Dom. Nov 24th, 2024

Il potere nella coppia è determinato dalla capacità di influenzare e dirigere, in qualche modo, la relazione. Può riguardare diversi ambiti, come la gestione economica, la sessualità, i rapporti extra familiari, etc.

I meccanismi relativi ai giochi di potere e di leadership, all’interno di una coppia, sono complessi e responsabili degli equilibri della coppia stessa. Se essi diventano disfunzionali, gli equilibri possono sbilanciarsi o assumere caratteristiche di rigidità, e danneggiare la relazione.

La leadership, in una relazione, è rappresentata dall’abilità di coinvolgere, motivare, indirizzare, persuadere. Non si riferisce a comportamenti di autorità o comando, quanto piuttosto all’affidabilità e il carisma che possono rendere una persona più capace di esercitare autorevolezza. Una sorta di “potere buono”.  Un leader efficace deve però essere in grado di spronare l’altro a sviluppare autonomia e ad impegnarsi nella realizzazione personale, promuovendo alternanza e reciprocità.  In alcune coppie si configura, più o meno chiaramente, il bisogno e la volontà di uno dei partner, di esercitare una forma di controllo sull’altro. Attraverso tecniche di comportamento, generalmente di tipo manipolatorio, egli tende a sottometterlo, renderlo dipendente, trasformarlo da soggetto ad oggetto. Le relazioni dovrebbero avere come fondamenta alcuni diritti, come poter essere se stessi, conservare la propria unicità, ed essere amati e rispettati per ciò che si è. Spesso però la ricerca dell’unione con altro è mossa non soltanto da desideri consapevoli, ma anche da bisogni inconsci, uno dei quali è allontanare il rischio della solitudine. Essere se stessi in una relazione non sempre paga, a volte si può incontrare dissenso, che si trasforma in respingimento e rifiuto, la cui conseguenza è proprio quella di sperimentare momenti di profonda solitudine. Ecco allora che, pur di scongiurare il pericolo tanto temuto, si cade nella tentazione di tradire la propria natura, barattando idee, pensieri, convinzioni e comportamenti propri, con quelli dell’altro, per rifugiarsi in una rassicurante adesione conformistica. O addirittura si è disposti a soggiacere al potere dell’altro.   Questo stato di cose non può però funzionare a lungo: arriva il momento in cui il bisogno di affermazione personale preme e questo assetto crolla. Può accadere allora che si cerchi di assoggettare l’altro al proprio potere, come se affermare la propria soggettività dovesse necessariamente passare per la negazione di quella dell’altro.

Spesso si parla erroneamente di parità di coppia, confondendola con la suddivisione equa di responsabilità nella gestione degli impegni quotidiani, o con la collaborazione. La parità nella relazione non riguarda il decidere chi cucina, lava e stira, chi cura i figli, chi si occupa di provvedere alle necessità economiche della famiglia. La parità si riferisce alla gestione del potere nella coppia, inteso come espressione equilibrata di forza, competenza, valore. Prevede dunque che vi siano per i partner le stesse possibilità e la stessa libertà di scelta, che vi sia appartenenza ma non dipendenza, dunque parità dal punto di vista decisionale e affettivo.  Il luogo che permette di incontrarsi su un piano di assoluta parità risiede in una coppia dove il potere viene negoziato e condiviso tra i partner, caratterizzata da equilibrio tra dipendenza e autonomia, tra l’affermazione del proprio sé, e il riconoscimento di quello dell’altro.

E’ proprio questa lotta alla ricerca della conferma personale, e del riconoscimento dell’altro, a caratterizzare solitamente le dinamiche di dominio.

Gli squilibri di potere nelle relazioni possono dipendere da differenze individuali, sociali e culturali, da stili di personalità e storie di vita, ma anche da una diversa possibilità di accesso alle fonti di potere, quali per esempio il denaro o il sesso. Negarsi sessualmente al partner può essere una forma di esercizio di potere, come indurre forzatamente ad un rapporto sessuale. Così come non fornire informazioni sul proprio lavoro, sulle finanze, o anche sulla propria vita interiore. Esiste un modello di relazione in cui è solo uno dei partner, sempre lo stesso, a detenere il potere. In questa modalità relazionale uno è sempre in alto e l’altro sempre in basso. Nella migliore delle ipotesi il partner oppresso, alla lunga, stanco di soccombere, decide di cambiare la sua posizione e arriva alla ribellione. Ma in genere si assiste ad una forma di pseudo equilibrio, strutturato su una distribuzione assolutamente disfunzionale del potere fra i partner, in cui non si ravvisano scontri aperti ma una lotta subdola, fatta di ripicche, manipolazioni, sabotaggi, giochi perversi.

Non sempre però le cose stanno come sembra. Siamo abituati a pensare che chi decide, domina, dirige, è colui che detiene il potere. Ma come mai? Chi ha delegato? Chi ha veramente deciso? Chi permette?

I comportamenti relazionali non seguono una logica lineare ma sono governati da un meccanismo di tipo circolare. L’azione di ciascuno, rappresenta contemporaneamente uno stimolo, una risposta ed un rinforzo. Il comportamento di uno, oltre ad essere una risposta a quello dell’altro, assume il potere di stimolo alla sua risposta. Ciò vuol dire che nessuno è veramente soltanto soggetto o soltanto oggetto, nessuno è mai solo vittima o solo carnefice. La coppia è un sistema e come tale implica la partecipazione, e dunque la responsabilità, sia di chi si sottomette al potere, sia di chi lo esercita. In virtù di questo complesso meccanismo, il vero potere, contrariamente alle apparenze, appartiene talvolta a chi, più o meno tacitamente, ha delegato l’altro a scegliere, decidere, comandare, sottraendosi così ad una buona porzione di responsabilità, nella relazione.

Nunzia Manzo

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