Il declino della Sinistra italiana è diventato lampante con le ultime elezioni, contrassegnate dal vistoso arretramento percentuale del PD e dal risibile risultato di Liberi e Uguali (LeU): ciò ha determinato l’interruzione delle leadership esistenti (Renzi e renziani; D’Alema e Piero Grasso), e soprattutto la marginalità nelle trattative per la fondazione del nuovo Governo.
(Allo stato attuale, la partita non è terminata, ma è probabile una svolta in direzione delle due principali organizzazioni neofite a livello nazionale, Cinque Stelle e Lega.)
“E’ diventato lampante”, dicevo, giacché possiamo largamente supporre che la crisi venga da lontano, ma sia stata variamente mascherata per decenni.
In particolare, il PD è dovuto forzatamente pervenire a tre grandi cambiamenti:
- a) l’abiura totale del Comunismo, già iniziata con la caduta del Muro di Berlino (1989) e la trasformazione del PCI in PDS, durante la Segreteria di Achille Occhetto (1991);
- b) il ricambio di leadership “esauste” (D’Alema, Veltroni, Prodi, Rutelli), a favore di Renzi e dei renziani;
- c) la fusione (2007), precedentemente impensabile, con gli eredi dell’avversario storico democristiano (“La Margherita”).
Tuttavia, ricordando che per quasi 50 anni (1946 – 1992, ovvero subito prima della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi), la somma dei consensi di DC, PCI e partiti intermedi, fra cui il PSI, è stata mediamente dell’80% …
… mentre la somma degli eredi dei tre Partiti suddetti, nelle loro varie sigle, comprendendo l’Ulivo, per arrivare all’odierno PD, è oscillata fra il 25% e il 45%, ben si capisce come la fusione abbia grossolanamente nascosto una crisi trentennale, drammatica per gli avvenimenti internazionali ed il Crollo del Muro, ma anche indipendente da essi/o: si sarebbe, cioè, verificata comunque, e, non a caso, ha finito per prendere la forma non del crollo del Comunismo, bensì dell’avvento del Berlusconismo.
Ed è una crisi ancor più sconcertante, se pensiamo che il processo di fusione fra eredi del PCI, della DC e del PSI abbia portato in dote al PD il consenso iniziale di tutti e tre i Sindacati storici: quello “comunista” (CGIL), quello “democristiano” (CISL) e quello “socialista” (UIL).
Poi, parte della CGIL ha cominciato a “prendere le distanze”. Forse dal PD, sicuramente dal “renzismo”.
Il fatto che la crisi e il declino ci sarebbero stati comunque, a prescindere dal Muro, può essere racchiuso in una frase: la Sinistra italiana (ma anche quella europea), per come la conosciamo, è un frutto dell’Ottocento e del Novecento.
Al cambiare delle condizioni, ovvero nel Terzo Millennio, sarebbe stata necessaria una “cosa” radicalmente nuova, che non si è realizzata, ed è stata semmai realizzata dal M5S, che è pertanto una forza “estranea alla Sinistra”, se pensiamo al socialismo e al comunismo, all’Ottocento e al Novecento, mentre potrebbe essere considerata (forse) una “nuova Sinistra”, seppure inevitabilmente approssimativa, e a volte dilettantesca, in base alle argomentazioni che mi appresto a fare.
La crisi del PD, di LeU, nonché dei vari gruppuscoli di residua ispirazione comunista, e soprattutto del Sindacato, è uno specchio della crisi della “classe operaia”, che è in decremento percentuale rispetto agli “impiegati nei servizi”.
Nei posti dove rimane importante per forza di cose (manifattura, porti, acciaierie), ha perso comunque la sua forza contrattuale e “di pressione”.
Molti lavori “operai” in senso lato (umili e faticosi) non avvengono più in grandi concentrazioni “fordiste” (la fabbrica tradizionale), ma in tanti piccoli posti, confinanti strutturalmente coi “servizi”, o considerati “servizi” tout court: badanti, call center, movimentatori e trasportatori di merci, anche per il commercio on line.
Ciò vuol dire, molto semplicemente, che questi “lavoratori” e/o “sfruttati” molto semplicemente non li trovi! …
… e, trovandoli, manifestano bisogni a volte molto primitivi (di permanenza in un lavoro precario, oppure di integrazione, se immigrati), a partire dai quali è obiettivamente difficile immaginare percorsi di emancipazione sociale nazionale, o addirittura planetaria. (“Il proletariato non ha nazione”: non si diceva così? .)
I “precari colti”, ovvero i nostri figli, li potresti invece intercettare, magari attraverso la Rete, che però, al netto dell’uso “folklorico”, dei “social”, da parte dei Leader di tutti i partiti, rimane uno strumento che parimenti non appartiene alla Sinistra tradizionale.
La base elettorale del PD e di LeU è vecchia anagraficamente, e si basa non sul consenso alle politiche attuali, ma su un’ “adesione ideologica”, che guarda nostalgicamente ai processi di emancipazione degli anni ’60 e ’70. Ma cosa ha veramente a che spartire, OGGI, l’impiegato statale, regionale o comunale, l’insegnante, l’aristocrazia operaia dell’Enel, o delle Ferrovie, nonché l’abitante in confortevoli quartieri delle grandi città, con quel giovane “arrabbiato” di 40-50 anni fa? E che cos’ha da spartire con i precari e con gli sfruttati attuali?
