Non ho idea di come dovrebbe essere un giusto 8 marzo, ma ho idea di come mi piacerebbe che fosse; e di cosa e come fare quando si vuole attivare un’azione in nome e in favore delle donne, in qualsiasi giorno dell’anno.
Ho provato e provo disagio, e di questo voglio parlare … un disagio che conosco da anni, ma che mi si ripropone ad ogni scadenza, puntuale … una sorta di appuntamento semestrale con il disagio, che ha per occasioni l’8 marzo e il 25 novembre.
Il trionfo della demagogia e dell’incoerenza?
Forse sì … forse no … forse semplicemente l’incapacità di ascoltare, e sentire chiaramente e profondamente, le esigenze di una sempre più massiccia fascia debole delle donne … forse la soggettiva difficoltà di prendersi il tempo adeguato per calarsi con un po’ di umiltà nelle loro realtà problematiche, e a volte misere.
O forse esiste una terribile “distanza borghesoide”, che porta incautamente ed inconsapevolmente a prendere decisioni senza prevedere chi si finisca per avvantaggiare, o svantaggiare.
L’8 marzo del mio viaggio a Milano è stato segnato da una nota di disagio, ebbene sì!
Lo sciopero dei treni, sì … ho dovuto cambiare i miei piani di viaggio, uscire di casa alle 6,30 invece che alle 11,00 … ho dovuto farmi quasi tre chilometri in centro per sciopero del tram numero 3 …
Ma non è questo … non ho problemi ad alzarmi presto alla mattina, ci sono abituata, e neppure problemi a camminare, che sono abituata pure alla fatica.
Il mio disagio è il pensiero che mi sto portando dentro, cioè che questo sciopero non era una sciopero per tutte le donne.
Questo sciopero non era uno sciopero per le donne che sono obbligate ad andare a lavorare, e a fare lavori umili, duri, sottopagati.
Se non ci vanno, forse non ci torneranno. Può succedere. Chi le tutela?
Questo sciopero non era neanche per le donne disoccupate, preoccupate a tempo pieno dallo sfratto, o dalla bolletta impagata.
Questo sciopero non era neanche per le mamme in difficoltà, con i figli da gestire, e neppure per quelle che hanno un genitore da accudire.
Allo sciopero hanno aderito le diverse aziende di trasporti, comprese ovviamente Trenitalia e Trenord, ed io, informandomi su come si sarebbe presentata la giornata, ho capito che in fondo la situazione non era poi così drasticamente difficile: tutte le Frecce erano garantite per tutto il giorno; quindi, per le donne che si alzano al mattino senza il problema della conta dei soldi, il problema non si poneva. I Regionali, invece, non davano garanzie dalle 9,00 alle 21,00. (In realtà, il Regionale delle 6,30 in partenza da Bologna per Milano, era stato cancellato.)
Ecco dov’è il mio disagio! Ma davvero si è potuto pensare che questo sciopero fosse in nome e per le donne (tutte)?
Alle 7,00 la barista, una donna con il sorriso sulla faccia stanca, era dietro al suo bancone già da due ore, al bar della stazione, e all’ufficio informazioni (neanche sapevo che ci fosse in una stazione così piccola), c’era un’altra giovane donna.
E mi dico: “Ma di chi è questo sciopero?”.
Alle 8,30 riesco a partire.
Conosco bene questi treni, ne faccio parte … pendolari impolverati di calce e cemento, donne di colore bellissime con le loro borsone piene di ogni cosa, tra le quali sbucano i bambini belli come il sole.
Conosco questi treni … conosco le facce pulite di giovani donne immerse nei libri, e quelle delle badanti che approfittano del tempo di viaggio per parlare la loro lingua in santa pace.
Con un occhio al finestrino, guardo, penso e sento il mio disagio.
Alla Stazione di Modena una ragazza dentro al suo giubbotto giallo sta pulendo il marciapiede dell’ingresso, scopa e paletta, chissà se sa dello sciopero, e chissà, se lo sa, cosa ne pensa, chissà se ci pensa, se il suo diritto di sciopero esiste, è vero, concretamente fattibile, o forse non può permetterselo perché 20 euro fanno la differenza, o magari perché la cooperativa per cui lavora non la farebbe tornare il giorno dopo.
La ragazza delle pulizie si incrocia con la “controllora”, bella, in uninforme, tailleur e foularino rosso .
A Milano ci sono i cortei: colorati, con le parrucche, i cappelli da streghe e i tatuaggi sulle guance fresche delle ragazze, gli slogan vecchi e nuovi, l’appartenenza a qualcosa sotto ad uno striscione, e qualche rissa tra gruppetti. (E’ la democrazia? .)
Disagio. Io vorrei un 8 marzo senza parole, un 8 marzo che fosse delle donne, tutte: quelle di città, quelle di campagna, quelle delle borgate, quelle dei paesini di montagna, quelle senza patente, senza lavoro, senza niente, neppure un’appartenenza da sbandierare.
Vorrei un 8 marzo di silenzio, ed un corteo in luogo di sfruttamento e ingiustizia.
Vorrei un 8 marzo che dia alle donne, e non che tolga.
Vorrei un 8 marzo che si occupi delle questioni sapendole guardare dal basso … un 8 marzo utile a tutte le donne, e magari con un piccolo omaggio, del tipo: mezzi pubblici gratuiti in tutta Italia, un pasto caldo, uno sconto per la spesa.
No. eh ??? …
Marzia Schenetti