Per la rubrica Tracce, proseguo i miei articoli e interviste sull’impegno sociale delle donne. In particolare con l’intervista a Liliana Giorgi si toccano i temi della guerra, della miseria, del lavoro e dall’agitazione sindacale, in prospettiva autobiografica. Per una più completa ricognizione di questi temi, si può leggere anche l’articolo precedente, intervista a Giacomina Castagnetti staffetta partigiana.
Giorgi Liliana – Prima parte – (Trascrizione integrale)
Andavamo a scuola quando si poteva. Durante la guerra era difficile, io ho fatto la quarta e quinta insieme, in classi miste. Avevo dieci anni. Andando per i boschi per non incontrare i tedeschi. Un giorno la maestra ci ha detto: “Non potete andare a casa perché sparano da una montagna all’altra”. Noi dovevamo passarci sotto. Siamo partite, comunque, passando per il bosco e ci siamo fermate in una casa di contadini. Località chiamata Le Piantate. Avevano otto figli, siamo arrivate noi, in due o tre, affamate e impaurite, avevano ucciso il maiale e ci hanno dato una fettona di pane con dentro i ciccioli appena fatti. Mia mamma era in pensiero, sentiva gli spari da monte a monte e non sapeva dove eravamo, non c’era il telefono … o il cellulare. Abbiamo aspettato un po’ e poi preso un sentiero fino a casa.
Quando siamo arrivate mia madre, contenta di vederci, era però dispiaciuta perché non aveva niente da mangiare da darci e ci pensava affamate. Ma noi l’abbiamo subito tranquillizzata, con un sorriso, dicendole che avevamo mangiato benissimo, pane e ciccioli. Quella sera ci ha fatto stare sdraiate sotto la finestra fino a quando non ripassarono i tedeschi e cessarono gli spari.
Di notte passava un aeroplano che si chiamava Pippo e solo che vedesse una lucina, lui, lanciava le bombe. Fortunatamente sbagliava spesso il posto e le bombe cadevano sempre nel fiume. Mia mamma chiudeva tutti i buchi delle finestre con degli stracci per non far passare la luce dalla paura che ci colpisse. Dei miei zii, con cui ho vissuto, uno era prigioniero in America, uno è stato ucciso dai tedeschi. Scappava da casa sua, poi l’hanno fatto prigioniero insieme ad un altro mio zio. Li hanno legati, con le mani dietro. Scendendo dal bosco, mio zio si è girato indietro e ha visto la sua casa bruciare. I suoi figli, ne aveva quattro, lo chiamavano da casa. Lui, a un certo punto, ha detto all’altro: “Io scappo”. Non era partigiano, era l’altro mio zio che lo era: zio Giuseppe, che gli disse subito: “Dove vuoi andare? Li abbiamo dietro con i fucili puntati!” Ma lui è partito di corsa in questa discesa, tanto forte che sembrava una lepre. Gli hanno sparato ma senza prenderlo. Però, più in basso, località Ponte Dolo, c’era una squadra di tedeschi che hanno sentito sparare e vedendo questa persona che scappava hanno iniziato a sparargli anche loro. Mio zio si è nascosto nel bosco, sotto le foglie, ma loro sono saliti per cercarlo e vedere se l’avevano colpito. L’hanno scoperto e l’hanno ucciso con quattordici … i tedeschi avevano le baionette sul fucile … ecco, con quattordici pugnalate di fucile. Mia nonna ha conservato per anni e anni la sua maglia con i quattordici buchi. L’altro mio zio, invece, che non era scappato, l’hanno portato prigioniero a Cerredolo, dove adesso c’è il consorzio, quella era la prigione. Era talmente agile, che da lì riuscì a scappare. Se fosse rimasto, comunque l’avrebbero ucciso perché era un partigiano. Scappò nel bosco. I tedeschi mandarono poi un ragazzo a cercarlo e gli diceva: “Giuseppe vieni fuori … hanno detto che uccidono mio padre e tuo padre, vieni giù …”. Mio zio si era tirato addoso tutte le foglie e sterpaglie e rimanendo nascosto gli rispose: “Vieni dentro cretino che se andiamo giù uccidono sia noi che loro!” E così rimasero lì nascosti aspettando il buio per poi muoversi e tornare con il gruppo partigiani. I loro padri, nel frattempo, furono presi e portati al muro al consorzio per essere fucilati. Mi ricordo il tedesco che è venuto a casa nostra e ci ha detto: “Cerchiamo Giorgi Battista se non torna uccidiamo i due padri dei partigiani.”
Li hanno presi tutti e due e messi al muro insieme ad altri quattro ragazzi. I quattro sono stati uccisi subito perchè scappati dal fronte. Poi sono arrivati dei capi e hanno chiesto: “Cosa fate con questi due vecchi?” – “Li uccidiamo perché sono padri di due partigiani.” – “Se sono scappati i figli non è colpa dei padri, ma vostra.” E così, fortunatamente, li lasciarono andare. Sono partiti di corsa verso casa, con il terrore di essere colpiti alla schiena.
