Napoli, sabato 5 gennaio, primo giorno di saldi.
Inizia il delirio!
La metropolitana ne è il termometro.
Una febbre, che rischia di salire incontrollabile, richiede un farmaco miracoloso che sta nel portafoglio.
Sia pure per una sciocchezzuola, una cosuccia di pochi euro, ma bisogna prendere la metro e caracollare per le strade affollatissime alla ricerca di quella πανάκεια che ci dia felicità e pace.
-Che si fa? Rischiamo o torniamo indietro?-
Nello sguardo delle mie sorelle prende forma questa domanda che suona come un dubbio amletico che non trova risposta se non nell’immobilità dell’agire.
Io sono più determinata e in certi momenti più incosciente. Sarà che, sebbene abiti lontana da questa umanissima città, ho spirito partenopeo ben radicato in me, per cui ogni cosa la prendo fatalmente, come se niente dipendesse da me, ma da qualcosa che mi trascende.
Questa calca che si accalca all’arrivo della metro spinge ogni nostro passo incerto verso la porta che si spalanca come una fauce affamata.
Quasi senza fatica, che quella la fa la leva umana che potrebbe sollevare il mondo, ci troviamo a bordo!
Una mia sorella è accanto a me, dietro di lei segue l’altra. La cosa mi rassicura. Non mi piace sentirmi dispersa in questo universo vociante ed estraneo. Sorrido per rassicurarle, confermando che ci sono e sono pronta all’avventura. Giuro che mi porterò a casa anche io la mia panacea, crollasse la metro con tutti i passeggeri!
Per quel che posso, giro lo sguardo intorno, incrocio due occhi neri. Un attimo solo, ma basta per coglierne il respiro tra le ciglia.
“ Che occhi belli!” dico tra me e me. Io cerco sempre la bellezza, seppure per un attimo fuggente, anche in posti improponibili come questo. Mi appaga e mi consola. Mi concilia col mondo.
“Occhi belli” è accompagnato, vedo. Una spanna sotto a lui, fa capolino una biondina che a fatica o per sua volontà gli sta appiccicata al fianco. Gli sorride, sollevando il capo.
Prossima fermata: prima scossa tellurica.
Un’onda sismica prende forma: c’è chi scende chiedendo permesso a sgomitate e c’è chi sale a ginocchiate.
La mia sorella maggiore mi lancia uno sguardo perché io entri in connessione diretta con lei senza distrazioni e articola qualche parolina muta che arrivi solo a me. Sta balbettando che si è liberato un posto dietro di me e di affrettarmi a prenderne possesso. Adesso o mai più!
Devo solo fare un mezzo passo indietro e abbassarmi quel tanto che basta fino a sentire sotto le chiappe il sedile agognato. Facile! Eseguo ed eccomi al sicuro. Mi sento felice, che cosa strana la felicità: ti arriva all’improvviso anche in posti infernali come questo.
Davanti alla mia faccia, anzi, quasi appiccicata, la pancia di una sconosciuta compagna di viaggio. Ora ha posizionato la sua ingombrante borsa sulle mie cosce. Sospiro rassegnata a portarmi in grembo quel peso scomodo per tre fermate. Niente di più sbagliato: alla prossima fermata l’invadente passeggero e il suo bagaglio scendono e il siparietto si apre sulla nuova scena.
Eccolo lì di nuovo il mio “occhi belli” seduto di fronte a me con la solita compagna al suo fianco. Ambedue stanno leggendo. Sembrano rilassati e a loro agio anche in questa bolgia. Saranno avvezzi a questo casino, sto pensando tra me e me.
Lui sfoglia un quotidiano. Ha ciglia lunghe. Sotto le palpebre gli occhi vibrano seguendo la lettura. Sorrido e cerco di ricordare la luce bruna di quegli occhi napoletani.
Lei sfoglia una rivista di viaggi con attenzione. Sta cercando un luogo per un prossima vacanza insieme, penso un po’ curiosa.
Poi lui stacca una mano da un lato del giornale che scivola pigro verso il basso, senza che lui lasci la lettura, e la poggia sulla gamba sinistra della donna. Un gesto bellissimo di appartenenza e di possesso. Di complicità silenziosa e cara.
Il pollice di “Occhi belli” accarezza il tessuto dei pantaloni neri della sua compagna. Piano piano, su e giù, con un gesto di una sensualità morbida e certa.
Vorrei essere io sotto quella mano grande, anzi la mia coscia orfana di carezze. Provare per un attimo il tocco di quel dito carezzevole.
Rubarne la tenerezza.
Terza fermata: “Occhi belli” e “Testa bionda” si alzano in sintonia. Lui le mette un braccio intorno al fianco e la guida verso l’uscita.
Li seguo per un po’ col cuore pieno di gratitudine per avermi regalato inconsapevolmente il calore della loro intimità.
In questa umanità underground colgo qualcosa di miracoloso e unico e non importa se non la incontrerò forse più. Di certo io da questi incontri ne uscirò arricchita. Forse diversa .
Rifletto un po’ sulle sensazioni che mi pervadono e mi viene in mente il libro del un mio amico Augusto Funari “ La metropolitana dentro”, uscito da poco, il cui protagonista, attraverso una scelta consapevole, decide di vivere per un po’ nel sottosuolo. Viaggiando in metropolitana, incontra casualmente nove personaggi che diventeranno per lui tappe essenziali del suo percorso di maturazione. Un viaggio vertiginoso nel sottosuolo dell’Io.
Ripeto tra me e me alcuni versi di una poesia di Evtusenko , poeta e drammaturgo russo, citata dal Funari nel suo romanzo:
In stracarichi tranvai
accalcandoci insieme,
dimenandoci insieme
insieme barcolliamo.
Uguali ci rende una uguale stanchezza.
Di quando in quando ci inghiotte
il metrò.
Poi dalla bocca fumosa ci risputa,
il metrò
La prossima fermata sarà la nostra.
Eccoci risputate!
Ora stiamo percorrendo scale e corridoi illuminati, splendenti di modernità.
La stazione Toledo è stata eletta la più bella d’Europa dalla Cnn e dal quotidiano britannico Daily Telegraph . E’ stata progettata dall’architetto spagnolo Oscar Tusquets Blanca. Il suo stupefacente Crater de luz, opera di Robert Wilson, collega la parte interna con l’esterno e ricorda il mare nelle sue mille sfaccettature, con le sue pareti ondulate che riempiono lo spazio con differenti tonalità di blu.
Ma la cosa che più mi colpisce per la sua magnificenza la posso ammirare al primo piano interrato:
la visione superba delle antiche mura che cingevano il castello del Maschio Angioino, emerse durante i lavoro di scavo, ora inglobate in questa bretella super moderna della metropolitana.
Uno scatto mi immortala davanti a tale splendore!
Ah Napoli, ti meriti tutta la mia pazienza, la mia incoscienza, la fatica delirante di questo viaggio! Con tutto il mio cuore:
I love you!
Anna Bruna Gigliotti