Il Novecento è stato il secolo degli “schieramenti” e delle “appartenenze”: ci si doveva “schierare”, e, una volta schierati, poteva accadere di ritrovarsi a difendere la propria scelta politica, “appartenendo” anche acriticamente (in Pòlis ho dedicato vari articoli al tema dell’ “ideologia”). Questa condotta “militante” (altra parola classica del Novecento) ha accomunato la Sinistra Socialista, Comunista, Extra-Parlamentare con la Destra Fascista.
Hanno “militato di meno” gli appartenenti al Centro, per due motivi, di segno opposto: a) positivo – le credenze più profonde e radicate dei Centristi non riguardavano tanto il sentirsi conservatori e/o liberali, che è tema (mi perdonino gli “appartenenti” attuali) di una noia mortale, ma, semmai, la religiosità evocata, già nel nome, dal principale partito di Centro, nonché quasi sempre primo partito italiano, la Democrazia Cristiana … una religiosità che, per l’appunto, permeava, o avrebbe dovuto permeare, la politica “centrista”; b) negativo – il Centro è classicamente il luogo del potere, incluso quello economico, e probabilmente conservatori e liberali “centristi” erano portatori di istanze “ben più urgenti” dell’ “appartenenza” e dell’ “ideologia”.
Infine, gli appartenenti alla Sinistra hanno militato con più facilità, rispetto a quelli di Destra, giacché gli intellettuali (giornalisti, letterati, artisti, teatranti e cineasti) erano, in evidente maggioranza, “di Sinistra”, ed era pertanto possibile che si creasse una “circolarità” fra le idee diffuse nel popolo e gli stimoli culturali destinati a sostenerle: il “popolo di Sinistra” chiedeva “rappresentazioni di Sinistra”, legittimando in tal modo gli “intellettuali di Sinistra”, che, a loro volta, con le loro produzioni, ri-legittimavano le idee del “popolo di Sinistra”, e quindi anche il desiderio (o la necessità) di “appartenere”. La Destra, al confronto, scontava l’impopolarità pressoché universale del Fascismo, e pertanto, per rimpinguare i suoi pochi “maestri” novecenteschi, era costretta ad “appropriazioni” a volte decisamente improbabili: Céline, Ezra Pound, il Signore degli Anelli (Tolkien), eccetera.
All’urgenza dell’ideologia e dell’appartenenza era impossibile sottrarre anche i comportamenti minuti (il “privato” era “politico”). Inoltre, un po’ tutti gli “appartenenti” (al “popolo di Sinistra”) erano chiamati a cimentarsi nella critica artistica e culturale, anche a causa della “discesa” dei colti nella Società, teorizzata da Gramsci mediante il concetto di “intellettuale organico”. Ognuno poteva quindi ambire a essere un intellettuale “del popolo”, “nel popolo” e “per il popolo”: http://gabriellagiudici.it/antonio-gramsci-lintellettuale-organico .
Giocoforza, quando i grandi temi vengono maneggiati da pressoché chiunque, essi si ingrandiscono ulteriormente ed iperbolicamente (il cineclub fantozziano, con le infinite repliche della Corazzata Potemkin), e, d’altra parte, si banalizzano. I due esiti, apparentemente contrastanti, convergono invece, in una sorta di “nemesi” dell’arte e della cultura “popolari”, che diventano a volte così “popolari” (e nello stesso tempo così ambiziosamente “pedagogiche”), da non essere più né arte, né cultura (si perde l’ “aura”, chioserebbe Walter Benjamin), ma mero indottrinamento superficiale.
Tuttavia, OGGI non mi accanirei su quei tentativi goffi, stralunati e un po’ patetici di “politicizzare tutto” e “divulgare il verbo”, perché mi sono convinto negli anni che il piccolo grande segreto del “pensare” sia l’ “osare”: spesso, chi “osa pensare”, anche in modo poco pertinente, concetti vertiginosi, o comunque più grandi di lui, farà nondimeno quell’ “esercizio quotidiano del pensare”, che è fondamentale per poter iniziare a comprendere e capire. Ben vengano pertanto una parte delle discussioni malfondate e irrisolventi: il Novecento ne è stato l’artefice principale, ma non escluderei che possano svolgere un ruolo costruttivo anche OGGI, nel Terzo Millennio. Insomma: si continui a comunicare!