Di mio zio partigiano … io ero una bambina e vedevo mia nonna che andava a prendere spesso della roba sotto la gabbia dei conigli. Mi è rimasto in mente che prendeva fuori questi stracci e li metteva dentro ad un bidone d’acqua. Erano i vestiti di mio zio e dei partigiani … ci faceva fuoco sotto, poi faceva bollire con una specie di sapone, non so, allora non c’era il detersivo …. ricordo che venivano a galla migliaia di pidocchi. Li sciacquava, asciugava, e ripiegati li rimetteva sotto la gabbia, puliti dentro ad un sacchetto. Lui veniva di notte, prendeva i puliti e lasciava gli spochi. E tornava nei boschi dalla sua brigata.
Quel giorno che hanno ucciso mio zio, mio padre che era il fratello, esausto dalla guerra, disse: “Io non scappo più. Sono stanco. Succeda quel che succeda sono notti che non dormo…” E’ andato a letto e una spia del paese aveva subito avvertito i tedeschi. Sono arrivati, diretti, non si sono neanche fermati in cucina, sono andati sicuri su per la scala a prenderlo. Ripassando dalla cucina, dove c’eravamo io, le mie sorelle, mia madre e i nonni, ci ha salutato. Mia mamma aveva una bella pagnottona, l’unica che avevamo, ce l’avevano appena regalata, gliela diede e ricordo che lui se la mise sotto la giacca. Ci ha baciati, tutti, ed è andato. C’erano centinaia di persone che passavano, tutte in fila, una colonna di uomini e anche donne partigiane, li portavano tutti a Fossoli. Li hanno tenuti fermi lì otto giorni, intanto che fossero pronte le tradotte, e mia mamma andò con altre donne a salutarli prima che venissero trasferiti nei campi di concentramento in Germania.
Ho tantissimi ricordi, quelli di una bambina di 10 anni che è passata attraverso la guerra, la paura e la fame.
I tedeschi sono venuti altre volte a casa a cercare i partigiani. Ricordo una volta sono arrivati dentro due tedeschi rompendo la porta con il calcio del fucile, in piena notte, è rimasta rotta per moltissimi anni… Qualcuno gli aveva detto che mio zio era un partigiano. Hanno trovato nella camera dei miei nonni una cravatta di un mio zio, che allora era prigioniero in America, una cravatta rossa, e per il fatto che era rossa hanno incominciato a insistere dove fosse il partigiano,… mia nonna cercava di fargli capire che era prigionero in America… ricordo il terrore di quella notte.
Durante la Resistenza, ricordo più di una notte passata in una stalla, c’era quasi metà Cerredolo, anche quelli benestanti non solo i poveri, tutti in questa stalla, a dormire sopra alla paglia, in località Sotto le vigne, un posto fuori mano, e a quell’epoca non c’erano strade ma solo sentieri. Poi nei periodi più caldi dormivamo spesso nei boschi verso La piana del lago. Al mattino arrivava un contadino che aveva le mucche … le lasciava libere e le andava a mungere, e poi ci portava un secchione di latte, un bicchiere per uno a noi bambini. Quello si è un bel ricordo … eravamo tutti intorno al secchio.
Nel periodo che ci siamo rifugiati da mio zio, ricordo che avevano un letamaio e sotto avevano scavato un grosso buco, proprio una stanza che veniva illuminata con una lampada ad olio. La stanza poi era coperta con tavole di legno e sopra, questo mucchione enorme di letame. Lì, c’e stato nascosco anche mio padre e i miei zii, uno dei quali è stato poi ucciso per colpa di una spia.
Tra il 18 e 19 marzo, di notte era venuta la neve. Mia madre ricordo che allarmata disse: “Sento dei rumori strani” e allora abbiamo socchiuso la finestra appena, appena, per vedere … Passavano sulla strada, davanti a casa, colonne di tedeschi tutti vestiti di bianco, mi è rimasta in mente tanta, tantissima neve e i tedeschi, tutti bianchi anche loro. Erano in tantissimi a piedi e marciavano nella notte strappando la neve. Noi ci chiedevamo: “Madonna mia dove andranno…”
Alla mattina, appena giunto giorno, si sentiva sparare dall’altra parte del monte, a Monchio e si vedeva il fumo salire dal paese. Hanno ucciso l’intero paese, li hanno portati davanti alla chiesa e uccisi tutti, donne e bambini … Anche lì perché le spie avevano detto che era un paese di partigiani.