Nulla! Voterà PD e Leu sentendosi “in pectore” comunista …
… o lavorerà magari, in una multinazionale, con il poster del Che alle spalle della scrivania (ne ho visti diversi, nel mio passato di Formatore aziendale).
Il comfort in cui vive gli impedisce di vedere quello che vedono gli abitanti delle periferie: che tutta una serie di “politiche”, atte nominalmente a risolvere i problemi (centri dell’impiego, organizzazioni varie a sostegno dell’immigrazione, delle donne, dei carcerati, dei minori, ecc.), funzionano quasi per niente, e diventano invece, più plausibilmente, opportunità per lavori ed affari, basati su “conoscenze amiche”, senza reali competenze.
Un paio di mesi fa intervistavano in televisione gli iscritti ed elettori del PD che si erano allontanati nelle ultime elezioni. Mi ha colpito uno che diceva: “In questo Partito, ci puoi stare solamente per fare degli affari”.
(E sembrava veramente una persona della “base”, ed anche una persona “semplice”, non un critico, un giornalista, un neolaureato, un sociologo.)
Le opportunità basate sulla risoluzione apparente dei problemi sottraggono ovviamente risorse alle famiglie in difficoltà, ai malati, ai disoccupati, ai cittadini che richiedono sicurezza, alla prevenzione del dissesto idrogeologico e addirittura alle ricostruzioni post-terremoto! Non stupisce, a questo punto, che l’abitante delle periferie possa tollerare poco gli immigrati, o i detenuti troppo generosamente destinati alle pene alternative, a nostre spese. Sbaglia ovviamente a generalizzare, ma sbaglia ancor più il dirigente del PD, o di LeU, o anche il semplice sostenitore “ideologico” e “garantito”, a non accorgersi che loro stessi, per privilegio di classe (ebbene, sì!), hanno già quelle “attenzioni” che il precario, lo sfruttato o il disagiato sono costretti invece a reclamare, nelle forme e nei modi in cui riescono.
Se “reclama”, o “vota contro”, diventerà un “razzista” e un “ignorante”, uno che non comprende la “proposta”, e si accontenta del voto di “protesta”. Ma fermiamoci un attimo: i dirigenti della Sinistra italiana possono veramente dare dell’ “ignorante” a disagiati e precari? Se così fosse, se fossero veramente “ignoranti”, non dovrebbero essere “coltivati” immediatamente?: https://it.wikipedia.org/wiki/Una_vita_violenta .
Supponiamo tuttavia che si riesca finalmente a concepire una politica economica veramente utile a risolvere i problemi, e ad armonizzare le varie richieste sociali: sarebbe possibile implementarla?
I vincoli sembrano effettivamente formidabili:
- Puntare sullo “sviluppo” (il vecchio totem della Sinistra e dei Sindacati) trova una limitazione nello sfruttamento delle risorse naturali. A forza di “creare sviluppo” riusciremo ad esaurirle, nutrendoci contemporaneamente di tutti i veleni che l’industria può creare. Una “cosa di Sinistra”? Chiudere l’ILVA “senza se, e senza ma”, creando in breve alternative dignitose.
- Puntare su un terziario di minor costo e veramente utile finirebbe per tagliare il ramo su cui stanno seduti (e occupati) tutti coloro che si sono improvvisati “operatori del sociale”, giacché conoscevano il politico di turno, e potevano ripagarlo in consensi elettorali. (Del resto, se non l’avessero ripagato, sarebbe terminata l’ingegnosa “soluzione”.)
- Una politica “nuova”, di qualsiasi tipo, spaventa i mercati.
Le varie organizzazioni politiche e finanziarie sovranazionali sono sempre pronte ad additare lo spauracchio dello “spread”, dei “risparmi volatilizzati” e della sopraggiunta difficoltà nel prestare denaro alle industrie, e hanno buon gioco, così facendo, nello scongiurare qualsiasi “novità”. Ad onor del vero, si tratta di uno spauracchio che è anche realistico, giacché il sistema capitalistico vive di automatismi, e le conseguenze infauste si possono sempre avverare, anche a prescindere dalla “volontà” dei governi e dei finanzieri. Comunque, basta additare l’ipotesi del disastro, mediante una crescita dello spread, o una modica flessione delle Borse, per addomesticare politiche nuove, trasformandole in un “usato garantito”.
Occorrerebbe che a partire da qualche forma di “pressione” (sociale e/o ecologica) vari Stati contemporaneamente, e soprattutto le istituzioni sovranazionali, si accordassero affinché diventi più arduo delocalizzare, trovare “paradisi fiscali”, e soprattutto adoperare in modo ricattatorio gli investimenti finanziari.
Ma questo mix di “pressioni” (simultanee, globali) e di “politiche nuove” (simultanee, globali) si chiamerebbe “rivoluzione internazionale”.
(Vedi anche “rivoluzione permanente”, in Trockij:
https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_permanente .)
La Sinistra è morta! Viva la Sinistra!
Fortunatamente ci siamo dimenticati, per un po’ di righe. dell’orrenda Sinistra italiana, e possiamo finalmente allargare lo sguardo:
http://ferdinandodubla.blogspot.it/2017/11/l-di-james-o-e-la.html
Gianfranco Domizi