Nell’articolo del Primo Febbraio, avevo sviluppato alcune osservazioni sul Festival di Sanremo come appuntamento di costume. In questo, analizzo tendenze e cambiamenti degli ultimi 60 anni (1958-2018), con un occhio alla classifica finale DI QUEST’ANNO.
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Nei primi anni (1951 – 1957), Sanremo è molto banalmente ciò che dice di essere: un Festival di belle canzoni (prioritari gli autori e l’orchestra sui cantanti).
Non è la televisione (1955) a segnare il cambiamento di marcia, quanto piuttosto l’italianissima epopea di “Mister Volare”, Domenico Modugno (1958), che realizza, un po’ a sorpresa, un grande successo internazionale, soprattutto negli USA …
… e fa così da ambasciatore dell’italianità all’estero, ma anche, contemporaneamente, da traghettatore dello stile orchestrale ortodosso degli anni ’50. verso l’ eterodossia dei ’60 (Mina e Celentano, ma anche, volendo, l’Elvis Presley “de noantri”, Bobby Solo).
Con gli anni ’60, Sanremo diventa quello che è tuttora: una conseguenza della modernità (canzoni, discografia, fiori, “spottone” turistico per la riviera, ed anche evento, moda, marketing, super-ospiti internazionali, divismo, involontaria rappresentazione del sociale), e uno specchio tutto sommato fedele del Paese, o comunque della maggioranza di esso.
Il decennio dei Sessanta, per la sua “densità” dura 12 anni! …
… lo preannuncia Mister Volare (1958), e lo chiudono Celentano e consorte (1970), con l’incongrua minaccia: “Chi non lavora non fa l’amore” (ma come, verrebbe da dire, proprio adesso che ho tempo ?!?) … una canzone tanto approssimativa, quanto geniale, nel rappresentare il bivio dei Settanta (ed in particolare proprio del 1970), ovvero l’alternativa fra andare avanti ulteriormente, rispetto alle conquiste del ’68 e del ’69 (“Dammi l’aumento, signor padrone”), o recedere verso una crisi forse malinconica, forse drammatica.
Che si potesse andare avanti socialmente, ed anche musicalmente, ma anche che si potesse tornare indietro, al puro intrattenimento, è esemplificato dall’utopia di Luigi Tenco di poter vincere l’edizione del 1967, presentando un testo che inizialmente doveva essere risorgimentale-resistenziale (“Li vidi tornare”), e che venne invece cambiato per l’occasione, ma comunque a favore di un tema anche esso niente affatto facile, l’emigrazione (“Ciao amore ciao”).
Tenco si uccise, con un biglietto di protesta proprio verso l’immobilismo della musica italiana e del suo pubblico, ma le modalità della morte e la paternità del biglietto non sono mai stati definitivamente chiariti. Vinsero, peraltro meritatamente, Claudio Villa e Iva Zanicchi con “Zingara”, un inno al tradizionale belcanto italico.
Più in generale, gli anni ’60 sono quelli in cui, alludendo a un paese che cambia, si fronteggiano, senza un vincitore definitivo, forme musicali tradizionali ed innovative (rock, cantautori).
Gli anni ’70 sono anni di tragiche vicende sociali, peraltro non rappresentate nelle canzoni, anche a causa del sostanziale boicottaggio dei suddetti (cantautori e gruppi rock), con pochissime eccezioni (segnaliamo Lucio Dalla e i Delirium di Ivano Fossati).
Ed Il festival si avvia ad una grave e malinconica crisi di ascolti e di vendite.
In pieno 1977 (anno tragedie terroristiche) i “Gruppi” possono arrivare ai primi tre posti, ma non con il tipico rock dell’epoca, bensì con brani incongruamente sdolcinati.
Vincono gli Homo Sapiens con “Bella da morire”, e a seguire i Collage con “Tu mi rubi l’anima” e i Santo California con “Monica”, brani mediocrissimi, ma comunque destinati anch’essi a diventare patrimonio della “nostalgia collettiva”.
