Gio. Nov 21st, 2024

La parola “empatia” è sempre più ridondante quando si parla di relazioni, un concetto piuttosto inflazionato, spesso utilizzato in maniera impropria.

Ma cosa significa davvero essere in empatia, e quanto conta in una relazione?

L’empatia, (dal greco: en=dentro, pathos=sentimento, “sentire dentro”), consiste nella disposizione a comprendere pienamente lo stato d’animo dell’altro, partecipare alla sua esperienza, vivendola come lui la vive, nei suoi panni.

E’ un modo di comunicare attraverso il quale la propria percezione della realtà passa in secondo piano, per fare spazio alle esperienze e le percezioni dell’altro, liberandosi dai propri filtri interpretativi e da ogni parametro di giudizio, per immedesimarsi, entrare nei frammenti più intimi e profondi, comprendere ciò che sta cercando di trasmetterci al di là delle parole, condividerne i vissuti e trovare il sentiero migliore per aiutarlo.

L’empatia è alla base di un autentico legame interpersonale, è un processo che si concretizza nell’essere presente con e per l’altro, (esser-ci), senza per questo perdere la propria individualità.

Nelle relazioni d’amore l’empatia è fondamentale, e la disparità tra i partner nella comprensione reciproca e nella capacità di “sentirsi” vicendevolmente, rischia di diventare un vero e proprio problema.

Ciò che tiene unite le coppie è l’autentica capacità di ascolto: essere empatici nei confronti del partner significa riuscire non solo a comprendere, ma sentire profondamente, in noi, quello che l’altro sente. Significa andare oltre “io, me, mio” e aprirsi al “noi”.

Chi manca di empatia e non riesce a mettersi nei panni dell’altro riuscirà difficilmente a soddisfarne i bisogni e ad instaurare una relazione basata sul rispetto reciproco e la condivisione.

Affinché una persona sia in grado di esprimere empatia è necessario che nel corso del suo sviluppo abbia potuto sperimentare e sviluppare una competenza basilare, che permette non solo il relazionarsi con l’altro, ma, prima di tutto, con se stessa e con il mondo: l’affettività.

Soltanto una persona affettivamente matura può essere dotata di una libertà interiore tale da poter amare in modo costruttivo, armonizzando il proprio modo di essere, le proprie esigenze ed i propri bisogni, con quelli dell’altro.

La mancanza di una piena maturità affettiva non consente di superare l’egocentrismo e ciò rende una persona poco empatica, concentrata solo su se stessa e incapace di spostare l’attenzione sull’altro, determinando spesso tratti di tipo narcisistico.

Il narcisismo, e l’aggressività insita in esso, nasconde e maschera una profonda insicurezza; in realtà la mancanza di empatia è quasi sempre dovuta a una difficoltà a fidarsi profondamente degli altri, e dunque a mettersi in gioco in un rapporto in maniera autentica, eliminando le maschere di protezione, per timore di dover affrontare ferite profonde. Rappresenta dunque una forma di evitamento.

Ma come mai la persona evitante ha sviluppato questa modalità relazionale e non è riuscita a sviluppare una modalità più affettiva di relazione con l’altro?

Le persone evitanti hanno appreso, con molta probabilità, uno schema relazionale rifiutante, che tende a riattivare costantemente la percezione di un ambiente svalutante, anche quando questo in effetti non lo è. Esse hanno fame di relazioni ma, non avendo fatto sufficiente esperienza di amore condiviso e accettante, non sanno come fare a stare in relazione con l’altro, dunque evitano e si allontanano.

Lo stile relazionale di evitamento si struttura su un dolore di fondo: la mancanza di senso di appartenenza. L’evitante è dolorosamente inibito nella relazione, si sente inadeguato, prova ansia e vergogna, teme il giudizio.

Per qualche ragione, egli ha introiettato l’idea che manifestare sentimenti ed emozioni è pericoloso, e preferisce non esporsi, dunque non condivide i propri, di cui spesso nemmeno è consapevole, e non compie alcuno sforzo di comprendere quelli dell’altro.

La relazione con una persona evitante è spesso carica di silenzi, accompagnati da una sensazione di esclusione, non appartenenza, rifiuto.

Queste persone possono essere molto presenti fisicamente, si attivano particolarmente nel fornire sostegno di tipo pratico, nel tentativo inconscio di compensare le loro mancanze, ma sono emotivamente distanti e non si sente la connessione con loro.

Il partner potrà sentirsi solo e abbandonato, non capito, non avrà delle risposte emotive, non saprà quello che l’altro pensa e prova, e dovrà cercare di intuirlo. Stare con un evitante, dunque, è un po’ come stare da soli.

Essere affettivamente vicini significa pensarsi e sentirsi reciprocamente, esser-ci, appunto.

In mancanza di questo processo è estremamente difficile che una relazione possa evolvere in legame affettivo.

Nunzia Manzo

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