Ad una prima ricognizione, la Poesia non sembrerebbe la più invitante delle arti: per la presenza, ad esempio, di “stilemi” aulici e preziosi, che ne hanno costituito materia prima nel passato, e che “resistono” comunque ancor oggi.
Ma oggi si può scrivere anche in assoluta libertà, ignorando gli schemi “classici” del metro e del verso, o comunque astendosi da essi (a meno che non li si voglia riprendere per una ben precisa scelta formale, come hanno fatto alcuni cantautori), e ci si può esprimere con un linguaggio semplice, quotidiano, ed in alcuni casi “contaminato” dallo “slang”.
Di questa trasformazione è esemplare l’Hip Hop …
https://it.wikipedia.org/wiki/Hip_hop
… un genere musicale e poetico entro il quale il verso ed il metro, pur essendo tutt’altro che “classici”, devono comunque fare i conti con il beat della musica; ed in cui l’assonanza e la rima vengono massicciamente rivalutati, anche se spesso collocati “all’interno”: non li si dispone, insomma, a fine verso, anche per evitare l’effetto cantilenante tipico di molta Poesia, o, per meglio dire, di molta cattiva lettura della Poesia.
Similmente interessante (anche se molto meno diffusa, a livello di massa) è la Poesia Performativa, che rifugge dalla pagina scritta, e si basa spesso su tematiche politiche, sociali, civili.
Può comunque avvenire che anche i giovani (primi produttori e destinatari dell’Hip Hop, ed in parte della Poesia Performativa) pratichino la Poesia “tout court”, senza ulteriori aggettivi, specificazioni o distinzioni.
Nonostante le sue difficoltà, e beneficiando di poliedriche trasformazioni, la Poesia continua pertanto a suscitare una perdurante seduzione.
Meno invitante è il panorama della Poesia “dilettantesca” degli “adulti maturi”, contrassegnata assai spesso dall’iperpresenza di tematiche intimistiche, sviluppate in modo “lamentoso”, e senza palpiti di rivolta interiore, o ironia.
E’ ovvio che la Poesia può essere declinata in vari modi, e che anche l’intimismo malinconico sia un risorsa. Tuttavia, si ha spesso la sensazione che la progressiva obsolescenza del metro e del verso “obbligati” abbia determinato una sorta di “liberi tutti”, per cui ognuno può scrivere poesie, autoproclamarsi poeta (è notevole quanti lo facciano su Facebook, e quanti Gruppi ci siano), ed “editarsi una silloge” (vedremo che cosa significa).
E qui veniamo al nodo: se l’intimismo malinconico diventa l’unica risorsa del Poeta (si parla, insomma, soltanto di situazioni deprimenti, e dei sentimenti che ne derivano), e se il metro ed il verso tradizionali non vengono sostituiti da una forma nuova, da un suono, da un beat, ci sono ben pochi motivi per cui un lettore dovrebbe interessarsi della Poesia …
… a meno che non condivida quello stato d’animo, o lo stia ricercando, per “specchiarsi”; ma in questo modo viene a mancare l’ingrediente fondamentale che “giustifica l’arte”: quell’apprezzamento “formale”, che “educa” le facoltà mentali e spirituali di ognuno di noi, mediante una possibile “comprensione” ulteriore al riconoscimento personale.
Se si va a solleticare, anche inconsapevolmente, il semplice autoriconoscimento nel tema e nel contenuto, l’effetto-Moccia (ovvero lo scrivere per un target) è sempre in agguato!
https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_Moccia
Con una differenza, però: mentre la “prosa astuta” (definiamola così) può avere un grande mercato, la “poesia lamentosa” non ne trova. “Editarsi una silloge” significa infatti pagare un editore per potersi pubblicare (sic!); o comprare dall’editore una parte di copie del proprio stesso testo (e quindi, comunque, lo si paga). Infine, ci si può editare personalmente, stampando il libro (sempre a proprie spese, of course), grazie ad aziende che offrono questo genere di servizio su Internet.
Alla fine di uno di questi tre processi, il Poeta entrerà in possesso di un tot di copie, tendenzialmente “invendibili” (perché, per l’appunto, non c’è mercato), e che potranno, semmai, essere “smaltite”, regalandole … o ricorrendo all’acquisto da parte degli amici … oppure promuovendosi su Facebook, magari presso conoscenti virtuali, che spesso sono interessati alla Poesia, giacché essi stessi ne scrivono (sic!), ed hanno già pronto, “reciprocamente”, il loro libro invenduto.
Intendiamoci: non voglio “condannare” né l’editoria a pagamento, né l’autopubblicazione (la pratico io stesso), né il fatto che una buona parte della Poesia “dilettantesca” degli “adulti maturi” si sostanzi in semplici esplicitazioni di stati d’animo: senza metro, senza verso, senza suono apprezzabile.
(Non solo non condanno, ma sono convinto che l’esternazione di uno stato d’animo negativo abbia una funzione terapeutica, sia per chi scrive, sia per chi, leggendo, “ci si riconosca”; tuttavia non posso esimermi dal ricordare l’ironica malignità di un mio grande amico, Professore di Letteratura, Poeta e Traduttore, il quale sosteneva che in molte poesie non si adopera il “metro”, ma il “sistema metrico decimale” … nel senso che, trascorsi un po’ di centimetri … si va a capo! .)
Quello che intendo rilevare è la circolarità esistente fra scrittori monotematici, lettori compiacenti (chi mai oserebbe dire all’autore che una sua poesia, o la sua produzione poetica in generale, è “brutta”?), ed editori che “ricercano poeti” (anziché acquirenti di libri di poesia): la VITA residua della “poesia dilettantesca” è contemporaneamente, in buona parte, la sua MORTE (artistica).
Per quanto riguarda i MIRACOLI, è possibile che ci si debba veramente rivolgere all’Hip Hop?
Gianfranco Domizi