Ven. Nov 22nd, 2024

“Condizionare”, “condizionato”, “condizionamento” introducono nella maggior parte dei casi a significati spiacevoli: sono per definizione “condizionati” gli individui la cui libertà venga limitata da un “agente” esterno.

E pertanto, pur essendo ovviamente condiviso che non sia possibile educare, o prevenire il disordine sociale, senza un minimo di “condizionamento”, non sono mai mancate le voci critiche e negative.

Alcune di esse sono state brevemente evocate nella Prima Parte dell’articolo, a partire da Marx e dal “marxismo eretico” di Pasolini e Althusser. In questa Seconda Parte, passiamo dal piano filosofico e sociologico a quello psicologico, dedicandoci pertanto al seguente tema specifico: verificare se il condizionamento possa rappresentare invece un’opportunità esistenziale e creativa.

L’immagine a corredo dell’articolo è tratta dal film “Yes Man” (2008), diretto da Peyton Reed, interpretato da Jim Carrey e ispirato al libro autobiografico dell’umorista inglese Danny Wallace (fonte: wikipedia).

 

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Classicamente, il tema del condizionamento in Psicologia ha a che vedere soprattutto con gli studi americani riguardanti l’adattamento ambientale.

Il capostipite, John Watson, attivo nella prima metà del Novecento, si basa programmaticamente sull’analisi del solo comportamento manifesto (“comportamentismo”), evitando, correlativamente, l’introspezione.

Watson dimostra che la correlazione fra stimolo e risposta, già analizzata da Ivan Pavlov in Fisiologia, può essere utilizzata anche in Psicologia, dove svolge tuttavia un ruolo più complesso, essendo implicata la totalità delle percezioni umane, consapevoli e inavvertite: ciò che entra a far parte del nostro mondo (“stimolo”) ci condiziona in modo inevitabile (“risposta), e, qualora la correlazione fra i due elementi diventi ripetitiva, diverranno parimenti ripetitivi i comportamenti che ne derivano. Ciò rappresenta, secondo Watson e i “comportamentisti”. la base dell’adattamento, a prescindere da ogni possibile considerazione morale.

 

Il “comportamentismo” è stato da più parti criticato, soprattutto perché basato sulla “semplificazione” dell’essere umano, il cui adattamento ambientale e sociale verrebbe a dipendere esclusivamente da premi e punizioni derivanti dal comportamento adottato.

Facciamo un esempio: se so di essere più rilassato (“risposta”) ogni volta che fumo (“stimolo”), perché cambiare tale stile di vita? Tuttavia, è anche vero che “ciò che so” degli effetti a lungo termine del fumo, potrebbe invece dissuadermi dal perseverare, anche a prescindere dalla bontà della risposta immediata. Insomma, “ciò che so” potrebbe problematizzare gli esiti della “percezione immediata”, solo apparentemente “premiante”.

A questo punto, si apre un portone (l’influenza dell’elemento cognitivo, e più in generale “mentale”, o addirittura “spirituale”, sulle “percezioni”), all’interno del quale troviamo almeno due porte:

  1. a) l’opportunità di cambiare modo di pensare e, conseguentemente, di agire, in modo da sostituire abitudini consolidate apparentemente “premianti”, con nuove abitudini, più sostanzialmente positive;
  2. b) promuovere associazioni stimolo-risposta diverse dall’originale.

(Per esempio, il “mangiarsi le unghie” potrebbe essere considerato non più un’occupazione apparentemente innocua, utile a scaricare la tensione, ma come una fonte di disgusto, qualora sulle unghie venisse applicata l’opportuna “sostanza”.)

Il caso b) può essere analizzato sia teoricamente (in un sistema semplificato, sembra che il buon Watson funzioni ancora!), che dal punto di vista pratico (per quanto riguarda l’ “onicofagia”, pare che funzioni, ma quando alziamo il tiro passando all’alcoolismo e al tabagismo?). E’ però fondamentale aggiungere che stiamo parlando di possibili soluzioni che non sono raggiungibili attraberso il fai-da-te: c’è bisogno di un medico, o di uno psicologo, o, al limite, di un ipnotista.

