La politica economica del Novecento si basava maggioritariamente su due semplici principi, anche se spesso di complessa applicazione:
- a) si doveva scegliere quanto e come e tassare le attività produttive;
- b) si dovevano reinvestire le risorse così ottenute, creando servizi per la Comunità.
Le modalità concrete attraverso cui ciò avveniva determinavano l’orientamento politico: la Sinistra era più propensa a tassare, reinvestendo le risorse a beneficio delle classi svantaggiate, mentre la Destra preferiva tassare lo stretto indispensabile, nella convinzione che la maggiore ricchezza imprenditoriale così ottenuta potesse ricadere anche sugli operai, ed in generale sulla popolazione.
Il sistema “tassa e spendi” finiva anche per vagliare l’onestà dell’esponente politico, giacché una spesa pubblica a “a vantaggio degli amici” (industriali e/o elettorato) contraddistingueva il fenomeno del “clientelismo”, che è poi l’anticamera “bonaria” della corruzione.
Tutto ciò è andato in crisi già alla fine del Novecento, e soprattutto in questo Terzo Millennio, per due motivi fondamentali:
- A) la competizione economica globale avvantaggia sempre di più i Paesi che per vari motivi tassano poco (e che conseguentemente spendono di meno a beneficio della Comunità), rendendo più convenienti le merci da essi prodotte, ed anche i servizi erogati. Nel corso degli anni, abbiamo per esempio assistito a un fenomeno precedentemente addirittura impensato: la delocalizzazione dei call center in Paesi d’altra madrelingua (!), ma che risultano più favorevoli agli investimenti, per il minor costo del Personale, ed appunto per la minore tassazione (fenomeni peraltro reciprocamente collegati),
- B) La platea dei ceti svantaggiati si è estesa, un po’ in tutta Europa, a causa dell’immigrazione, per cui si assiste a tutta una serie di interventi di pseudo-politica economica “a pioggia”, al fine di evitare che la proliferazione dell’emarginazione intacchi ulteriormente la sicurezza quotidiana (e quindi anche il consenso ai politici, e più in generale allo Stato); latitano invece gli interventi “strutturali”, a favore della casa, della natalità e della genitorialità, gli investimenti per la ricerca tecnologica, le infrastrutture di comunicazione, l’occupazione lavorativa, la sanità, le Forze dell’Ordine, l’istruzione.
- C) Resiste tuttavia il fenomeno del “clientelismo” e della corruzione, ma, dopo l’inchiesta “Mani Pulite”, che fu all’epoca altamente traumatica per il sistema politico, non più principalmente sotto forma di regalie “evidenti” fra corruttori e corrotti, bensì sotto forma di “favori”, variamente motivati e variamente ripartiti: Fondazioni, Giornali, Associazioni, eccetera.
I cambiamenti qui sommariamente descritti (A, B e C) hanno inciso profondamente sulle funzioni della politica, e sulla figura dei politici. Una delle conseguenze più evidenti è che il politico non può più accreditarsi come persona del “fare” (onesto e competente), ma, semmai, come persona del “dire”: dovrà avere la posizione “giusta” sui vari temi civili, arrivando a proporre, se possibile, delle iniziative che facciano progredire la Società, ma “a costo zero”, o quasi. Tale mutazione, che potrebbe comunque avere anche un senso, all’interno di società complessivamente “benestanti” (ma non in periodi di crisi, o all’immediata fuoriuscita dalla crisi stessa), prevede come corollari una serie di nuovi eventi e nuovi comportamenti (“nuovi” rispetto alla politica del Novecento):
- A) La TV diventa più importante delle sedi istituzionali: oggi, chi “faccia”, e “faccia bene”, non sarebbe neanche rieletto, perché la sua attività avverrebbe nel silenzio dell’incognito.
- B) Durante le trasmissioni TV, il politico ospite non dovrà mai contraddire aspettative, opinioni, o richieste delle piazza mediatica, né potrà asserire che una determinata azione politica sia impossibile, o troppo costosa (ed implicherebbe pertanto “tagli” compensativi in altri settori della spesa pubblica): si verrebbe subito sbranati. Meglio indulgere a “vaghe promesse”, la cui realizzazione nessuno controllerà veramente sul serio, per incolpare eventualmente il “presenzialista” televisivo.
- C) Argomentando, non ci si limiterà a far emergere e condividere una posizione “giusta”, ma ci si costruirà su un’arringa, una retorica, un’ideologia; l’ideale è comunque costituito dall’infangare il più possibile l’avversario, non per qualcosa che abbia fatto, o si accinga a fare (tanto nessuno fa nulla), ma perché non è stato in grado di comunicare ai Media e al Pubblico una posizione “ben costruita” (che è poi la stessa per tutti gli appartenenti allo stesso Partito), rendendosi magari addirittura colpevole di qualche gaffe, o di qualche sfondone.
