Seduti sulle scale di fronte al mare, una di quelle volte che il cielo d’agosto si confonde con quello di dicembre, mi hanno raccontato la storia delle
Zeppole di natale ovvero “ le zeppole gelose”
-“ Chiudi la porta! ”
Un comando, una imprecazione, un avvertimento, un timore! Quante vibrazioni nelle voci di sua madre e di sua zia, che serrate in cucina, come in chiesa per un matrimonio segreto, la assalivano in coro!
-“ Chiudi la porta! “- ripetevano.
E lo dicevano forse, prima ancora che la aprisse, quasi percependo la sua presenza dietro l’uscio.
Velocemente e in punta di piedi, finalmente entrava.
Poteva guardare, imparare se voleva, ma soprattutto sapeva che le era proibito fare domande e ancora di più, che non avrebbe mai avuto risposte.
In quella cucina si stava svolgendo uno dei riti più antichi legati alla tradizione natalizia:
La preparazione delle zeppole bollite.
Ma, guai a parlarne, guai a nominarle, guai ad aprire il rubinetto dell’acqua nel corso della lavorazione, le zeppole si sarebbero ribellate e sarebbero scoppiate, una volta messe nell’olio bollente, esplodendo come i fuochi della Maddalena, verso il cielo di una cupola bianca che era allora, il soffitto della cucina.
Schizzi d’olio bollente, frammenti di pasta scoppiettante, da cui era impossibile difendersi.
Le zeppole “gelose”, così vengono chiamate, si sarebbero vendicate di qualunque indiscrezione.
A nulla valeva proteggersi mani o braccia, a nulla valeva foderare preventivamente le pareti con la carta marrone, quella che si adoperava per incartare il pesce.
Il disastro era assicurato. E poco importava, se l’impasto era stato segnato dalla protettiva croce di sant’Andrea!
Perché le zeppole andavano preparate in silenzio, per proteggere chissà quale segreto e poi, sarebbero potute apparire sulle tavole imbandite e apparecchiate con le candide tovaglie di lino o sulle consolles adornate con i centrini di pizzo all’uncinetto.
Finalmente trionfanti, nella loro dorata bellezza, ricoperte di miele, spolverate di zucchero e cannella, profumate di anice, e ammantate di diavolini colorati, arrivavano dal nulla, protagoniste silenziose e ricche di storia.
Testimoni del calore familiare, di racconti, di favole antiche, di chiacchiere, di fatica felice.
In silenzio, su un foglio stropicciato mi hanno regalato la ricetta, in silenzio e con rispetto, la trascrivo:
Una dose di acqua
Una buccia di limone per profumare l’acqua
Una dose di farina
Un pizzico di sale
Un cucchiaio di olio.
Mettere l’acqua sul fuoco e quando bolle: togliere la buccia di limone – versare la farina tutta in una volta nella pentola – aggiungere il sale e il cucchiaio di olio.
Mescolare fino a quando l’impasto si stacca dalla pentola.
Adagiare sul marmo cosparso di olio e poi impastare con le mani.
Coprire l’impasto con un panno bianco e tagliare man mano che serve.
Dare al tocchetto di pasta tagliato la forma di un ferro di cavallo o di una “ e” minuscola.
A questo punto occorre un fornello grande e una padella piena più della metà , di olio.
Per condire le zeppole:
Zucchero
Anice
Cannella
Garofano (poco)
Miele e neanche a dirlo …:
Diavolini colorati. ( si chiamano così, dei piccolissimi e variopinti confettini.)
Nadia Farina
Tratto dal mio libro ” Le ricette raccontano” edito da ” Terre del Sole”