Nel linguaggio comune, “ideologia” e “ideologie” stanno per “insieme/i di idee”, o, più ambiziosamente, per “sistema/i di idee”. Non così per Marx, che vedeva nell’ “ideologia” una “falsa coscienza” derivante dall’ “essere sociale” delle persone. Insomma, borghesi e proletari, pur percependo gli stessi eventi e gli stessi fenomeni, ne vedono solamente la parte che il loro “essere sociale” consente di vedere
Così argomentavo nel Numero Zero, rimandando a questo numero per trarne alcune conseguenze nella dinamica sociale e nella comunicazione politica. A tal proposito, anticipavo la seguente matrice: a) dirigenti “scaltri” / elettori e militanti “scaltri”; b) dirigenti “scaltri” / elettori e militanti “ingenui”; c) dirigenti “ingenui” / elettori e militanti “scaltri”; d) da dirigenti “ingenui” / elettori e militanti “ingenui”.
Oggi ci dedichiamo ad a), ricordando preliminarmente che, mentre i dirigenti sono al 90% borghesi, o comunque privilegiati, fra gli elettori e i militanti dovrebbero trovarsi appartenenti a tutte le classi e a tutti i ceti sociali. Ciò sembrerebbe ovvio, ma come vedremo al termine dell’articolo, la realtà permette delle interessanti variazioni sul tema.
Dirigenti, elettori e militanti “scaltri” – li mettiamo tutti insieme, proprio perché stiamo parlando del caso a) – condividono un’idea: quella di far parte di una èlite, più o meno ristretta, di “vecchie volpi”, destinata a indottrinare il resto del mondo, ovvero i propri elettori e militanti ingenui (per serrare le fila), nonché elettori e militanti altrui (per accaparrarseli).
La “furbizia” consiste nel fatto che gli “scaltri” dovrebbero essere ben consapevoli di utilizzare solamente una parte della verità e della realtà nelle loro argomentazioni. Ma sono comunque disposti a farlo, pur di arrivare al risultato sperato.
Facciamo un esempio concreto: il fenomeno dei migranti aha un’evidente connotazione economica: si scappa dalla fame e dalla sete (che sono ovviamente condizioni economiche “stringenti”), dalla povertà (comunque “stringente” … ma la povertà c’è anche in Occidente, ed in Occidente molti la ritroveranno), o per cercare un’opportunità (condizione legittima, ma meno “stringente”).
Cosa si pensi dell’argomento non è importante, in questa sede. Tuttavia, per essere chiari e niente affatto reticenti, mi dichiaro a favore di una vasta accoglienza e/o di un aiuto anche piuttosto dispendioso nei luoghi di origine, non solo per motivi umanitari, ma anche perché la povertà extra-europea è stata favorita dai comportamenti dei nostri governanti verso quei popoli.
Ma in questo articolo non si parla del come e perché “accogliere”, bensì di “ideologie” … ed in particolare del fatto che venga spesso occultata, o quasi, la radice del fenomeno (economica: la povertà), per evidenziare invece: 1) l’incontro, o, all’opposto, lo scontro fra civiltà; 2) la doverosità (“scappano dalla guerra”), o, all’opposto, la pericolosità dell’accoglienza (“sono delinquenti”, “sono al soldo dell’Isis”, “sono una polveriera che farà scoppiare le periferie italiane ed europee”). E invece sono principalmente POVERI. Punto. O, per meglio dire, punto e virgola, perché gli aspetti ulteriori esistono, ma, per l’appunto, vengono strumentalizzati ideologicamente, secondo l’opinione pubblica a cui ci si rivolge, al fine di “serrarla con sé”, o “conquistarla”.
L’ideologia “astuta” serve per rendere credibili messaggi fattualmente contraddittori: “Dobbiamo accogliere chi sta peggio di noi” (grandi vanterie sul tema, ed occhi rigorosamente chiusi su abusi ed irregolarità). E successivamente: “Gli sbarchi sono diminuiti dell’80%” (ma come?, non dovevamo accoglierli perché stanno peggio di noi?).
Ripeto, qui non si sta discutendo se accogliere, non accogliere, come accogliere, ma di “comunicazione politica”: vantarsi di accogliere, e poi vantarsi di accogliere molto molto meno, non è logicamente sostenibile, a meno di una raffinata (?) operazione retorica: vantarsi dell’accoglienza, e poi vantarsi NON della “minore accoglienza” (sarebbe impossibile, giacché c’è ben poco da vantarsi!), ma del “ripristino della legalità”. Insomma, si cambiare contenitore, con un gioco di prestigio, di cui, non a caso, è brillantissimo artefice Marco Minniti, uomo politico forgiatosi alla scuola del realismo e del cinismo dalemiano.
Il fatto è che esiste una posta più alta (non occorre poi essere così “scaltri” per capirlo), ovvero le prossime elezioni politiche, che tiene uniti dirigenti, elettori e militanti, grazie anche alla retorica, alla propaganda, all’ideologia. E a tal fine bisognerà mettere la sordina alle proprie individuali opinioni in materia (immigrazione sì, immigrazione no, immigrazione a condizione di …, immigrazione boh), per convergere sull’obiettivo principale: VINCERE
Dicevo sopra che i dirigenti politici sono al 90% borghesi, o comunque privilegiati, mentre fra gli elettori e i militanti dovrebbero ritrovarsi degli appartenenti a tutte le classi e a tutti i ceti sociali. La conseguenza logica dell’essere privilegiato è che la presenza di migranti POVERI (con tutto quello che può comportare) sia un non-problema, analogamente al non-problema costituito dagli italiani POVERI (con tutto quello che può comportare): essi stanno in periferie lontane (io, romano, e sicuramente non appartenente ad un èlite di privilegiati, non sono mai stato nel quartiere di Tor Bella Monaca -!-, pur conoscendo palmo a palmo le periferie di Roma Nord), o, ancor più lontano, prevalentemente in specifiche regioni del Sud Italia.
D’altra parte, per chi è invece un non-privilegiato, dovrebbe essere vitale che si dia una qualche soluzione al problema, e dovrebbe pertanto impegnarsi a richiedere a gran voce il passaggio dalla propaganda alle decisioni. Ed in una “democrazia vera”, potrebbe anche pretendere che siano ascoltate le sue opinioni sul “cosa” e sul “come”. Ma evidentemente non è così per gli elettori e per i militanti “scaltri”, che, finiscono per preferire la propaganda orchestrata dai loro dirigenti alla risoluzione dei problemi reali.
A questo punto i casi sono due: 1) la politica ha comunque aiutato questi “scaltri”, ma “non-privilegiati”, ad uscire dalle angustie proletarie e sottoproletarie: quindi essi stessi sono diventati dei “quasi-privilegiati”, in quanto “vivono di politica”, e godono pertanto di parte dei vantaggi e del prestigio che la politica può dare (può bastare, ad esempio, essere Segretario di una Sezione, o Presidente di una Circoscrizione); 2) oppure sono diventati comunque così “scaltri”, da voler tenersi la situazione esistente, e l’ulteriore possibile degrado, pur di vincere una delle tante elezioni. Ed intanto si nutrono di “simboli”: bei discorsi, slogan, “ideologie”. (Ma se fosse così, sarebbero veramente così scaltri, come pensano di essere? .)
Gianfranco Domizi