Dal 1° gennaio 2018 in Italia avremo una nuova imposta! Già, perché trattasi proprio di una imposta e non di una tassa.
Non tutti sanno che dal punto di vista giuridico queste ultime sono volontarie, mentre le imposte sono obbligatorie. Proviamo però a spiegare meglio il concetto. Per quanto riguarda le tasse, un soggetto è tenuto a pagare in relazione ad un’utilità che trae dallo svolgimento di un’attività statale e/o dalla prestazione di un servizio pubblico (attività giurisdizionale o amministrativa), ma lo fa dietro sua richiesta, come ad esempio accade per le tasse universitarie.
Le imposte invece, vengono detratte direttamente dal fisco e, indipendentemente dal fatto che il soggetto utilizzi o meno beni o servizi messi a sua disposizione dallo Stato, sono obbligatorie, come ad esempio l’IRPEF. Il canone della TV in teoria sarebbe una tassa, anche se poi la modalità di pagamento la trasforma di fatto in una imposta. Pertanto un cittadino dovrebbe pagare il canone solo nel caso decidesse di usufruire del servizio erogato dalla Rai: in caso contrario, da un punto di vista giuridico, non sarebbe tenuto a versare nessuna corresponsione. Ma cosa c’entra il canone TV con la nuova tassa a cui facevo inizialmente riferimento? C’entra, e vi spiego perché.
Dal 1° gennaio 2018 sarà introdotta una “tassa” sul sacchettino di plastica che utilizzeremo per comprare frutta, verdura e altri alimenti.
Le buste, che saranno molto più piccole delle classiche sporte che acquistiamo oggi alla cassa di qualsiasi supermercato, dovranno possedere diversi requisiti e in particolare avranno uno spessore inferiore ai 15 milionesimi di metro (micrometri), dovranno essere biodegradabili e compostabili.
Il costo, anche se non è ancora stato definito, dovrebbe essere tra i 2 e i 4 centesimi di euro. Secondo un calcolo approssimativo ed estremamente prudente, ogni famiglia spenderà almeno 10/15 centesimi in più al giorno, che nel corso dell’anno diventeranno minimo 40 euro per ogni singolo nucleo. Moltiplicando questa cifra per le famiglie residenti in Italia, si raggiungerà un ammontare che di certo non sarà inferiore a 600.000.000 di euro.
Sì, secondo il più prudente dei calcoli, la nuova bustina parzialmente biodegradabile (perché lo sarà solo in parte e cioè del 40%, per poi raggiungere il 60% entro il 2021), costerà agli italiani, complessivamente, almeno seicento milioni di euro l’anno. Ma dove andrà a finire questa cascata di denaro a otto zeri? Se la legge verrà applicata senza modifiche, una parte entrerà nelle casse dello Stato e un’altra andrà ai supermercati. Già, proprio così, ai supermercati! In effetti ci troviamo di fronte ad una anomala forma di erario. Trattasi di una nuova generazione di tributi che nasce come tassa ma poi, così come accade col canone TV, si trasforma in imposta. Per poter rendere operativo il meccanismo, è ovviamente indispensabile l’accondiscendenza di aziende che operano su tutto il territorio nazionale.
Tutto legale per carità! Ma intanto il caso vuole che, nonostante la crisi economica, un altissimo numero di supermercati in questi ultimi mesi abbia deciso di fare lavori di ristrutturazione straordinaria.
Lo stesso Adriano Turrini (figura dirigenziale ben nota al mondo cooperativo, attualmente presidente Coop Alleanza 3.0 ) ha dichiarato in un’intervista riportata dal quotidiano “La Gazzetta di Reggio” del 23 giugno 2017 che, nei prossimi tre anni, Coop Alleanza 3.0 (attualmente la prima Coop italiana per numero di punti vendita) investirà 875 milioni (ottocento settantacinque milioni di euro) per ristrutturare un terzo dei suoi negozi, ad esempio. Stiamo parlando di un terzo di 348 punti vendita, di cui 56 sono ipermercati (questi ultimi sono negozi che devono avere un’estensione superiore a 2500 metri quadrati l’uno), e non della salumeria sotto casa.
A proposito di coincidenze, Agatha Christie diceva: “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”.
Antimo Pappadia