Gio. Nov 21st, 2024

FICO è uno dei più grandi parchi agroalimentari del mondo ed è ubicato nella periferia di Bologna. Ha un perimetro di 100.000 metri quadrati di cui 80.000 coperti. In merito alle presenze previste, si stima che saranno ben quattro milioni i visitatori che vi giungeranno quest’anno e circa sei milioni quelli che vi dovrebbero arrivare entro il 2020.

Su 100.000 metri quadrati di superficie, 20.000 sono dedicati alla biodiversità. Distese di campi sono stati disseminati di stalle con più di duecento animali; vi sono inoltre 14 fabbriche contadine, diversi spazi dedicati ai giochi e alla cultura, un centro congressi che può ospitare fino a 1000 persone e perfino un podio sul quale è possibile farsi un “bel selfie”.

Le ambizioni di uno dei parchi agroalimentari  più grandi del mondo non si limitano solo alle dimensioni mastodontiche dell’azienda e alle ipotetiche previsioni di stratosferici incassi, ma si prefiggono anche finalità educative. Tra le “Mission” spunta quella di educare la collettività al cibo e alla biodiversità con l’intento di infondere a livello planetario la cultura del sano e buon cibo biologico dal marchio “Made in Italy”. La FICO Eataly World, per molti suoi investitori, è considerata “un’arca” che racchiude tutta la ricchezza e la specialità del nostro Paese.

Ma è davvero tutto così?

Il Quindicinale www.lintelligente.it , dopo essersi documentato per settimane, conferma tutto ciò che avete appena letto scoprendo però situazioni a dir poco inquietanti. Eccone alcune:

Tanto per cominciare, c’è stata un’energica polemica in merito al fatto che la Regione Emilia Romagna abbia speso 400.000 euro di Fondi Europei per formare personale da inserire nell’organico di FICO Eataly World Bologna: 1/3 del totale che il fondo sociale europeo ha messo a disposizione per la formazione dei disoccupati. 400.000 euro per 11 corsi, in media, fa, più di 36.000 euro per ogni singolo corso.

E che fine hanno fatto i corsisti? Del 40% non si ha più traccia, mentre la maggioranza del rimanente 60% non è stata assunta direttamente da FICO Eataly World, ma lavora per una nota agenzia interinale, una multinazionale olandese che ha filiali in ben quaranta Paesi. Quasi tutti i neo assunti hanno un contratto part-time “non scelto” e sono in forze all’azienda solo a tempo determinato. Una prospettiva che, stando alle interviste fatte dal sottoscritto, non gratifica affatto questi lavoratori precari che, oltretutto, lamentano il fatto di dover espletare le loro mansioni professionali in orari decisamente impegnativi (FICO è aperto dalle 10.00 alle 24.00 e si lavora soprattutto di sabato e di domenica).

La contraddizione di punta, che ha incentivato il nostro Quindicinale a informare gli ignari cittadini, nasce dal fatto che FICO Eataly World, cioè il più grande parco agroalimentare del mondo, colonna portante della cultura del cibo biologico, sia ubicato a un km e mezzo da uno dei più grandi e più vecchi inceneritori attivi dell’Emilia Romagna.

L’inceneritore è quello di via del Frullo, che dagli anni Settanta lavora rifiuti solidi urbani e speciali, pericolosi e non; tra questi ultimi vengono smaltite sostanze speciali di origine ospedaliera. Stando ad uno studio realizzato da alcuni oncologi legati alla Fondazione di Medicina Democratica riportato su di un saggio scritto dal noto giornalista d’inchiesta Antonio Amorosi dal titolo “Coop Connection”, in prossimità di Fico ci sarebbe una percentuale di cadmio superiore da tre a dieci volte rispetto a quella rilevata in altri siti. Ricordiamo che il cadmio è una sostanza altamente cancerogena che non solo provoca tumori, ma favorisce anche tantissime patologie cardiovascolari.

L’ARPA, l’organo deputato al controllo delle emissioni dell’inceneritore del Frullo, fa sapere tramite il Comune Bologna e per bocca di Oscar Farinetti (Patron di FICO) che non c’è alcun tipo di rischio. Nonostante noi crediamo nell’assoluta coscienziosità delle Istituzioni emiliane e nelle loro rassicurazioni, non possiamo esimerci dall’illustrare una strana coincidenza: FICO Eataly World sorge sull’area CAAB (Centro Agro Alimentare di Bologna) di cui il Comune è proprietario, oltre che primo azionista di Hera, a sua volta proprietaria dell’inceneritore. La regione Emilia Romagna, azionista di CAAB, controlla l’agenzia ARPA che, a sua volta, controlla l’emissione dell’inceneritore. Sarà per questo che qualcuno ha insinuato che i controlli effettuati potrebbero essere condizionati da un “potenziale” conflitto di interessi?

Non saprei, ciò di cui sono certo però, è che tutti gli oncologi da me intervistati sconsigliano vivamente attività agroalimentari nelle zone limitrofe agli inceneritori e confermano che le emissioni di sostanze bioaccumulabili immesse per lungo tempo (come i metalli e i microinquinanti organici) possono determinare un incremento di concentrazioni pericolose nel suolo intorno all’impianto.

Ad ogni lettore le proprie considerazioni.

 

 

Antimo Pappadia