Gio. Nov 21st, 2024

La bellezza salverà il mondo?”

Se lo chiedeva Dostoevskij ne L’Idiota, e molti altri pensatori prima e dopo di lui.

Quando parliamo di bellezza entriamo nella sfera emotiva, perché la bellezza è essa stessa emozione. Emozione deriva da emoveo, cioè muoversi verso qualcosa ed è implicito che ciò avvenga in una relazione a due tra chi guarda e chi o cosa è guardato.

Per cui per continuare ad essere uomini che provano emozioni dobbiamo rincorrere la bellezza.

Solo lei è capace di generare conoscenza e, per dirla con le parole di Dante:

Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e conoscenza

 

Parlando di emozione non possiamo non ricordare la poetessa che per prima ci parlò di bellezza,

Saffo, che di fronte alla luna si espresse con queste parole:

Plenilunio

Gli astri d’intorno alla leggiadra luna
nascondono l’immagine lucente,
quando piena più risplende, bianca

Sopra la terra

 

Questo è solo un frammento di una sua lirica, tradotto da Salvatore Quasimodo, ma è di una tale potenza evocativa che ci fa comprendere come la bellezza sia in grado di attraversare i secoli, smuovere le coscienze, parlare un linguaggio universale nel tempo e nello spazio.

Saffo nacque nell’isola di Lesbo a Ereso, o Mitilene, nella seconda metà del VII secolo a.C.

Non è facile ricostruire la sua biografia a causa dell’alone romanzesco che la circonda.

La sua famiglia era di origine aristocratica ed ebbe tre fratelli. Si dice che si fosse sposata col ricco Cercilia di Andro ma ciò non sembra attendibile. Saffo ebbe però una figlia Cleide alla quale dedicò dei teneri versi d’amore materno. Anche se, persino questo dato, è stato messo in dubbio di recente, e si è avanzata l’ipotesi che il nome di Cleide corrisponda a quello di una giovinetta oggetto della passione amorosa della poetessa.

L’unica cosa certa è che Saffo trascorse la sua vita nel comporre versi e nell’occuparsi di giovani aristocratiche a lei affidate come allieve nella sua scuola di Ereso. A molte di queste fanciulle, come Archeanassa, Atthis, Arignòta, Dike, Eirène e Mégara, Saffo dedicò delle poesie che alimentarono la convinzione che il rapporto tra lei e le sue allieve non fosse un semplice rapporto maestra-discente. Presso la sua scuola le giovani donne venivano preparate alla vita matrimoniale con lezioni di ritualità domestica, canto e danza. Ma la scuola di Saffo, dedicata al culto della dea Afrodite (dea della bellezza), era anche un centro religioso e culturale, detto per questo tìaso. Nella scuola molte lezioni erano dedicate alla pratica poetico-musicale, che veniva espressa prevalentemente con il canto corale. Molte furono le versioni riguardanti il suo aspetto fisico: chi la descriveva bella, come il poeta Alceo, e chi meno, bassa e scura di carnagione. Tuttavia la bellezza immortale dei suoi versi sopravvive e trionfa su ciò che è fragile, temporale, caduco per cui destinato, ahimè, a finire.

La sua produzione poetica fu di tutto rispetto, come si confà ai grandi che lasciano segni indelebili, si parla infatti di otto o nove libri di odi, distici, carmi ed epitalami, cioè composizioni destinate alla celebrazione dei matrimoni, che pare fosse un argomento molto frequente nella produzione poetica di Saffo. Una delle dee più menzionate nelle sue poesie è proprio Era, dea dei matrimoni.

Di questa vasta produzione sono giunti fino a noi circa duecento frammenti, tra cui un’ode completa dedicata alla dea Afrodite e molti altri frammenti recuperati dai papiri.

Per non perderci nei labirinti della sua produzione, seppur frammentaria, e tornare all’argomento scelto come trattazione, cioè la luna di Saffo, vorrei citare altri suoi meravigliosi versi, che hanno destato meraviglia e interesse in molti poeti che, nei secoli, li hanno tradotti, secondo una loro personale interpretazione. Eccoli:

Tramontata è la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte
anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.

Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.

Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero
.

Ritorna anche qui la splendida luna in “ Tramontata è la luna”, nella traduzione del Quasimodo, che a differenza di altri poeti quali Foscolo, Leopardi, Pavese, Lowell, è riuscito a mantenersi fedele al testo greco, riportandoci il suo stesso pathos malinconico.

Qui la poetessa non si limita a cogliere la bellezza della luna, ma ad interpretarla in modo del tutto personale. La lirica indaga il problema amaro della giovinezza che fugge. L’immagine è di grande efficacia. La notte è al suo termine (tramontata è la luna) come lo è per lei stessa l’età della passione e dell’amore. Eros, il dio dell’amore, continua però a tormentare la sua anima nel feroce desiderio di essere ancora amata. La solitudine coincide con il tramonto della vita stessa.

Dallo struggente dolore per la decadenza fisica che spesso accompagna le sue liriche, è nata la leggenda, del tutto smentita, che si sia suicidata gettandosi dalla rupe di Leucade perché rifiutata dal bel barcaiolo Faone, di cui si sarebbe innamorata.

Ma, a ben pensarci, questo è un tema caro ai nostri poeti romantici che a lei si sono ispirati.

Uno per tutti Giacomo Leopardi che le dedicò una poesia: L’ultimo canto di Saffo, composta a Recanati nel maggio del 1822

Nella poesia leopardiana, la presa di consapevolezza che l’unica certezza della vita umana è il dolore («Arcano è tutto, / fuor che il nostro dolor», vv. 46-47) è seguita dall’amaro rimpianto di Saffo degli anni giovanili della sua vita (la «speme de’ più verdi anni») e dalla constatazione che le qualità personali non possono risplendere in un corpo privo di bellezza: «virtù non luce in disadorno ammanto », vv.53.

Dopo tanto girovagare tra i versi, tornando al tema della bellezza che salverà il mondo, , vorrei concludere con le parole profetiche di un sofferente Pierre Auguste Renoir ad un giovane Henri Matisse:

Il dolore passa, la bellezza resta”.

Come la luna di Saffo che splende eterna, aggiungerei io.

Anna Bruna Gigliotti

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