Queste tematiche esondano dalla politica istituzionale, e toccano qualsiasi aspetto del potere (anche perché, come ho scritto in altri interventi, grazie alla spettacolarizzazione degli eventi e delle opinioni, tutto è diventato “intrattenimento politico”, e quindi “politica” per i palati grossolani): il povero Carlo Tavecchio, Presidente dimissionario della Federazione Italiana Giuoco Calcio, prima di essere definitivamente sfiduciato a causa dei risultati della Nazionale, non era stato criticato prevalentemente per il curriculum (che molti avranno invece trovato valido e congruente al ruolo), o per le sue decisioni pratiche, bensì per una comunicazione mediatica così goffa, da sembrare “razzistica”, ben oltre le intenzioni dell’esternatore, diventando conseguentemente”virale”:
L’ossessione per la posizione “giusta” (e per la condanna della posizione “sbagliata”) accomuna la Politica, il Sindacato, lo Sport, le Associazioni dei Consumatori, e, last but not least, le Dirigenze di tutte quelle Organizzazioni che stanno proliferando “per il nostro bene”, pretendendo di dare un contributo fondamentale alla risoluzione dei problemi della contemporaneità: migrazioni, violenza alle donne, carceri, disagi psicologici degli individui e delle famiglie, eccetera.
(Oserei affermare che gli scambi economici, ed anche di personale dirigente, fra Politica ed Organizzazioni “benemerite” rappresenti la mutazione “più convincente” del “clientelismo” novecentesco: tendenzialmente inattaccabili, perché basati sul favore “evidente”, e soprattutto sulle “buone intenzioni” e sulla retorica del “politicamente corretto” … del resto, chi potrebbe sensatamente attaccare persone e progetti che si occupano di temi così importanti per l’ordinato sviluppo della società, e che educano così disinteressatamente il nostro latitante senso civico? .)
Insomma, grazie all’avvento dei “retori” del Terzo Millennio, stiamo coltivando un ceto politico e dirigenziale prescelto sulla base di due cliché che, in tempi passati (ma neanche tanto remoti), ci erano invece sembrati patetici e odiosi: il “secchione” e il “trombone”.
Prendiamo, ad esempio di questo “dilagare del dire” (e dell’ostinato presenzialismo di “secchioni” e “tromboni”), il dibattito attuale sulle molestie, gli stupri e i ricatti sessuali nell’ambiente cinematografico, negli USA, in Italia, ed altrove. I Media, che ovviamente sanno benissimo come tener desta l’attenzione del pubblico, sono sempre attenti a presidiare inesauribilmente opinioni reciprocamente antitetiche: insomma, che una decina di attrici punti il dito contro Fausto Brizzi, raccontando episodi assai similari, è indice comunque veritiero di comportamenti inaccettabili, e che dovrebbero inoltre essere ulteriormente indagati. nell’ipotesi di reato … ma è pur vero che i processi si fanno nelle Aule di Giustizia, e non in TV, altrimenti si rischia di colpire le persone oltre le responsabilità effettive e accertate, e magari rovinare definitivamente la vita a dei malcapitati innocenti. Similmente: è vero che i comportamenti in questione sono odiosi, ed una parte di essi presumibilmente illegali … ma che dire delle ragazze che andavano a fare provini a casa del regista, e che parlano solamente oggi, in grande ritardo, forse per vendicarsi, per risarcirsi rispetto alla popolarità non ottenuta, o addirittura per ottenerla finalmente non per meriti artistica, ma perché “denunciano”?
Bastano due opposizioni logiche: “giustizialisti” contro “garantisti”; e “a fianco delle donne, senza se, e senza ma”, oppure “con riserva” … ed il gioco è fatto. Se poi arriva “il solito secchione” a ricordarci che tali comportamenti e tali illegalità sono reperibili in qualsiasi altro ambiente professionale, ma che tuttavia degli uffici e delle fabbriche non si interessa nessuno, i Media possono “buttarla in caciara” (come diciamo a Roma), ANCHE PER SETTIMANE.
Insomma, nulla di veramente intelligente, o che vada oltre il senso comune: Eh, signora mia, non c’è più religione … i giovani non sono più quelli di una volta … di questo passo, dove andremo a finire?, ma tanta passerella e gloria per tutti, politici in primis. Il paradosso dei Media è che un eventuale dibattito sul rapporto esistente fra “presenzialismo mediatico” e crescente disaffezione alla partecipazione e al voto, avrebbe l’effetto largamente prevedibile di dare la parola, ancora una volta, ad ulteriori Secchioni & Tromboni!
Gianfranco Domizi