Gio. Nov 21st, 2024

Mi cito, dalla Prima Parte dell’Articolo:

“Un discorso ‘serio’ sui migranti avrebbe senso se la loro ‘integrazione’ prevedesse la nostra ‘frequentazione’. Da quello che so attraverso private conversazioni, anche le persone favorevoli ad un’ ‘accoglienza’ estesa o estesissima, a volte non conoscono VERAMENTE neanche un migrante: non ci vanno al bar o in trattoria, non ci vanno al cinema, ci lavorano insieme quando il mercato del lavoro li fa incontrare. Non per scelta, insomma”.

Ebbene: frequentare le persone è un fatto “pratico”, e, per meglio dire, “pratico-esistenziale” … risolvere i problemi, e, nel caso specifico, assicurare le migliori condizioni possibili di vivibilità. sia ai migranti che ai cittadini italiani di lungo corso. sarebbe un fatto egualmente “pratico”:“pratico-politico”. Tuttavia, come ho argomentato più volte, risolvere i problemi e darsi degli obiettivi (tipiche attività dei Manager) è essenziale, ma, al contempo, “noioso”, in quanto non prevede quella passionalità che possiamo mettere invece nelle dispute basate sulle parole.

Intendiamoci: “teoria”, “valori”, “ideologie”, “retorica” (le “parole”, per l’appunto) non sono la stessa cosa, però nell’universo psico-sociale la differenza fra “teoria” e le altre tre non è così evidente, come nell’ambito delle scienze naturali.

A maggior ragione, è latente la differenza FRA “valori”, “ideologie” e “retorica”: in tutti e tre i casi, si finisce per cercare delle astrazioni che possano vivificare la Politica con il fuoco della passionalità.

Ma purtroppo, nella nostra Società, le astrazioni sostituiscono parzialmente o integralmente la Politica (e i “fatti” della Politica): tutti si diventa paghi delle “belle parole” (quelle in cui ci riconosciamo, in antitesi alle “cattive parole”, che sono quelle degli altri), ed intanto i problemi rimangono lì. E quindi, ispirandoci al titolo di una nota canzone, considerata la scarsità sia della dimensione pratico-esistenziale (frequentare i migranti), sia di quella pratico-politica (risolvere i problemi), non possiamo che argomentare: “Sono solo parole”.

 

E’ però ovvio che la Politica ufficiale, pur facendo ampio uso di parole (retorica, ideologia), non può recidere totalmente il nesso con i problemi concreti e con i fatti, altrimenti risulterebbe ancor meno credibile di quanto sia. Attualmente.

Non può ridursi, insomma, a puro ”social”, o “talk show”.

Per quanto riguarda i migranti, i “cavalli di battaglia” sono due:

  1. a) sicurezza e legalità;
  2. b) conseguenze economiche delle migrazioni in Italia.

In realtà, bisognerebbe aggiungere un terzo tema, che però fa comparse intermittenti: la condizione femminile e, di conseguenza, la relazione uomo-donna, confrontando migranti (ammesso che siano riconducibili a un’unica cultura, o a una cultura dominante) e italiani (e/o europei) di lungo corso. Mi limiterò pertanto solamente ai primi due.

 

Il primo è costantemente alla ribalta della cronaca, ma di difficile ricognizione sociologica e scientifica: da una parte, le notizie drammatiche e tragiche dei Media hanno spesso per protagonisti, e talvolta anche vittime, gli immigrati; dall’altra, la virulenza delle immagini e dei fatti non è automaticamente segno del superamento di una soglia d’allarme, giacché le statistiche sembrerebbero invece riportare una diminuzione dei crimini.

Tuttavia, anche le statistiche sono menzognere, perché è notorio che la gente si è stancata di denunciare crimini che rimangono impuniti, anche per timore di ritorsioni. Disponiamo infine di statistiche che confrontano la delinquenza dell’italiano con quella dell’immigrato, ma in definitiva che cosa dimostrano? … che “il romeno” o “l’uomo nero” delinquono di più? … che chi si trova in stato di precarietà economica ed esistenziale (“non ha nulla da perdere”) delinque di più? (toh!) … che il migrante è però un “pesce piccolo” (che rimane impigliato nelle reti, specialmente per lo spaccio di droga), mentre i “pesci grandi”, magari italiani o europei, non vengono catturati? Alle statistiche si può far dire di tutto.

Due dati certi, tuttavia:

