In un passato neppure troppo lontano, la disabilità era vista dai normodotati come un qualcosa di cui diffidare. La famiglia di appartenenza viveva tale condizione come una cosa di cui ci si doveva vergognare. La persona colpita da handicap, oltre ad essere costretta a vivere tutte quelle limitazioni imposte dalle barriere architettoniche, era anche costretta a sopportare il biasimo della collettività.
Se si fanno le dovute eccezioni, ora la diversità non viene vissuta più come emarginazione. In linea generale i diversamente abili sono appunto considerati diversi e non persone di cui diffidare. Certo, i tabù non sono ancora stati completamente superati, molte barriere architettoniche restano erette, qualcuno diffida ancora un po’, però, tutto sommato, almeno nei Paesi civili, di passi in avanti se ne sono compiuti e i diversamente abili godono più o meno degli stessi diritti e delle stesse opportunità che vengono offerti ai normodotati.
Tutto è bene ciò che finisce bene? Per nulla!
Innanzitutto, quando si parla di disabilità e collettività c’è un problema di “dispersione delle risorse”. Ecco un esempio su tutti: il sostegno ad un bambino autistico che frequenta le scuole obbligatorie. L’alunno seguito da un educatore laureato extrascolastico costa allo Stato mediamente 25 euro all’ora, dei quali l’insegnante percepisce al massimo 10 euro lordi. Dove finiscono gli altri 15 euro? Se lo è chiesto anche il mensile “L’Espresso” qualche tempo fa, e tutto ciò che si sa è che finirebbero in spese indirette non facilmente identificabili.
E come se questo non bastasse, negli ultimi quindici anni, a prescindere dagli schieramenti politici che hanno governato questo Paese, i fondi destinati alle abilità diverse sono stati sistematicamente ridotti. Questo ha creato infinite nuove difficoltà ai diversamente abili e alle loro famiglie. In particolare, nell’aprile 2012 (notizia che è passata incredibilmente in sordina) è stata negata pure la somma che serviva a creare le fondamenta per il cosiddetto progetto “DOPO DI NOI”: un servizio assistenziale e logistico per i portatori di handicap gravi e gravissimi che restano senza nessun familiare in grado di accudirli. Oggi, i soldi che erano già stati erogati negli anni precedenti il 2012 per il progetto “DOPO DI NOI” non si capisce bene dove siano finiti. In compenso si sa per certo che stanno nascendo fondazioni sostenute da politici attualmente in carica, che chiedono il contributo dei familiari dei disabili per far ripartire da zero un progetto che attualmente doveva già essere operativo.
I passi da gigante realizzati nel campo dalla medicina, oltre a migliorare qualitativamente l’esistenza di ognuno di noi, hanno anche allungato le aspettative di vita di tutti, disabili inclusi. Ma cosa sarà di loro quando non ci saranno più i genitori ad occuparsene? La mia esperienza professionale, che mi vede da quasi un ventennio impegnato nel sociale, mi porta ad asserire con estrema certezza che l’angoscia principale per ogni genitore che ha un figlio diversamente abile non riguarda tanto il presente, bensì il futuro ignoto.
In merito a tale tema e in qualità di tecnico dei servizi sociali, oltre che di giornalista, mi sentirei spinto a dire molte cose, alcune di queste però, potrebbero non essere in linea col mio obbligo professionale. Ecco il motivo per cui semplicemente mi limiterò a illustrare un peculiare studio realizzato da alcuni antropologi sull’uomo di Neanderthal, riportato da diversi media, nonché da noti programmi di divulgazione scientifica.
Tempo addietro, un’équipe di studiosi ha asserito con certezza, in base a prove documentarie fondate, che centomila anni fa “uomini” che avevano subito menomazioni importanti, come ad esempio in seguito alle attività di caccia, erano accuditi e curati dai loro simili. In tal modo veniva loro fornita la possibilità di continuare a vivere nonostante le gravi inabilità acquisite. Non stiamo parlando del Sapiens Sapiens, ovvero della specie a cui apparteniamo, bensì dell’uomo di Neanderthal, estintosi quasi 40mila anni fa. Una specie considerata cognitivamente inferiore alla nostra. Il fatto che l’uomo di Neanderthal in materia di disabilità sia stato più evoluto di noi, la dice lunga…
Antimo Pappadia