L’inarrestabile crescita e la rapida diffusione delle tecnologie nel mondo delle comunicazioni, in grado di operare una notevole riduzione di tempi, costi ed ostacoli relativi alla distanza, possono essere considerate tra le cause della globalizzazione.
Il termine globalizzazione definisce un insieme di fenomeni di natura economica, sociale, culturale e ideologica, che ha portato al superamento di tutti i tipi di barriere, materiali e non, per la circolazione di persone, cose, informazioni, conoscenze e idee, producendo un progressivo allargamento della sfera relazionale sociale che, comprimendo lo spazio-tempo e sopprimendo le rigidità tra le culture, favorisce l’integrazione delle diversità.
Oggi tutti parliamo di globalizzazione, ma non sempre siamo in grado di cogliere appieno il significato di questo termine e di valutarne i molteplici aspetti. Questi non riguardano solo la crescita e l’accelerazione degli scambi oltre ogni confine, o l’internazionalizzazione dei beni e dei servizi, ma anche tutte le conseguenze che derivano dall’interdipendenza tra le trasformazioni economiche, politiche e sociali.
Un processo di portata tale da rimettere completamente in discussione l’organizzazione e l’ordine sociale: non vi sono classi, status, né parametri universali di riconoscimento, individuali o collettivi, non ci sono regole che valgano per tutti e che tutti conoscano. Viene a mancare il senso di appartenenza collettiva e diviene problematica una riorganizzazione in senso solidaristico della struttura sociale.
I risvolti di un processo di globalizzazione trovano difatti nella “questione migratoria” uno dei più problematici effetti collaterali responsabili dell’indebolimento della solidarietà collettiva. Mentre l’agire solidaristico e cooperativo si riferisce ad una visione del mondo che ha radici nei principi di solidarietà, la globalizzazione economica, ed in particolare la sua versione ideologica attuale, si basa sulla competizione come strategia di sopravvivenza e predominio. Competitività che arriva a trascendere la sfera economica, per tradursi in un modello di comportamento sociale.
Se da un lato il concetto di globalizzazione allude a processi di integrazione tra diverse società e culture orientate a divenire un’unica entità, dall’altro alimenta la percezione di un’umanità rappresentata da un insieme di gruppi, caratterizzati da diverse radici etniche, culturali e religiose, in quanto tali estranei.
L’insorgere di atteggiamenti di tipo rivendicativo, spesso violenti, da parte di alcuni gruppi sociali orientati all’affermazione della propria diversità culturale e alla difesa intransigente del proprio sistema di valori, rappresenta esattamente il sintomo della percezione cosciente di un’omologazione che genera precarietà e debolezza, di una pluralizzazione che si rivela un processo ambivalente. Se da una parte legittima la coesione di culture spesso opposte, dall’altra favorisce la crescita del relativismo culturale, facendo sì che i sistemi di preferenze e le identità si indeboliscano e diventino solo combinazioni di tratti culturali privi di radici.
Attraverso la globalizzazione sempre più culture, usanze, tradizioni, vengono messe in contatto e confronto tra loro, proponendo diversi modi di concepire relazioni, sentimenti, valori e visioni del mondo, che tra loro si ibridano e si modificano. Pensare l’alterità nel mondo attuale, significa inserirla in un contesto dinamico che cambia velocemente in quella società multiculturale che è qualcosa di più rispetto al mosaico delle culture che la compongono.
La psicologia, in questo contesto, deve fondarsi su una teoria e una modalità di intervento che, anziché annullare le differenze in un progetto di omogeneizzazione, al contrario valorizzi la diversità, sollecitando un confronto con forme impreviste di alterità, con modi diversi di concepire la salute, la malattia, il rapporto con il corpo e con la psiche.
Deve favorire l’integrazione sviluppando e potenziando le capacità di conservare la propria individualità, nonostante le modificazioni del contesto esistenziale, e promuovere risorse che consentano di tollerare il cambiamento, la perdita, la solitudine, l’attesa, tutte esperienze insite nei fenomeni di globalizzazione.
Si tratta di sviluppare una psicologia transculturale in grado di attraversare le culture senza perdere il proprio bagaglio. Fornire un dispositivo terapeutico che, a partire dalla considerazione della presenza dei migranti come risorsa, proponga una psicoterapia rispettosa dei principi minimi della democrazia, dove ciò che conta non è “distinguere il vero dal falso di un pensiero, ma capire che cosa esso mobilita”. Lo psicoterapeuta deve ripensare i propri strumenti concettuali e operativi per fondare una psicologia consapevole delle differenze, dei pregiudizi e della spinta omologante ed egemonica contenuta nella pratica quotidiana.
La sfida è quella di orientarsi nella complessa realtà odierna, che origina sempre nuove collettività, individualità e un dinamico susseguirsi di modelli di sviluppo e di emancipazione.
Nunzia Manzo