Mio papà era già prigioniero in Germania, mia madre era rimasta con noi tre bambine. Dovevamo scappare perché i tedeschi stavano rastrellando e bruciando ovunque. Così scappiamo dai miei zii a Corneto. Loro avevano sette figli e tre noi, dieci bambini. Mia zia ricordo che ci diceva: “Andate nella stalla che c’è caldino”. La casa dei miei zii era un posto molto isolato. I tedeschi passavano ben poco. Mio nonno aveva le mucche e altri animali. Eravamo in tutto ventidue persone e ricordo delle frittatone. Lì riuscivamo a mangiare. Ricordo che in casa avevano nascosto un partigiano. Era ferito e l’avevano messo nell’ultima camera in alto e a noi bambini, lo volevano tenere nascosto … ma i bambini sono furbi, eravamo andati a spiare dalla porta e avevamo visto questa persona tutta fasciata. Mio nonno quando se ne accorse, prese i più grandi, anche me, e ci disse: “Guardate che se vi scappa detto qualcosa, i tedeschi ci ammazzano tutti.”
Di notte, mia madre, ci metteva del cotone nelle orecchie perchè c’erano tante bestie nel letto: cimici, pulci, pidocchi, e al mattino lei ci passava il petrolio in testa.
Prima della guerra, a mio padre gli hanno fatto bere l’olio, quando è iniziato il fascismo. Volevano che prendesse la tessera fascista e lui non la voleva. Gli ha detto questa frase, che ha ripetuto tutta la vita: “Ci siete in tre e forse l’olio potete riuscire a darmelo però, quando vi trovo uno per uno, vi sistemo.”
Passavano a prendere il rame e l’oro, anche mia mamma gli ha dato la vera. Il duce li voleva per fare la guerra, non si poteva scegliere. Mia mamma dopo la guerra se l’è ricomperata. Anche mia nonna. A lei, il duce, aveva dato il diploma per i figli maschi, certo, che poi, sono andati tutti in guerra.
Quel giorno che bruciava Monchio e siamo scappati, nel passare dal paese di Cerredolo, c’era un grande telone, con sotto un mucchio di roba. Mia mamma ci disse: “State indietro che guardo io.” Erano tutti morti. Un mucchio di morti. E mia madre ci tirava via, indietro, ci diceva che no, non c’era niente, ma io avevo visto quei rigagnoli di sangue che correvano fuori dal telo. Mia sorella Pia ha smesso di parlare. Era rimasta muta. Io le dicevo: “Stanno arrivando gli americani … Pia guarda … che buttano giù le caramelle.” Ma lei non parlava più. Gli americani facevano i lanci buttando giù viveri e armi e noi bambini guardavamo i paracaduti con attaccato tutti questi pacchi. Con i paracaduti mia mamma faceva lenzuala e vestiti.
Mi ricordo il ritorno di mio padre dalla Germania, a guerra finita. I suoi racconti … di quello che ha sofferto e le botte che ha preso. È arrivato a casa gonfio e irriconoscibile. Ha fatto tre mesi d’ospedale perché mangiando solo bucce di patate e ortiche gli era venuta le nefrite. Quando è arrivato, è sceso da un tre ruote, aveva fatto a piedi fino a Innsbruck, erano in tre e sono arrivati fino a casa con passaggi di fortuna. Appena arrivato mi ha detto: “Avrei una sete di acqua buona e fresca …” Sono partita di corsa a piedi nudi per prendergli l’acqua fresca … c’era una fontanella giù, dietro al fiume. Dal tanto che correvo non vedevo nemmeno la strada.
Della mia infanzia ecco ricordo la guerra, il freddo e la fame.
D’inverno mi mettevo tanti maglioni, non avevo un cappotto. A scuola c’era una stufa alta di terra cotta rossa. Proprio quando frequentavo la quarta e quinta, c’era la guerra. Si andava poco a scuola. C’era la paura. Mi hanno promosso lo stesso anche se avevo tante insufficienze, A sei anni invece, avevo una camicetta bianca fatta da mia mamma e la gonnellina blu per il sabato fascista. Era prima della guerra. Allora non c’erano le scarpe, non per noi. Usavamo gli zoccoli. Mi faceva gli zoccoli un vecchietto della Guarana. Con delle scarpe vecchie, ci metteva sotto il legno e faceva gli zoccoli. I miei sogni di bambina? Che tornasse a casa mio padre… Dicevano che quando arrivavano gli americani avremmo trovato le cioccolate per strada, ma io non le ho mai trovate. Magari dalle camionette qualcosa allungavano. Per mangiare spesso andavo a rubare le castagne, altro che cioccolate.
La guerra da noi è durata di più perchè ci sono state tutte le rappresaglie.
Tanta miseria ho visto… ricordo che Don Giulio una volta passò da casa e mi disse: “Vieni su con un sacchettino.” Mio padre era in Germania, e ci capitava spesso di non avere niente da mangiare … mi diede un sacchettino di farina bianca. Mia mamma aveva così voglia di polenta che la fece con la farina bianca. La fame ti fa sembrare buona ogni cosa.
Marzia Schenetti
Il 30 Novembre segue la seconda parte.