Per innamorarsi bastano solo 100 millesimi di secondo. Lo stesso arco di tempo sarebbe sufficiente anche per far nascere un pregiudizio.
Sì, secondo un gruppo di ricercatori delle Università di York e di Princeton, quando si incontra per la prima volta una persona, basterebbero solo pochi attimi per strutturare nella mente di chi guarda le cognizioni che potrebbero perdurare anche per il resto della vita. I dati di questa importante ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista di Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS). Ma sono veramente tanto attendibili le cosiddette prime impressioni?
Se approfondiamo il tema le cose si rivelano un po’ più complesse. Possiamo infatti notare che, in merito, ci sono due contrapposte correnti di pensiero. Alcuni psicologi infatti, sostengono che quando due sconosciuti si incontrano per la prima volta, la “sensazione a pelle” che ne scaturisce non sarebbe altro che un’elaborazione psichica complessa tale da tenere presente una totalità di dati che solo l’inconscio è in grado di interpretare.
Altri studiosi invece sostengono che la prima impressione non è per nulla affidabile. I ricercatori che sostengono quest’ultima tesi smentiscono la precedente attraverso diverse argomentazioni razionali.
Tanto per cominciare, a causa di un principio di coerenza, ogni persona dopo essersi fatta una prima impressione di uno sconosciuto tende a cercare continue conferme dell’immagine che si è precedentemente configurata; un atteggiamento che, non solo limiterebbe la libera espressione dell’altro, ma soprattutto lo spingerebbe a comportarsi proprio come ci si aspetta. Inoltre, ogni interpretazione oggettiva contiene sempre diversi dati soggettivi, per non parlare poi di quei meccanismi di proiezione da cui nessun essere umano può esimersi. Insomma, il dibattito resta aperto e non pare possibile una risoluzione unilaterale di tipo dogmatico. Probabilmente la via giusta, tanto per non cambiare, sarebbe nel mezzo. Non a caso, a mio parere, pur riconoscendo la rilevanza della prima impressione, in quanto libera da barriere cognitive (come ad esempio lo status sociale, i tratti del viso, i coinvolgimenti affettivi, gli interessi personali), non si può certo ignorare la grande importanza che l’aspetto razionale ha in questa spigolosa questione. Per chiarire ulteriormente tale pensiero, basti pensare al diverso effetto che potrebbe fare su di noi la stessa persona se dovessimo incontrarla per la prima volta una mattina, quando è in forma smagliante, o qualche giorno dopo mentre è alle prese con un invalidante mal di testa. Per affinare il nostro istinto infine, io suggerirei, di tanto in tanto, di osservare con “occhi nuovi” anche chi conosciamo profondamente. Tale esercizio non solo migliora le nostre capacità intuitive, ma ci aiuta anche a codificare tutti quei segnali negativi o positivi che le persone, consciamente o inconsciamente, inviano di continuo. Inoltre, questo modo di porsi non solo è in grado di far cogliere le inevitabili trasformazioni che i rapporti umani subiscono attraverso il tempo, ma ci aiuta anche a comprendere tutti quei segnali che spesso vengono arginati dalle barriere cognitive: le stesse che quotidianamente vengono erette dalla nostra mente e dalla società in cui viviamo.
Antimo Pappadia