’altre caratteristiche:

  1. Occorre che tratti un tema “importante”: Cosa ci vuole si sa per far successo con la gente, si prende un filo logico importante (possibilmente di attualità, e magari condito con abbondanti spruzzate di retorica).
  2. Occorre che l’artista venga riconosciuto/a come un’ “autorità” nel tema, come, ad esempio, Mia Martini, o Fiorella Mannoia (per quanto riguarda le “tematiche di genere” e la “sofferenza delle donne”, Giusy Ferreri, per dire, non “funzionerebbe” altrettanto bene).
  3. Occorre infine che alcune frasi “particolarmente importanti” si prestino ad essere cantate nei Concerti, insieme al cantante-vate, o alla cantante-vate, e magari in sostituzione di esso/a (il ben noto fenomeno del microfono rivolto verso il pubblico, che canta … mentre l’artista si riposa!).

Questi tre ragionamenti verranno sviluppati nella Seconda Parte dell’Articolo, il 15 di Marzo.

 

Gianfranco Domizi

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