Nel cuore della notte, stanche di essere incomprese, maltrattate, travisate, le parole scivolarono silenziosamente fuori dai libri sullo scaffale della libreria, fuori dalle pagine che velocemente impallidirono e una miriade di libri perse ogni valore e significato non essendo più nulla, solo pagine bianche che testimoniavano un antico uso, solo per dei numerini che stavano agli angoli.
Dandosi la mano ed aiutandosi una con l’altra, le parole si versarono sul pavimento facendo capriole o saltellando, attraversarono il corridoio circondandone i lati per giungere alla porta della cucina. Lo sportello per il gatto sempre aperto, facilitò l’impresa ed arrivarono al lavello mettendosi l’una sulle spalle dell’altra. L’ultima fu aiutata dalla parola più lunga del vocabolario che precipitevolissimevolmente, diventò una corda con cui tirarla su. Ma il viaggio era appena iniziato.
Armate di grande determinazione e coraggio, si gettarono a capofitto nel foro di scolo del lavandino e si fecero trasportare dall’acqua che scorreva.. chi aveva aperto il rubinetto?- Giunsero nel tubo di scarico, poi nelle fognature, fecero un viaggio tortuoso, difficile, nella melma, nel fango. Un getto d’acqua più potente le trascinò in un fiume vorticoso ma limpido, ed il fiume, arrivò al mare. Qualcuna rischiò di annegare, ormai era obsoleta, la definivano vecchia, non aveva più forze, qualcuna fu salvata in extremis da altre più forti, e nuotarono sulle onde calme, sui cavalloni impetuosi, si mischiarono alla superficie, alla schiuma, quasi perdendo se stesse, fino a quando non furono trasportate dalla corrente ad arenarsi su di un’isola.
Viveva lì, un vecchio marinaio esiliato per le sue promesse non mantenute, viveva pensando a cosa avrebbe potuto fare della sua vita e non aveva fatto. E tante erano le cose e le imprese che avrebbe potuto raccontare e che punito, era stato obbligato a tenere per sè, senza poter regalare ad alcuno le sue storie, le sue esperienze.
Non avendo nulla da fare e non potendo fare nulla, cercò di occupare il tempo.
Cominciò a cogliere i papiri che crescevano sulle sponde degli acquitrini formati da un torrente che vi scorreva silenziosamente, senza forza alcuna, e come aveva imparato in un viaggio in Egitto, tagliava lo stelo della pianta, divideva in striscioline sottili l’interno dopo avere eliminato la corteccia ed in una sorta di trama ed ordito, creava un foglio che poi metteva ad asciugare al sole. Quanti fogli di papiro era riuscito a mettere da parte? Ormai non li contava neanche più. Quello che rendeva triste il suo ripetitivo lavoro, taglia, asciuga, assembla, era l’nutilità. Non sapeva cosa farne.
Ma una mattina fu svegliato da un vento vorticoso. La bassa marea aveva depositato sulla riva qualcosa e lui stesso era coperto di parole che la sabbia non aveva cancellato.
Il marinaio fu travolto da una nuova e possente energia. Ad una ad una prese le parole con delicatezza e rispetto, temendo di sciuparle, le raccolse nel palmo della mano, e poi le pose ad asciugare sui fogli di papiro. Parole affrante dal cattivo uso che ne era stato fatto, stanche del viaggio interminabile, che desideravano solo riposare, essere curate, amate per ciò che erano.
Ci volle tanto tempo e molte stagioni passarono perchè, pulite, lavate dal sale che le aveva inaridite, asciugate, ritornassero splendenti, non fossero confuse l’una con l’altra, e trovassero il loro posto bene ordinate, sui fogli di papiro.
Tante navi erano passate, senza fermarsi mai sull’isola. Vedevano un grattacielo di fogli e tutti si chiedevano cosa fosse, ma poi passavano oltre. Guardavano e raccontavano di quel marinaio un pò pazzo che continuava a cogliere papiri e piegato su di essi pazientemente e sapientemente riuniva e incollava le parole e per timore che quei fogli si disperdessero, si legava ad essi con una corda, e così passava le notti, con le parole legate ai suoi polsi.
Ma una notte, le parole stanche di quel volontario esilio, sperando che gli uomini avessero compreso il perchè della loro assenza, decisero di riunire le loro forti e subliminali energie per creare un vortice che sollevasse il vecchio marinaio, in alto, sempre più in alto, facendolo volare.
Volò per milla e miglia, come un aquilone con la sua interminabile coda. All’improvviso il vento tacque ed il vecchio marinaio ancora addormentato, fu poggiato delicatamente sulle sponde di un lago. Quando aprì gli occhi, guardò le sue mani, erano piccole, le sue braccia e le sue gambe, di bambino. Ai polsi era la corda con i suoi fogli di papiro. Possedeva ancora le sue parole.
Aveva volato nello spazio e nel tempo che gli avevano regalato una nuova possibilità.
Poteva ricominciare.
Nadia Farina