Ma veniamo ad a), che è di fatto la ragione del proliferare, da una parte, di nuove professioni aggiuntive alla psicologia e alla psicoterapia, come il coaching, il counseling e la consulenza filosofica, tutte orientate, seppur con metodi differenti, a riorientare il sistema di obiettivi e problemi del “cliente”, dall’altra, di una “manualistica” che sembrerebbe invece invitare al fai-da-te.

Io sono personalmente contrarissimo ai metodi “casalinghi”, non soltanto perché un professionista bravo rappresenta un’ottima risorsa, ma soprattutto perché le persone hanno generalmente una perfida astuzia nel mentire a se stesse, al fine di ripristinare abitudini disfunzionali, o sostituire le vecchie abitudini con nuove abitudini parimenti dannose.

Insomma, credete al Dottor House: “La gente mente”!

https://www.youtube.com/watch?v=CZR2k5c_198 .

Ciò che ho descritto abbreviativamente come a), ovvero “cambiare modo di pensare e, conseguentemente, di agire”, soggiace comunque a una pluralità di metodi e di gradazioni.

Per esempio, Stephen Covey, ne “I sette pilastri del successo” (Bompiani, 1991, apparso negli Stati Uniti due anni prima), ha divulgato una filosofia di vita (non si tratta pertanto di un effimero fai-da-te, e questo spiega la trentennale presenza nelle librerie di chi opera in azienda, ma anche nel campo dell’educazione) basata sull’applicazione sistematica e quotidiana di sette principi, e soprattutto sulla volontà di rinnovare se stessi: “affila la lama” è in realtà l’ultimo dei sette “pilastri”, ma a mio parere è quello che dà senso ai sei precedenti. Ogni principio, trattandosi di “nuove abitudini”, è ovviamente sostanziato da conseguenze operative:

https://www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__sette-regole-avere-successo.php .

Molto più “spinto” è l’approccio noto come Programmazione Neuro Linguistica (PNL). Già nell’uso dei termini: “programmare” comunicazione e comportamenti definisce un orizzonte teorico così apertamente “ambizioso” e “aggressivo”, da giustificare controversie teoriche, diaspore e litigi che durano oramai da 50 anni, ma anche da motivare un successo sociale addirittura fenomenale, e tuttora resistente. Fra le versioni comunque notevoli, quella di Robert Dilts:

https://www.enciclopediadellapnl.com/convinzioni-robert-dilts-tim-hallbom-suzi-smith/ .

Un caso a parte è rappresentato da Scientology e dal suo fondatore Ron Hubbard, entrambi oggetto di interrogativi anche inquietanti, come la conformazione degli “adepti” agli stili di una setta.

Ci sono forse motivi per confrontare le vicende di Scientology con la progressiva invadenza sociale e mediatica della Programmazione Neuro Linguistica, ed altri, invece, per pensare che la PNL sia un approccio che merita comunque di essere conosciuto ed esaminato, anche nelle sue conseguenze sociali.

La questione resta aperta … ma la mia diffidenza per le “adunate” basate sull’uniformità di pensiero, nell’irragionevole credenza in una causa, mi porta a concludere questa Seconda Parte del mio articolo con il link a un’opera cinematografica, che tratta per l’appunto (ironicamente) le possibili degenerazioni dell’auto-condizionamento e del condizionamento collettivo:

https://www.youtube.com/watch?v=qzEbDO5GmRE .

Si potrebbe obiettare che un film volutamente e intensamente paradossale possa avere poco a che vedere con la “psicologia pratica” contemporanea, anche nei suoi aspetti discutibili. Eppure, navigando per il web, si possono trovare editoriali come questo:

http://www.divergentilfilm.it/il-potere-della-si/ .

A rileggerci con la Terza Parte dell’articolo (15 Maggio).

 

 

Gianfranco Domizi