Ven. Nov 22nd, 2024

In questo articolo sviluppo alcune osservazioni sul Festival di Sanremo come appuntamento di costume. Nel prossimo numero, analizzerò tendenze e cambiamenti degli ultimi 60 anni (1958-2018), con un occhio alla classifica finale di quest’anno.

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Nella rubrica Pòlis ho fatto svariati riferimenti alla politica italiana degli anni ’60 e ’70 (oltre che all’attualità, ovviamente contrassegnata dalle prossime elezioni del 4 Marzo).

Operando una similitudine un po’ pindarica fra musica leggera e politica, potremmo dire che Sanremo è un po’ come la Democrazia Cristiana (mi spiace che il paragone sia un po’ criptico ai giovani lettori, che però dispongono di tutte le fonti virtuali per poterlo comprendere): pare che nessuno, nelle intenzioni esplicite, la voti (“partito conservatore”, “moralista”, “affarista”, “balena bianca”), e poi, invece, la si vota nel segreto dell’urna.

Non solo, per decenni la Democrazia Cristiana è arriva regolarmente prima, con percentuali di voto quasi imbarazzanti;  poi, “sparita” a causa degli scandali degli anni ’80, i politici democristiani si sono in realtà ripartiti in varie altre organizzazioni … e comunque “essere democristiani” è un modo di agire e comportarsi in pubblico, quindi è assolutamente probabile che somiglino ai democristiani anche dei giovani politici attuali, che neanche sanno bene cosa fosse la DC.

La DC, insomma, non muore mai!

Analogamente, Sanremo può andare in crisi di ascolti e di interessi (è successo negli anni ’70), ma non muore, si trasforma!, lo vedremo nella Seconda Parte dell’articolo.

E soprattutto, è stato guardato più di quanto si sia mai ammesso, e lo si guarda tuttora: è un evento che per una settimana scalzerà l’attenzione dalla tornata elettorale … e lo si guarda magari con una punta di snobismo, trincerandosi dietro la critica spietata dei cantanti, delle canzoni, dell’organizzazione, degli ospiti e dei presentatori: lo si guarda, come suol dirsi, perché Sanremo “è lo specchio del Paese” … e per questo, il paragone con la politica, e con i partiti di massa della politica, forse è meno assurdo di quanto possa sembrare.

Ma forse dovremmo dire che Sanremo, come la DC, è lo specchio della maggioranza del paese.

Continuando in similitudini pindariche, i cantautori sono invece un po’ come il PCI: non vogliono partecipare, anzi sì, partecipano … però sono incompresi, e si classificano agli ultimi posti (Zucchero e Vasco Rossi), ma poi cominciano a vincere anche loro, e comunque stravincono regolarmente il premio della critica. (Forse non sarà vero che “tutti cantano Sanremo”, come asseriva lo slogan dello scorso anno, ma è vero, invece, che “tutti vincono Sanremo”: o nella classifica finale, o nei gusti della critica, delle radio, del pubblico (sondaggi o televoto). E si vince anche a posteriori, nelle vendite, perché Sanremo è comunque una formidabile vetrina per presentare CD appena usciti, o per convogliare l’attenzione del pubblico su un Tour.

Sanremo coniuga musica leggera, evento, turismo (non c’è Sanremo, senza i fiori di Sanremo), moda, divismo, gossip, chiacchiera, critica. battaglie sociali (un po’ ridicole, considerando l’atmosfera trash che avvolge la manifestazione), omaggi ai maestri, professionalità notevoli, ed a volte, incongruamente, tragedia (la morte quasi in diretta di Tenco, di cui ancora si parla, ed il ricordo di Mia Martini con il Premio della Critica).

A partire da questo canovaccio, ci sono comunque cambiamenti e tendenze che accompagnano l’evolversi dei decenni.

Esiste pertanto un Sanremo degli anni ’50, poi degli anni ’60, poi degli anni ’70, mentre il trentennio dal 1980 al 2000 è, secondo me. tutto sommato omogeneo, come è omogeneo il periodo dal 2000 ai giorni nostri.

Questa periodizzazione sarà appunto oggetto del prossimo articolo, il 15 Febbraio, a risultati (e chiacchiere) oramai acquisiti.

 

Gianfranco Domizi