Sono ore che aspetto, seduta su di un masso sul greto del fiume, eppure la Speranza me lo aveva dato per certo che sarebbe venuta! Guardo l’acqua scorrere sui ciottoli rotondi e levigati e penso che una volta altro non erano che pietre grosse e aguzze che dormivano nel letto del fiume, trasformate in ciò che sono, dal lento scorrere dell’acqua e del tempo che ne ha addolcito la forma. Nell’attesa, il mio sguardo incuriosito comincia a spaziare sui verdi cangianti degli alberi e delle siepi, sui gialli della radura ormai disseccata e punteggiata da cardi di argento azzurrato, sui marroni della terra dissodata da cui emergono invece vogliosi di vita, fili d’erba nuovi dal tenerissimo verde. Il cielo è dipinto di grigi infiniti e di infiniti bianchi, illuminato da un sole nascosto da una nuvola gonfia che vuole aprirsi nella pioggia e fa risplendere magicamente una luce che avvolge le cose, crea le ombre, e fa vivere i colori dei fiori, sparsi e raggruppati a macchie.
Guardo e penso e aspetto, ma la Speranza tarda a venire. Me lo avevano detto che non è mai puntuale, arriva quando vuole e quando meno te lo aspetti. Arriva mi hanno detto, per ridimensionare un problema, per dare un significato e soccorso alla vita, non certo per concedere interviste, ma me lo aveva promesso.. o forse l’ho semplicemente sognato?
All’improvviso una voce mi scuote:
– “ Ma sei proprio sicura che stai parlando della Speranza?”
Chi è che mi legge nel pensiero?”
– “ Voltati!”
Una giovane ninfa sorridente, con una ghirlanda tra i capelli e un mazzo di papaveri e spighe tra le mani, mi sta parlando
– “Sono io! Non mi stavi forse aspettando?
Il viso serenamente disteso mi rallegra gli occhi già tanto presi dai colori della natura. “Avevo tante cose da chiederti, ma adesso sono un po’ confusa.. Tanti parlano di te, ma tu, in realtà, chi sei?”
– Io sono quella che ti dà fiducia nel futuro, sono quella che quando tutti i mali del mondo sembrano travolgerti, ridà alle tue gambe tagliate dallo sconforto, l’energia per tirare su le spalle, sono quella che i latini chiamavano Ultima dea, dopo di me più nulla! Naturalmente conosci il mito greco di Pandora…”
Sì lo conosco, ma vuoi ricordarlo ad uso di chi non l’ha più nella memoria?”
– Esiodo, un antico poeta greco, narra che Zeus, vendicativo quanto furbo, dopo che Prometeo aveva rubato il fuoco agli dei per farne dono agli uomini, pensò bene di mandare in sposa a Epimeteo, fratello dello stesso Prometeo, una giovane e bella fanciulla, Pandora. Zeus, fidando nella proverbiale curiosità delle donne, le aveva dato in dote un vaso che non doveva mai e poi mai, essere aperto. Naturalmente Pandora lo aprì e sulla terra si rovesciarono tutti i mali del mondo. Solo Spes, la Speranza, cioè io, rimase nel vaso e così fu che divenni Ultima dea.
E oggi?
– Oggi mi faccio aspettare, mi nascondo. Tanto, gli uomini pensano di avermi perso, sono convinti che io non serva più, che sia inutile, e non sanno però che solo io posso dare loro la forza ed il coraggio di affrontare il domani. Ricordi? Te l’ho detto appena ci siamo conosciuti. Con me, l’uomo può sentire di avere ancora la possibilità di essere l’autore della sua vita, con me può vedere le cose in modo positivo, con me può ancora… sperare senza disperarsi… Ma ho bisogno di compagni come Entusiasmo, Volontà e Tenacia, e tenere invece lontani, la facile Resa, il negativo Sconforto! Solo così, il tempo della mia Solitudine avrà finalmente una fine.
Nadia Farina.
(Nella foto “Il vaso di Pandora” Opera di Nadia Farina.)