C’è però da aggiungere che mentre la Letteratura, il Giornalismo, il Cinema e il Teatro sembravano essere territorio di confronti politico-culturali tutto sommato agevoli, non altrettanto possiamo dire per le Arti Visive novecentesche (l’ “avanguardia”), giacché essendo generalmente non-rappresentative di temi e soggetti chiaramente riconoscibili, era impossibile apprezzarle per la descrizione della condizione operaia, o femminile, o per la denuncia della sfruttamento capitalistico. Poteva succedere con la Fotografia, ma in questo caso siamo già nel territorio attiguo del Giornalismo. Le Arti in generale (tutte), quelle Visive in particolare, e quelle “d’avanguardia” specialmente, dovevano e dovrebbero essere sempre apprezzate per la forma, per lo stile, e per la riuscita discontinuità stilistico-formale con la tradizione.
Una componente “contenutistica” (a volte, banalmente, “una trama”) è quasi sempre presente nella Letteratura, nel Cinema e nel Teatro, per il semplice fatto che quasi sempre si fa uso di parole riconoscibili, che hanno (come tutte le parole) un significato almeno parzialmente condiviso, per la comunità che le ascolti. Ciò significa che in buona parte della Letteratura, del Cinema e del Teatro, lo spettatore eventualmente incompetente di “story telling”, “sceneggiatura”, “ripresa”, “montaggio”, “tecnica della recitazione”, potrà comunque agevolemente dire la sua, andando oltre il semplice “mi piace / non mi piace”
Viceversa, nelle Arti Visive, ed in quelle “d’avanguardia” specialmente, in assenza eventuale di competenza tecnica da parte dello spettatore, il semplice “mi piace”, o al limite la percezione di una “provocazione” interessante, non potranno che essere dominanti. (Esilaranti gli esiti della “non-percezione” della provocazione, come nell’ episodio de “Le vacanze intelligenti”, di Alberto Sordi, in cui la moglie si riposa su una sedia, che però era esibita alla Biennale di Venezia come “opera”! … e a un certo punto, la moglie stessa viene scambiata dai visitatori come parte dell’opera! … https://www.youtube.com/watch?v=i1X3mz-k0oE .)
Insomma, che ognuno “osi pensare” e “dica la sua” (anche in presenza di incompetenza tecnica, e più in generale di incompetenza artistica e culturale), se, da una parte, contribuisce a disperdere “l’aura” dell’Arte e della Cultura tradizionale (innestando contemporaneamente il processo inverso, parimenti degradante, per cui l’Arte e la Cultura si “omologano” già in partenza alla massificazione e alla mediatizzazione), rimane dall’altra un fenomeno (“democratico”) comunque augurabile.
Ciò costituisce uno dei lasciti più significativi della Sinistra, dell’ “intellettuale organico”, delle “ideologie” e delle “appartenenze” novecentesche, ma non dovrebbe voler dire che ognuno di noi sia “definitivamente abilitato” al fruizioni incompetenti dei prodotti artistici e culturali. Quando ciò si verifica, succede l’esatto contrario di quegli esiti “progressisti” e “di Sinistra” che si vorrebbero evocare.
La Musica, come vedremo nel prossimo articolo, è apparentata all’Arte Visiva per la “mancanza di parole”, ma se ne distanzia per l’ “onnipervasività” (l’ascoltiamo anche in casa ed in auto, in una specie di sottofondo costante); è pur vero, infine, che parte della Musica (le Canzoni) è comunque dotata di testi. I rapporti fra Musica, Canzoni, sono di estremo interesse.
Gianfranco Domizi