Dal 1980 ad oggi Sanremo diventa “pluralistico”: i vecchi leoni dell’intrattenimento nazional-popolare (Al Bano, Ricchi e Poveri, Toto Cutugno) si incontrano con le nuove malinconie dei Pooh e di Riccardo Fogli …
… ed i cantautori, anche in veste di autori per altri (Zucchero, Vasco, Ruggeri, Battiato, Fossati, Mango, Fabi, Silvestri, Gazzè), convivono benissimo con le sorella Bertè (Mia Martini e Loredana), Patty Pravo, Francesco Renga, Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Fiorella Mannoia, Giorgia, Elisa, Irene Grandi. Senza più rilevanti polemiche.
C’è posto per tutti.
Si sfiora la retorica con “Si può dare di più” (1987), del trio Morandi – Tozzi – Ruggeri, e si inciampa in clamorosi infortuni estetici come l’iniziale sottovalutazione di Vasco e Zucchero, o, d’altra parte, le vittorie di Tiziana Rivale (1982), dei Jalisse (1987) e di Povia (2006).
Per passare dal “pluralismo” al “caleidoscopio” ci penserà il Terzo Millennio, con le sinergie fra Sanremo e i Talent, e la diffusione della musica e delle opinioni mediante i Social …
… aspetti comunque notevoli, anche perché riguardano la conquista di nuove fasce di pubblico; ma è su un cambiamento oramai venticinquennale che desidero terminare l’articolo: la canzone non solo “impegnata” e “sociale”, ma anche “ad effetto”, e non sempre ben sostenuta da musica e arrangiamenti.
Come a dire … basta l’idea! … un fenomeno che, guardato con distacco, sfiora surrealtà già stigmatizzate preventivamente ne “La canzone intelligente” (degli anni ’70, e comunque non a Sanremo!), di Cochi, Renato ed Enzo Jannacci.
Si tratta oramai di un genere a se stante, che annovera quanto meno il carabiniere di Faletti (“Signor Tenente”, 1994), il militante esausto di Daniele Silvestri (“L’uomo col megafono”, 1995), l’anti-mafia di Fabrizio Moro (“Pensa”, 2007) e i matti di Cristicchi (“Ti regalerò una rosa”, 2007).
Dal 2017, si tracima con le donne della Mannoia e di Paola Turci, e addirittura la violenza davanti ai figli di Ermal Meta.
Quest’anno le donne le ha cantate Nina Zilli, le vittime di terrorismo internazionale Moro, Ermal Meta e Cristicchi, gli immigrati col gommone Mirkoeilcane.
Nel 2017 tanta “furbizia” (massì …) non venne premiata, e Gabbani, con la sua canzone colta e surreale, ed anche ben condita di teatro (“la scimmia nuda balla”) approfittò a sorpresa della suddivisione dei voti fra i “grandi impegnati”, vincendo con “Occidentali’s Karma”.
Ma quest’anno Lo Stato Sociale (“Una vita in vacanza”, con la sua “vecchia che balla”) nulla ha potuto contro la Corazzata (Potemkin?) di Meta, Moro e Cristicchi (“Non mi avete fatto niente”); e ciò nonostante la scarsissima “concorrenza interna” dei “parimenti teatranti” Elio e le Storie Tese, finiti all’ultimo posto, forse volontariamente, con la malinconica “Arrivedorci”.
Il problema non è solamente “l’impegno esibito”.
E’ che ad ogni “formula vincente” azzeccata, la qualità musicale decresce: la canzone della Mannoia, l’anno scorso, era inascoltabile, e l’arrangiamento della Turci, seppure interessante, scopiazzato dal “mood” dei Coldplay.
Ben costruito quest’anno il pezzo di Mirkoeilcane (secondo fra i Giovani, e vincitore di ulteriori premi), ma banalissimo ed incongruamente gridato il country-rock di Moro e Meta. Chi volesse l’intrattenimento di qualità, per quest’anno dovrà cercarlo nelle produzioni di altri “big”.
Nulla esclude, comunque, che “Non mi avete fatto niente” finisca anch’essa per alleviare il tempo speso a farsi la barba, o nel traffico metropolitano.
Insomma, l’ “impegno” non dovrebbe essere un cliché …
… ma che poi finisca anch’esso nell’intrattenimento è la sua inevitabile nemesi.
Gianfranco Domizi