  1. le conseguenze dell’illegalità e della mancanza di sicurezza sono generalmente peggiori, o comunque più estese, per gli italiani poveri che per gli italiani ricchi (per ovvi motivi);
  2. l’illegalità derivante dalla cattiva gestione dell’immigrazione non si sostituisce a quella preesistente (!), ma l’alimenta ulteriormente, e pertanto compararla con “la nostra” è inutile: maggiore, minore, di pari livello, di più basso livello (“pesci piccoli”) non conta … è tutta insicurezza ulteriore, soprattutto per i poveri di qualsiasi etnia.Stiamo insomma parlando della vita quotidiana delle persone.Insomma: con tutte le polemiche che infuriano per i morti derivanti da qualsiasi causa, la vecchietta non merita? Beh, se siete e siamo fortunati, vecchi diventerete anche voi come me!Per quanto riguarda gli aspetti economici, già Marx ammoniva a proposito della creazione di un “esercito industriale di riserva” (“Il Capitale”, Libro Primo), tale da innestare una concorrenza al ribasso sui salari, a completo vantaggio dei capitalisti. Esiste una minoranza “sovranista” anche dentro la Sinistra, che evidenzia, secondo me a ragione, come il mondo globalizzato non solo ci metta costantemente sotto ricatto finanziario (scrivo mentre il deficit del 2,4%, programmato dal Governo nella Finanziaria, sta scontando l’opposizione nettissima delle oligarchie europee, nonché le paure della Finanza: la famigerata crescita dello “spread”), ma anche sotto ricatto economico, attraverso la delocalizzazione dei siti produttivi, e, come ho già detto citando Marx, attraverso la presenza di “disoccupazione indotta” mediante le migrazioni.La nostra nei confronti dell’Africa è una bontà (… che) fa la fine di tutti i favori non richiesti che, di solito, ti ricadono in testa come una tegola. Perché questi ‘aiuti’, quali che siano, non fanno che integrare ulteriormente l’Africa al nostro sistema così strangolandola definitivamente”.Non si può negare che in molti casi l’aiuto umanitario (all’Africa) e l’integrazione (degli africani e delle altre etnie ospiti in Italia) possa alleviare la situazione non solo dei “rifugiati”, ma anche dei “migranti economici”. Tuttavia, è anche vero che andiamo ad aiutare le nazioni, i gruppi e i singoli, dopo averli messi noi in difficoltà! Non so se esista un punto di non-ritorno, per cui, dopo averli strangolati siamo oramai costretti ad aiutarli, perché da soli non ce la possono più fare, ma esiste qualcosa di intrinsecamente paradossale in un Capitalismo maturo che crea problemi, per poi andarli a risolvere! … (forse) … e comunque a detrimento di tutti i salariati (italiani, europei, africani ed asiatici), sempre più concorrenti nel tentare di spolpare una coscia di pollo ormai ridotta a pelle ed ossa.  Su tutta questa materia, si gioca anche una partita strettamente politica: il Partito più evidentemente filo-migranti (“Liberi e Uguali”) e quello più evidentemente contrario (la “Lega”) prima delle ultime elezioni erano considerati più o meno equivalenti, come forza e come consenso: oggi il secondo è quotato dai Sondaggi al 32,5%, il primo si è ridotto a un malinconico 2,5%. Ma questa è un’altra storia. In sintesi: aiutare l’Africa (lì) fa bene anche e soprattutto “a noi”. Non parlo del tacitare i sensi di colpa, ma proprio del benessere economico, della produzione e del consumo, della “crescita”, degli “affari”; aiutare l’Africa (qui) fa bene (ugualmente) anche e soprattutto “a noi”: può servire a coprire lavori che non vogliamo più fare, a pagare le pensioni che non siamo più in grado di assicurare, ad incrementare la prole che non vogliamo incrementare … e a sviluppare Organizzazioni ed Associazioni che vivono sull’industrializzazione del problema; si occupano, cioè, di “migranti”, allo stesso modo in cui ci si occupa di “minori”, “carcerati”, “matti”, “tossici”, “donne in difficoltà”: per farci sopra un bel business, favorito dalla conoscenza personale del politico di turno; e per assicurarsi tali business in modo continuativo, alimentano progetti in cui i clienti di cui sopra vengono trattati meglio dei comuni cittadini (provenienti da qualsiasi etnia), che hanno, magari, parimenti bisogno. (Nella Prima Parte dell’articolo dicevo che per i clochard non si fa mai nulla, ad eccezione dell’apertura notturna delle fermate del Metro, durante i picchi di freddo.Dice Massimo Fini ne “Il ribelle dalla A alla Z” (Marsilio, 2006), alla voce: “Neri (Africani)”: “L’Africa (…) agli inizi del Novecento era totalmente autosufficiente dal punto di vista alimentare e lo è rimasta, in buona sostanza, al 98%, sin verso la fine degli anni Sessanta. Ora è alla fame. Perché? Perché l’integrazione economica mondiale, la cosiddetta globalizzazione, costringe i neri africani, come le altre popolazioni del terzo Mondo, ad abbandonare le economie di sussistenza, cioè di autoproduzione e autoconsumo, su cui avevano sempre vissuto e prosperato. Adesso i Paesi africani esportano qualcosa (…), ma queste esportazioni sono lontanissime dal compensare il deficit alimentare che si è venuto a creare con l’abbandono delle economie tradizionali. E quindi la fame. (…) La previsione si sta avverando, e non è la prima. Con buona pace di chi pensa che Marx sia “morto” politicamente e culturalmente non dimentichiamo inoltre che il “pesce piccolo”, proveniente da qualsiasi etnia, quando scippa la vecchietta (che potrebbe essere nostra madre o nostra nonna), può causare anche la morte. Questi due aspetti dovrebbero spingere “lorsignori” a considerare le cose con più rispetto, prima di lanciarsi in intemperanze politico-verbali di un segno politico, o del segno opposto: per chi già stava in una situazione precaria, essa comunque peggiora.

 

Gianfranco Domizi

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